Nel 2020, durante l'epidemia di Covid, Al Pacino ha rischiato di morire. Gli si era fermato il cuore e per qualche minuto aveva perso conoscenza, lo ha raccontato l’attore 84enne al New York Times che lo ha intervistato in occasione dell'uscita la prossima settimana di Sonny Boy, il nuovo memoir edito da Penguin Random House.
Gli anni che passano, la sua mortalità, la nascita del quarto figlio Roman l'anno scorso con la nuova, giovanissima compagna Noor Alfallah (30 anni, ex di Mick Jagger) e il progetto di un nuovo Re Lear per il grande schermo (per la prima volta in un carnet di personaggi che vanno da Scarface a Serpico, Michael Corleone nel Padrino e Sonny in Un Pomeriggio di un giorno da cani) sono al centro del libro e dell'intervista in cui l'italo-americano nato a East Harlem e cresciuto nel South Bronx rivela che, al primo contagio col Covid, aveva cominciato a sentirsi male, «inusualmente male per me», poi era salita la febbre, e «lì, nel salotto di casa, me ne sono andato. Non mi batteva più il cuore». I soccorsi sono arrivati in pochi minuti: «L'ambulanza davanti a casa. Sei infermieri e due medici vestiti come astronauti». Il dramma è durato pochi minuti. «Non ci avevo mai pensato prima. Ma sai come sono gli attori. Suona bello dire che sei morto una volta».
Pacino, che i compagni di scuola da ragazzo chiamavano Sonny, ha detto anche di non aver visto o provato nulla in quelli che pensava sarebbero stati gli ultimi istanti della sua vita: «Non ho visto la luce bianca. Non c'era nulla dall'altra parte». Dopo il terrore della morte, la gioia della paternità dopo che i medici gli avevano detto che non poteva più avere figli al punto che avrebbe chiesto un test del Dna pensando che Noor stava cercando di «intrappolarlo». L'emozione della nascita di Roman è stata troppo grande, il bambino una delle ragioni del memoir e della voglia di «restare in giro ancora per un poco se mi è possibile». Alla domanda da dove Roman dovrebbe partire per conoscere suo padre come attore quando lui non ci sarà più, Pacino ha suggerito il piccolo ruolo nella commedia di Adam Sandler Jack and Jill in cui lui fa la parodia di un carosello per Dunkin's Donuts: «È una parte buffa. Era un periodo in cui dovevo farlo perché non avevo soldi, il contabile che mi aveva truffato era finito in prigione e avevo bisogno di qualcosa subito. Così ho accettato».
Nella biografia, il mitico attore ha raccontato anche della sua vita di eccessi e della pochissima attenzione per il denaro: cresciuto povero, scrive di avere perso un sacco di soldi perché truffato dal suo commercialista negli anni 2000, ma anche di essersi lasciato andare a spese folli: «Sono arrivato al punto di spendere 300 o 400 mila dollari al mese», basti pensare che «il mio paesaggista prendeva 400 mila dollari all’anno». Diciamo che Al Pacino se lo poteva permettere.