Il Napoli di Conte, trascendentale e umano
Il calcio buono, bello e vero degli azzurri al momento non ha rivali in Italia.
Il Napoli di Antonio Conte gioca un calcio trascendentale e umano ad un tempo. Con il primo dei due termini ci riferiamo ad uno dei grandi problemi della Scolastica, che credeva di aver trovato nel Creatore (ens perfectissimus) quell’Uno (unum) in grado di unire in sé il Bello (pulchrum), il Buono (bonum) e il Vero (verum), appunto i trascendentali.
In questo senso il Napoli di Antonio Conte sembra strutturato sulle categorie medievali di cui sopra: è bello, in un modo che sfugge agli esteti tristi del calcio contemporaneo, ma non a noi, che da sempre difendiamo l’idea etica dell’estetica; è buono, nella misura in cui sta dominando il nostro campionato, certo ancora lungi dall’essere ai titoli di coda; è vero, perché nell’animo dei suoi calciatori si notano, a livello tecnico e comportamentale, una passione e un’applicazione proprie di chi crede in quello che sta facendo; uno, infine, perché il centro di questo sistema, solidissimo, è e rimane Antonio Conte, l’Allenatore.
Arriviamo così al secondo punto della questione, evidentemente unito al primo: la forza umana di questo Napoli. Parliamo di una zona d’ombra del Supercalcio moderno, che indottrinando fin dalla fanciullezza i suoi talenti con sterilizzanti dettami tattici ha creato calciatori senza cervello né spirito.
Le squadre di Antonio Conte, in questo senso, spiccano e contrario. Le vedi sempre compatte, solide, soprattutto mai in affanno, perché guidate da un condottiero che alla bravura nella disposizione geometrica aggiunge sempre, imprescindibile, una consapevolezza che si avvicina alla fede abramitica. I calciatori del Napoli quest’anno non giocano per giocare, ma per vincere. Hanno una missione, e scendono in campo in funzione del suo raggiungimento.
Ieri sera a Milano questo spirito ha aleggiato, visibilissimo, sul capo degli azzurri, per tutti i 90 (e più) minuti. Le assenze del Milan, bla bla bla. Potevano esserci pure i migliori Leao, Theo Hernandez e Pulisic, ieri in campo nei rossoneri. Sarebbe cambiato poco, perché qui il punto non è tecnico, ma umano e trascendentale.
Questo Napoli è umano perché mette in campo undici esseri pensanti, non automi. La straordinaria varietà di soluzioni offensive dei partenopei non è che la conseguenza di questo atteggiamento collettivo, limpido. Lo schema è sempre lo stesso: aggredire l’avversario, da subito. E infatti il Napoli va avanti dopo pochi minuti con Lukaku. Poi, affrontando la prevedibile reazione del Diavolo di fronte ai propri tifosi, stare in questa attesa, rimanerci di testa e di cuore. Senza mai davvero soffrire, prima di pungere nuovamente. Certo, Kvaratskhelia segna a pochi minuti dalla fine del primo tempo e, certissimo, se il VAR non toglie a Morata il gol in offside a inizio ripresa, la contesa avrebbe avuto un’altra elettricità.
Ma il punto è proprio questo: che sarebbe stata comunque una Conte-sa, scusate il gioco di parole. Le squadre di Antonio Conte vivono nell’agonismo, lo ricercano e lo bramano. Arriverà anche il tempo del dominio, ne siamo certi. Ma siamo così sicuri che a Conte e al Napoli interessi dominare, se dominare significa, nel Supercalcio moderno, attaccare scriteriatamente? Si sono tutti svegliati dopo Inter-Juventus: scusateci, ma noi preferiamo il calcio di Antonio Conte. Buono, bello, vero.