Latina, il datore di Singh indagato da 5 anni per caporalato

5 giorni ago

ServizioLavoro nero

La notizia è stata data dal TgLa7. L’uomo è sospettato dalla procura di Latina di avere sottoposto «i lavoratori, almeno sei, a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno»

di Redazione Roma

Caporalato - Figure 1
Foto Il Sole 24 ORE

23 giugno 2024

Un manifestante regge un cartello con la scritta: “Giustizia per Satnam Singh” durante la protesta indetta dal sindacato italiano CGIL in seguito alla morte di un bracciante agricolo indiano, Satnam Singh, in un raccapricciante incidente a Latina. REUTERS/Stringer

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Renzo Lovato, padre di Antonello Lovato che ha abbandonato il bracciante indiano Satnam Singh davanti casa dopo aver perso il braccio destro in un incidente sul lavoro nella sua azienda agricola, è indagato da cinque anni per reati di caporalato. La notizia è stata data dal TgLa7.

I fatti contestati

L’uomo che dopo l’incidente aveva accusato Satnam Singh di aver «commesso una leggerezza che ha fatto male a tutti», è sospettato dalla procura di Latina di avere sottoposto «i lavoratori, almeno sei, a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno» corrispondendo loro una retribuzione inferiore a quella stabilita dal contratto nazionale. Inoltre, avrebbe violato la «normativa sull’orario di lavoro, sulla sicurezza e sull’igiene dei luoghi di lavoro» e avrebbe sottoposto i lavoratori «a condizioni di lavoro e a situazioni alloggiative degradanti». I fatti contestati si riferiscono ad un arco temporale che va dal novembre 2019 al maggio 2020. Con Lovato sono indagate altre due persone responsabili di una cooperativa agricola.

La testimonianza

«Quello che ha fatto il proprietario dell’azienda agricola di Satnam non è giusto. In Italia gli ospedali sono sempre aperti, per tutti. Se fosse stato portato subito lì, oggi sarebbe qui con noi. E invece oggi la sua mamma e i suoi fratelli, a cui mandava i soldi da qui, stanno piangendo in India. Eppure, prima di lui era successo già a tanti altri. Questa volta, però, visto come è stato trattato dal suo datore di lavoro, il governo italiano ha alzato la voce». È la testimonianza di Singh Amarjit, lavoratore in un’azienda di bombole di gas in provincia di Latina. Singh Amarjit è uno dei tanti di nazionalità indiana del territorio pontino, ma anche del resto del Paese, che ieri hanno partecipato alla manifestazione organizzata dalla Cgil in piazza della Libertà per Satnam Singh, conosciuto come Navi, il bracciante indiano di 31 anni morto dopo esser stato abbandonato davanti casa dal proprietario dell’azienda agricola nella quale poco prima aveva perso il braccio destro in un incidente sul lavoro, amputato da un macchinario avvolgiplastica e lasciato in una cassetta per gli ortaggi insieme al trentunenne davanti alla sua abitazione, invece di allarmare i soccorsi.

Le voci dei braccianti indiani

«Satnam era uno dei tanti clandestini arrivati in Italia a piedi o in barca senza documenti - aggiunge - Molti di loro sono in nero, ma se messi in regola lavorano meglio, così come dovrebbe essere. È una situazione che si protrae da anni e anni. Chi ha i documenti prende 6 euro, chi è senza 3 o 4 al massimo. Dico sempre loro che se vengono trattati male devono andare subito dalla polizia o dai carabinieri per denunciare tutto. Lavorano 12 o 13 ore al giorno sotto al sole: vivono indietro di vent’anni. Meritano che i loro diritti vengano rispettati». «Lavoro dalle 5 di mattina fino alla sera, 12 o 13 ore al giorno» gli fa eco Kumar, che in Italia si fa chiamare Dario: «Guadagno 4 euro e 30, 3,60 o 5,50 all’ora: è davvero pochissimo. Non basta per pagare la casa, le tasse e inviare gli altri soldi risparmiati ai nostri familiari che vivono in India» lamenta il bracciante indiano. «Sono tre anni che sono qui senza documenti. A Latina siamo 7.000 regolari e 12.000 regolari, più altri lavoratori in nero che non vengono contati» afferma invece Jagdeep Singh, che non parla italiano, ma le sue parole vengono tradotte da Kumar: «Vengo pagato 4 euro all’ora, anche se non sempre mi vengono dati. Non è giusto: se lavori devi essere pagato».

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