Alan Sorrenti: «A Napoli mi sono sentito straniero: l'aspetto ...

30 Giu 2023

A La Repubblica: «Sono stato 33 giorni nel carcere di Rebibbia. C’erano i camorristi della Nuova Famiglia, nell’ora d’aria incontravo Ali Ağca»

Alan Sorrenti: «A Napoli mi sono sentito straniero: l’aspetto tradizionale mi soffocava»

La Repubblica intervista Alan Sorrenti. In questi giorni torna in tour, a 72 anni. Sabato 30 sarà alla Triennale di Milano, il 2 luglio a Giovinazzo (Bari) per Porto Rubino, il 9 ad Arezzo per il Mengo Fest e poi proseguirà fino alla fine di agosto.

Come ricorda il ragazzo Sorrenti?

«Vivevo due realtà, anzi tre perché mia madre, inglese, lavorava come segretaria di un generale americano alla base Nato. Oltre al Galles, dove andavo, e a Napoli dove vivevo, lei mi portava a Bagnoli, che era come in America, in effetti mi sono trovato straniero nella mia città: anche se sentivo molto la napoletanità, l’aspetto tradizionale non mi interessava, anzi mi soffocava. Più tardi ho capito che mi sento straniero ovunque, è così anche ora».

A Napoli Sorrenti incontrò la musica.

«Al Vomero, dove vivevo, c’era un negozio di dischi d’importazione, lì scoprivamo un mondo nuovo. Grazie al mio amico Umberto Telesco, che sarà il fotografo delle mie prime 4 copertine, scoprii Tim Buckley, i Van der Graaf Generator, un’apertura mentale ed emozionale. Lo studio fotografico di Umberto in via Tasso era un crocevia: chi andava in India, chi ritornava da Londra, chi aveva letto un bel libro, e io assorbivo».

In America nacque “Figli delle stelle”, il singolo più venduto del 1977.

«Los Angeles era dove volevo stare, Sunset Strip era piena di musicisti, vita e creatività. Chi poteva pensare che Figli delle stelle sarebbe diventato uno stile di vita, tipo La dolce vita di Fellini, cose che non finiranno mai».

Nel 1983 Alan Sorrenti finì in prigione.

«Fu per un episodio di gelosia folle della mia ex, che mi fece passare per uno spacciatore di droga. C’era il desiderio di farmi male, ci sono relazioni che poi scoppiano, in realtà tra noi c’erano già le pratiche di divorzio. Fui al centro di una tempesta perfetta, il ciclone che coinvolse per altre vie anche Tortora. A Rebibbia in quei 33 giorni c’erano i camorristi della Nuova Famiglia, nell’ora d’aria incontravo Ali Ağca, che aveva sparato al Papa. Fu un’esperienza molto forte, mentre ero in cella scrivevo per i giornali raccontando come stavano veramente le cose. La testa l’ho poi ritrovata solo grazie al buddismo. Grazie a una forza incredibile che mi ha aiutato a liberarmi dalla schiavitù dell’ego, dando un senso a tutto ciò che di buono e anche di meno buono avevo fatto finora. Il mio collegamento con il cosmo doveva ritrovare la sua strada: è successo con il buddismo, in maniera più terrena».

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