La storia di Mario Bozzoli, l'omicidio, il nipote Giacomo l'unico ...

2 giorni ago
Bozzoli

diMara Rodella

La scomparsa di Mario, le indagini e le sentenze. La presenza nella fonderia anche di altri dipendenti, oltre all'imprenditore e ai due figli del fratello Adelio. Il suicidio di Giuseppe Ghirardini, la fece finita ingerendo una capsula di cianuro. Ora l'inchiesta «bis»: concorso in omicidio per uno degli operai

Mario Bozzoli, 50 anni, imprenditore, scomparve dalla fonderia di Marcheno la sera dell’8 ottobre 2015: alle 19.12 chiamò la moglie Irene – che non immaginava sarebbe stata l’ultima volta in cui gli avrebbe parlato – per dirle di essere in ritardo, che si sarebbe fatto una doccia, cambiato, e l’avrebbe raggiunta in un ristorante sul Garda. Non ci arrivò mai. La sua auto nel parcheggio, i suoi abiti ancora nello spogliatoio, ma di lui nessuna traccia: sparito nel nulla con i vestiti da lavoro e le scarpe antinfortunistiche ancora addosso, niente telefono (non è mai stato trovato) né soldi. L’allarme scattò attorno alle 22, quando preoccupata non vedendolo rientrare, Irene chiese al figlio minore – che viveva in Valtrompia – di fare un salto in fabbrica per capire che fine avesse fatto il padre.

La scomparsa di Giuseppe Ghirardini

Quella sera a Marcheno c’erano altri operai, oltre a Giacomo e Alex Bozzoli, figli di Adelio, fratello di Mario. Sei giorni dopo uno di loro scompare: Giuseppe Ghirardini, coetaneo del titolare Mario, addetto al forno grande della fonderia, chiama un amico per annullare una battuta di caccia causa maltempo e sale in auto, direzione Valcamonica. Viene trovato senza vita il 18 ottobre 2015 nei boschi di Case di Viso: stroncato da una capsula di cianuro rinvenuta nello stomaco. L’inchiesta aperta per istigazione al suicidio a carico di Alex e Giacomo fu definitivamente archiviata (dopo una proroga di indagini disposta dal gip) nei mesi scorsi. Sul fatto che le due vicende siano strettamente collegate gli inquirenti non hanno mai avuto dubbi. Ma il caso viene chiuso come un suicidio nonostante le opposizioni della famiglia dell'operaio. 

L'inchiesta per omicidio e l'esperimento giudiziale

Dopo la scomparsa di Mario, si iniziò a indagare ipotizzando un omicidio quasi da subito, nonostante l’azienda sia stata posta sotto sequestro solo una settimana dopo la sua scomparsa. A vario titolo furono indagati (per favoreggiamento) anche alcuni degli operai. Per la procura Mario sarebbe stato ucciso e gettato nel forno, ipotesi, questa, abbandonata negli anni dopo l’avocazione del fascicolo da parte della Procura generale ma poi tornata in auge solo nella primavera del 2022, nel corso del processo di primo grado, dopo l’esperimento giudiziale in scala disposto dalla Corte d’assise – con un maialino di 13,2 chili – per capire, viste le conclusioni divergenti dei consulenti tecnici di parte, cosa sarebbe successo, con quali reazioni e in quali tempi.

Giacomo l'unico imputato

A quasi sette anni dai fatti, unico a processo con l’accusa di omicidio volontario e premeditato dello zio Mario, oltre che di distruzione del corpo, è il nipote, Giacomo Bozzoli. Che si è sempre detto innocente. Per i sostituti procuratori Silvio Bonfigli e Marco Martani, che a suo carico hanno chiesto (e ottenuto) l’ergastolo, Giacomo avrebbe aggredito lo zio vicino ai forni, salvo poi affidarne il corpo a Ghirardini, il quale, “dietro compenso” l’avrebbe gettato, appunto, nel forno grande. Avrebbe ucciso spinto da un movente economico, stanco di quello zio che non condivideva la gestione “allegra” dell’azienda da parte del fratello e dei nipoti, pronti a gonfiare fatture, risparmiare sulle leghe e truffare l’assicurazione: non a caso, nell’auto di Mario – ne è certa l’accusa – fu ritrovata una fattura da oltre 46 mila euro di lavori mai eseguiti per aggiustare uno dei forni. In sintesi: un raggiro all’assicurazione.

