Eurovision Song Contest, il meraviglioso mondo dei sottogeneri ...

12 giorni ago

Se c’è una cosa che ha sempre caratterizzato l'Eurovision Song Contest è la capacità di esporre su scala internazionale sonorità altrimenti iper locali, o addirittura di crearne di nuove, vedi alla voce eurodance. Certo, qualcuno potrebbe obbiettare che forse alcuni sottogeneri particolarmente trash potevano anche rimanere confinati dov’erano, perché non sentivamo la necessità di scoprirli. Ammettiamolo, però: buona parte del fascino di Eurovision è dovuto anche alla possibilità di imbattersi in performance surreali eppure impossibili da dimenticare come quella della Moldavia nel 2022, o in clamorose e irresistibili tamarrate come quella della Finlandia nel 2023. . Ma la domanda che si fanno i bookmaker è un’altra: portare in gara un sottogenere tradizionale e sconosciuto ai più, o crearne addirittura uno da zero, è una scelta che paga in termini di classifica?

Eurovision Song Contest - Figure 1
Foto Wired.it

La gara canora più amata d'Europa sta per tornare: che siate fan sfegatati o semplici curiosi, le nostre domande vi porteranno nel cuore dell’Eurovision

I precedenti

Analizzando i dati, sembrerebbe che per vincere sia meglio andare sul sicuro: secondo un’inchiesta del Sidney Morning Herald – l’Australia, come è noto, è un Paese di fan sfegatati di ESC, tanto che dal 2015 è stata invitata ufficialmente a partecipare alla competizione – il 66% delle canzoni che hanno primeggiato finora sono brani pop, e il 71% sono cantati prevalentemente o totalmente in inglese. Certo, ci sono notevoli eccezioni, come la canzone vincitrice del 2017 Amar Pelos Dois del portoghese Salvador Sobral, una ballata ispirata al fado e alla bossa nova. E c’è anche chi riesce a cimentarsi in convincenti vie di mezzo tra le hit radiofoniche mainstream e le melodie tradizionali. Nel 2005 ad esempio ha trionfato My Number One della greca Helena Paparitzou, che pescava a piene mani dalla musica tradizionale pontica, un’area ellenica affacciata sul Mar Nero, mentre abbiamo ancora tutti in mente Stefania della Kalush Orchestra, vincitrice nel 2022: integrava in un beat hip hop flauti tipici dell’Ucraina, come la sopilka e la telenka. “Il problema è che non esiste un glocal universale” spiega Eddy Anselmi, il principale esperto italiano di Eurovision. “Quindi ciò che è global da noi non è global dappertutto. Prendiamo ad esempio Goran Bregovic o Manu Chao: sono andati forte in Italia, ma non hanno risuonato nel nord Europa”. E con una platea così variegata, è impossibile fare pronostici.

Eurovision Song Contest - Figure 2
Foto Wired.it

Già qualificata per la finale, la nostra artista si esibirà anche nel corso delle serate precedenti

Il folklore nel 2024

Che la scelta di puntare sul folklore locale paghi o no, anche nel 2024 sono stati in parecchi ad andare in quella direzione. In particolare, sono i Paesi dell’Asia Occidentale a crederci di più. L’Armenia, ad esempio, è in gara con una delle band più internazionali, i Ladaniva, che fanno base in Francia. Per la loro Jako, però, hanno scelto di ispirarsi al rabiz, un genere musicale popolare che, citiamo da Wikipedia, “si distingue per il tempo in sei ottavi e per la grande ballabilità”. Lo stesso fa l’Azerbaijan, che in concorso porta il solista Farhee e la sua Özünlə, afferente al genere mugham: si tratta di un tipo di composizione classica azera, basata “sull’improvvisazione a partire da frammenti melodici trasmessi oralmente” (citiamo sempre da Wikipedia). Anche l’Australia ha deciso di giocarsi la carta della tradizione: il duo synth-pop Electric Fields, infatti, è pronto a stupire con One Mikali (One Blood), un brano scritto in inglese e in yankunytjatjara, la lingua aborigena della cantante Zaachariaha Fielding. Per registrarla è stato utilizzato anche il più tipico degli strumenti aussie: il didgeridoo.

In effetti è un momento d’oro per la musica popolare, quella che parte dal basso e conquista la gente ben prima di convincere critici e addetti ai lavori. L’esempio perfetto è quello della musica latina, che con miriadi di sottogeneri ha invaso anche il mercato europeo e, di conseguenza, anche l’Eurovision. Ne sappiamo qualcosa dalle nostre parti, visto che La noia di Angelina Mango è dichiaratamente un omaggio ai ritmi della cumbia afro-colombiana. Ma c’è chi si spinge oltre, come la Grecia: Marina Satti, con la sua Zari, si dà al neoperreo, un tipo di reggaeton che si è sviluppato a Los Angeles tra le comunità di immigrati. Pure la Moldavia quest’anno sembra una succursale del Sud America: Natalia Barbu, la cantante di In the Middle, mescola alla sua ballata balcanica elementi ritmici di brazilian bass.

Eurovision Song Contest - Figure 3
Foto Wired.it

Orchi, lupi gialli, vampiri, ma anche pirati, contadine russe, tacchini e produzioni artigianali di burro sul palco più camp del mondo

Chimere musicali

Tra i molti ibridi musicali presenti a Eurovision Song Contest, ce ne sono alcuni che sembrano inventati apposta per conquistare un pubblico appassionato del “famolo strano”. L’Estonia, ad esempio, ha come portabandiera 5MINUST e Puuluup, con una canzone dal titolo pressoché impronunciabile: (Nendest) Narkootikumidest ei Tea Me (Küll) Midagi, che significa più o meno “Noi di questi narcotici non ne sappiamo niente”. Tralasciando ogni possibile speculazione sul titolo (e su come faranno i commentatori ufficiali delle altre nazioni europee ad annunciarlo e disannunciarlo), si è reso subito protagonista di una piccola polemica eurovisiva: i suoi autori lo hanno definito un “pezzo gypsy punk”, e la comunità rom non ha gradito, in quanto è un termine ritenuto offensivo. Meno controverso è il nuovo genere inventato dall’irlandese Bambie Thug, che porta il suo ouija pop (dal nome della famosa tavola utilizzata nelle sedute spiritiche) in un brano dal titolo Doomsday Blue. Che sembra un pezzo della prima Billie Eilish, ma molto più chiassoso, per intenderci.

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