Calcutta, un fantasista nell'era dei divi: a Capanelle 30mila in delirio

3 giorni ago
Calcutta

«Se non esistessero i soldi, noi due dove saremmo / non si farebbe Sanremo e forse è anche meglio così»: il coro alpino di Coro, la canzone con la quale Calcutta si diverte a solleticare la curiosità dei 33 mila accalcati sotto il palco del Rock in Roma («Ma dov’è? Tu lo vedi?», «Ma non è quello lì dietro?», «Macché, quello è il fonico»), crea uno spaesamento generale. Nelle auto ancora in fila sull’Appia si gronda, ma il 35enne cantautore di Latina trasforma per qualche minuto l’Ippodromo delle Capannelle in una valle altoatesina, con la complicità dell’immaginazione dei fan. Il coro degli alpini in realtà è un disco, sul palco non c’è (ancora) nessuno: è così che si apre Relax, il nuovo album dell’ex eroe dell’indie diventato uno dei fenomeni più grossi del pop italiano di questi anni, uscito lo scorso ottobre, ancora tra le prime cento posizioni della classifica settimanale Fimi dei più venduti in Italia (ha vinto il Disco di platino) e candidato come “album dell’anno” alle Targhe Tenco (è il favoritissimo secondo voci di corridoio, ma i risultati saranno resi noti dopo il 5 luglio). Ed è così che Edoardo D’Erme ieri sera ha deciso di aprire la tappa romana del tour estivo partito dopo il successo dei concerti che lo hanno appena visto esibirsi sui palchi dei club di Barcellona, Londra, Parigi e Zurigo, mettendo - tra le recensioni entusiastiche della stampa locale - la testa fuori dall’Italia.

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Lo show era uno dei più attesi, come confermato anche dal traffico in tilt prima e dopo l’evento, e non ha deluso le aspettative. Calcutta si è presentato sul palco su 2minuti, snocciolando nel corso di due ore di concerto i brani più rappresentativi di quel canzoniere che lo ha reso uno degli artisti più amati della sua generazione.

A partire da quella Cosa mi manchi a fare che nel 2015 lo vide aggiornare il vocabolario del pop italiano, un petardo che a Capannelle fa esplodere a show appena cominciato: «Mi prenderò un gelato con il tuo sapore, ti spaccherò la faccia se non mi dai il cuoreee», canta all’unisono con i 33 mila fan.

Niente striscioni o fascette. Non c’è il culto del divo, perché «Edo», giacca rossa, cappellino, occhiali da sole e un paio di sandali ai piedi («Ma che c’ha le pantofole?», si domandano perplesse due ragazze), è l’antidivo per antonomasia. C’è, semmai, il culto delle sue canzoni, che Calcutta ha sempre messo davanti a tutto. Controtempo, Orgasmo, Milano, Limonata, Loneliness, Giro con te: quel cantautorato pop - magnificamente suonato dalla band - che guarda tanto a Lucio Dalla quanto al Lucio Battisti di fine Anni ’70 aggrega e fa ballare abbracciati i ragazzi e le ragazze sotto il palco, perché mette in musica il disagio della generazione cresciuta l’11 settembre e la pandemia. Parla poco: «Mi hanno detto che non sono bravo a interagire. Volevo raccontare barzellette, poi ho capito che non era il caso», ha spiegato lui, personaggetto enigmatico. Si paragona a Cassano: «Sono scostante». Però ha scritto una canzone che celebra un atleta agli antipodi dell’oracolo di Bari Vecchia, per mentalità e carattere: «Io certe volte dovrei fare come Dario Hübner», urla nell’omonima canzone, dove l’ex attaccante del Brescia diventa la metafora dell’antieroe che rifiuta i soldi della Premier per restare vicino alla moglie. Lui non è andato troppo lontano dalla sua Latina: vive in quella Bologna che cita in Gaetano.

Paracetamolo rimane una giocata da fantasista: quel «lo sai che la tachipirina 500 se ne prendi due, diventa mille» è una frase ormai entrata nel gergo comune. Un tormentone che spinge i 33 mila di Capannelle a buttare fuori anche quel po’ di fiato rimasto ancora nei polmoni, prima dei saluti finali con Tutti. «Che sembriamo tutti impauriti, tutti falliti», canta Edo. E sui maxischermi le immagini dei fan compongono un campo lungo generazionale. 

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