Ergastolo in primo grado

«Alla responsabilità penale di Giacomo Bozzoli convergono sempre tutti i
diversi itinerari probatori che si intendono percorrere
». Lo scrive la
Corte d'assise d'appello di Brescia nelle 154 pagine di motivazioni della conferma della condanna all'ergastolo nei confronti di Giacomo Bozzoli, 39 anni, ritenuto l'omicida dello zio Mario, l'imprenditore di Marcheno, in Valtrompia, svanito nel nulla nella sua fonderia l'8 ottobre 2015. «Converge anzitutto la verifica del luogo e dell'ora in cui l'imputato è risultato trovarsi rispetto al luogo e all'ora in cui si trovava Mario Bozzoli al momento della sua scomparsa» scrivono i giudici. «Converge - spiegano - la verifica volta all'individuazione della persona che avrebbe potuto disporre di quella somma in contanti che risulta sia stata consegnata a Giuseppe Ghirardini che collaborò quantomeno alla distruzione del corpo di Mario Bozzoli».

La conferma in appello

La premessa diventa la chiosa, oltre cento pagine dopo, definita «il dato probatorio che domina sovrano nel processo»: «L’omicidio è stato commesso in un ristretto ambito spaziale e temporale in cui gravitavano, oltre all’imputato, unicamente Giuseppe Ghirardini e Oscar Maggi». La Corte d'assise d'appello conferma il massimo della pena per Giacomo Bozzoli, perché «alla sua responsabilità penale convergono, sempre, tutti i diversi itinerari probatori che si intendono percorrere», scrive nelle motivazioni della sentenza la Corte (presidente Claudio Mazza, relatore Massimo Vacchiano): «Converge, anzitutto, la verifica del luogo e dell’ora in cui l’imputato è risultato trovarsi rispetto a quelli in cui si trovava Mario al momento della sparizione». E cioè nel reparto forni, tra le 19.15 (dopo aver chiamato la moglie Irene) e le 19.18 (quando invece si verificò la «fumata anomala» al forno grande, dove per i giudici il suo corpo fu gettato ). Ma anche la disponibilità di quei cinquemila euro in contanti, emessi in successione dalla Banca centrale austriaca, trovati a casa di Ghirardini, addetto proprio al forno grande, presunto compenso, per la Corte, del suo ruolo nell’omicidio —il suo «un ruolo fondamentale quantomeno nella distruzione del corpo nel forno in cui aveva continuato a inserire rottami» — diventato poi «un rimorso insostenibile». Morì suicida in Valcamonica sei giorni dopo la scomparsa del suo titolare. E converge l’identificazione di un movente: Giacomo è l’unico «in cui è risultato coesistere, unitamente all’odio ostinato e incontenibile già molto tempo prima rispetto all’omicidio a sua volta germinato da un rancore altrettanto persistente e irremovibile nei confronti della vittima, anche l’interesse economico per ucciderla riconducibile agli interessi societari e familiari)»: Mario, «colpevole a suo avviso sia di lucrare dalla società dei proventi sia di intralciare i suoi progetti imprenditoriali».

L'inchiesta «bis»

Oltre otto anni dopo, si (ri)apre un nuovo capitolo sulla morte dell’imprenditore Mario Bozzoli, scomparso a 52 anni dalla fonderia di famiglia, a Marcheno, la sera dell’8 ottobre 2015. Così come indicato nelle motivazioni della sentenza di primo grado dalla Corte d’assise (presidente Roberto Spanò), adesso, la Procura ha chiuso l’inchiesta «bis». Risponde a sua volta di concorso in omicidio premeditato e distruzione di cadavere Oscar Maggi, operaio della fabbrica, addetto al forno più piccolo, che sarebbe stato presente al momento della «scomparsa» di Mario: lo scorso dicembre, convocato per l’interrogatorio dai pm, si era avvalso della facoltà di non rispondere. Stralciate le posizioni del collega Aboyage «Abu» Akwasi e di Alex, fratello maggiore di Giacomo — per i quali le indagini sono comunque chiuse — accusati invece di falsa testimonianza (per il primo inizialmente si era ipotizzato il favoreggiamento personale). Abu avrebbe cercato di «spostare» avanti e indietro gli orari dei presunti avvistamenti di Mario in azienda, quella sera, «allontanandolo» dalla zona dei forni: per favorire Giacomo e «proteggere se stesso» in ottica difensiva. Anche Alex avrebbe mentito. E pure Ghirardini, responsabile del forno grande, per la Corte, avrebbe partecipato su compenso al delitto: «Un ruolo fondamentale quantomeno nella distruzione del corpo nel forno in cui aveva continuato a inserire rottami» — diventato poi «un rimorso insostenibile». Anche per i giudici di secondo grado Abu e Maggi temevano che Ghirardini avrebbe potuto «crollare e raccontare la verità». 

2 luglio 2024 ( modifica il 2 luglio 2024 | 11:06)

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