Enrico Berlinguer è stato pure un santo? - Startmag

Berlinguer

Enrico Berlinguer? Dei morti, per carità, si deve avere sempre rispetto. Ma se ne può anche avere un ricordo diverso da quello solo enfatico di una cronaca propagandistica. I Graffi di Damato.

“Enrico Berlinguer che fa ginnastica. Così inizia Berlinguer, la grande ambizione, il film di Andrea Segre che ha aperto ieri la Festa del Cinema di Roma. È quasi una promessa allo spettatore: entra in questa storia e farai due ore di palestra politica con il miglior personal trainer e alla fine l’emozione sarà pari al guadagno intellettuale. Il grande merito di questo film sul leader più amato dal popolo è la ricostruzione di come si fa la politica”, ha scritto Stefano Cappellini su Repubblica devotamente, a dir poco.

Neppure l’Unità, nella versione riportata in edicola da Piero Sansonetti, è stata così generosa nel ricordo del leader comunista con quel titolo in rosso che propone “Il Noi di Berlinguer contro l’Io di oggi”. Un singolare egocentrico che accomuna sinistra, destra e soprattutto il centro, affossato dagli scontri furiosi fra gli uomini che due anni fa lo avevano proposto agli elettori come terzo polo: Carlo Calenda e Matteo Renzi.

Dei morti, per carità, si deve avere sempre rispetto. Ma se ne può anche avere un ricordo diverso da quello solo enfatico di una cronaca propagandistica. La palestra – per restare all’immagine di Cappellini – che io ricordo di Enrico Berlinguer comprende di certo i tempi dei sacrifici impopolari che egli seppe accettare e difendere in condizioni difficilissime per il Paese, a costo di subire i fischi degli scioperanti sotto le finestre di casa raccolti da Giorgio Forattini in una vignetta celebre, forse più ancora di quella su Fanfani che salta come il tappo da una bottiglia di champagne dopo la sconfitta referendaria sul divorzio. Ma in quella palestra c’è anche l’involuzione, secondo me, degli ultimi tre anni di vita del segretario più storico del Pci dopo Palmiro Togliatti.

C’è quella intervista ad Eugenio Scalfari del 28 luglio 1981 rilasciata da un Berlinguer deciso a chiudere a doppia mandata la politica di cosiddetta solidarietà nazionale con la Dc, da lui stessa interrotta due anni prima pur di non sostenere il riarmo missilistico della Nato. Sotto il cui ombrello egli aveva pur detto di sentirsi “più sicuro”. Quel riarmo, imposto dai missili che da est erano stati puntati contro le capitali dell’Europa occidentale, fece poi cadere il comunismo sotto il muro di Berlino senza sparare un colpo.

Berlinguer coprì quel ritiro dalla solidarietà nazionale scoprendo, fra lo stupore di dirigenti comunisti come Giorgio Napolitano, una incompatibilità quasi genetica del Pci con gli altri partiti. La questione da lui sollevata fu definita “morale”. E segnò, a mio avviso, l’inizio della campagna di delegittimazione moralistica degli avversari e, più in generale, della politica. Una campagna proseguita anche dopo la scomparsa di Berlinguer e mai cessata, pur essendo morti i vecchi partiti ed essendone nati di nuovi.

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