Che cosa si vede nel video della sparatoria che ha coinvolto Baby ...
Ieri sera, alle Iene, è andato in onda quelle che sono state definite le riprese inedite e integrali della rissa, finita con sparatoria, che ha coinvolto Baby Gang e Simba LaRue nel 2022. I fatti, lo ricordiamo, sono avvenuti a Milano in via di Tocqueville, zona Corso Como, nella notte tra il 2 e il 3 luglio di quell’anno, e si conclusero con la gambizzazione di due senegalesi presenti sul posto.
Nel servizio di Niccolò De Devitiis vengono ripercorsi tutti i momenti della colluttazione, dalla prima aggressione da parte dei ragazzi esterni al gruppo di Baby Gang e Simba LaRue, al presunto furto del marsupio di uno dei ragazzi. Questo, si vede dal video, cade a terra, slacciatosi dal corpo del ragazzo. Simba LaRue, presente nelle vicinanze, lo raccoglie, e lo passa poi a un altro compagno. In tutto questo, Baby Gang risulta lontano dall’azione. Eppure il trapper era stato condannato, prima che per la sparatoria, proprio per un furto legato a quell’occasione, con pena di 4 anni e 10 mesi.
Nel video, però, non si notano altri atti commessi da parte di Baby Gang che potrebbero essere assimilabili al furto. Inoltre, Baby Gang avrebbe sì tenuto in mano una pistola per parte della rissa, ma non avrebbe mai sparato. Nonostante questo, il trapper scontò 4 mesi in prigione per poi essere scarcerato agli arresti domiciliari. Il 29 aprile di quest’anno, però, il nuovo arresto con l’accusa di aver violato proprio questi domiciliari pubblicando contenuti sul suo profilo Instagram per promuovere il suo nuovo album, L’angelo del male – il suo team ha prontamente dichiarato che sarebbero stati i suoi collaboratori, e non Baby stesso, a pubblicare, e che il tutto sarebbe rientrato negli accordi con il giudice per la promozione dell’attività lavorativa dell’artista.
Di questo 7 maggio invece la notizia che Baby Gang avrebbe iniziato lo sciopero della fame dal carcere per protestare contro una decisione che ritiene infondata.
Nella serata di ieri, in concomitanza con la messa in onda del servizio delle Iene, sui social di Baby Gang è apparso un nuovo post, contenente le fotografie di una lettera scritta a De Devitiis:
«Caro Nic, ho bisogno di te. Ti scrivo dalla mia cella, immerso nella penombra, circondato da 4 mura fradicie, dopo che qualche giorno fa sono stato riportato dentro per qualcosa di cui non riesco a capacitarmi. In cella fa freddo, molto freddo, anche se fuori è maggio. Non ho acqua calda e non dormo da giorni. Mi manca il respiro pure nell’ora d’aria. La prigione è un luogo a cui non ti abitui mai. Qua dentro ogni giorno è uguale ma ogni volta è diversa. Queste stanze sono pervase di umidità e disperazione. Spesso ti dimentichi persino chi sei e perché ti trovi dove ti trovi. Ma io no. Non dimentico. Per questo ho bisogno di te. Ho bisogno che qualcuno mi aiuti ad accendere una luce su questa storia. Però prima devo fari una confessione. Sono colpevole. Colpevole di aver girato un videoclip per il mio nuovo singolo. Colpevole di aver chiesto e ottenuto tutte le autorizzazioni del caso e di averlo girato con un braccialetto elettronico alla mia caviglia».
«Confesso la mia sfiducia nella giustizia. Confesso di non capire più un sistema che toglie la libertà per una banalità simile. Confesso di essere incredulo e incazzato. Vedi Nicolò, quando sento dire che il successo rende privilegiati mi viene da ridere».
«Da giorni convivo con il dubbio che la mia carriera possa essere compromessa ma anche con la certezza che finché avrò voce continuerò a fare quello che faccio. A scrivere quello che sento. Credimi Nico, non è il carcere a farmi paura, sono già stato dentro e so di poter sopravvivere. Io non sono un pericolo per la società, ma ho sempre più paura che questa società sia un pericolo per me. Adesso, però, ho deciso di ribellarmi a tutto questo. Di urlare al mondo le mie ragioni. Ho iniziato uno sciopero della fame E lo porterò avanti fino a quando non si placherà la mia sete di giustizia».
«Per favore fai sentire la mia voce al di fuori di queste quattro mura in cui mi sento sepolto vivo».