Valeria Bruni Tedeschi: «Con mia sorella Carla Bruni niente da ...
di Valerio Cappelli
Intervista all'attrice, oggi ospite a Belve. «Io e Carla parliamo in cucina, non attraverso i giornali. Mi piacerebbe girare un film con lei ma non vuole recitare»
Ripubblichiamo l'intervista di Valerio Cappelli a Valeria Bruni Tedeschi, pubblicata sul Corriere lo scorso 20 ottobre. Questa sera, martedì 10 dicembre, l'attrice sarà ospite di Belve, il programma di Francesca Fagnani in prima serata su Rai 2.
Il referto medico, a proposito di Antonietta Patuano, la moglie di Pirandello, parlò di delirio paranoide. La vita privata del drammaturgo, il rapporto con la sua musa Marta Abba, viene raccontata da Michele Placido nel film Eterno Visionario, dal 7 novembre nelle sale. Valeria Bruni Tedeschi, che recita col suo mondo interiore a portata di copione, è Antonietta.
Valeria, si è chiesta mai perché i ruoli da pazza le riescono così bene? «Sì, mi era capitato per Virzì e ho fatto altre donne sopra le righe. Antonietta era profonda, libera, aveva senso dell’umorismo. Ma aveva una gelosia ossessiva e faceva scenate terribili. Era una creatura imperfetta, la cosa peggiore è avere attorno gente perfetta. Qui la mia sfida era di non fare la follia, non mi sono detta: ecco, faccio una donna pazza. Non l’ho considerata così. Ho lavorato con la mia e la sua verità, espresse il dolore con la follia. Il confine col la normalità è tenue, geni come Rimbaud o Churchill erano psicotici. Se avessi avuto meno fortuna avrei potuto essere io, Antonietta. Mi sembra molto familiare».
Ma la società… «Questa società è ostile verso i diversi, il mio lavoro è anche un desiderio di includerli. A 12 anni frequentavo la scuola italiana a Parigi e ogni tanto veniva qualche personalità, come Franco Basaglia, che si adoperava per aprire gli ospedali psichiatrici».
Qual è una sua follia che può raccontare? «Insultai un giornalista, voleva intrufolarsi con voyeurismo nella mia sfera personale. Parolacce, gesti osceni, gli rovesciai addosso tutto».
Lei fece un atto d’amore coraggioso, o «folle» in tempi di ipocrisia e politically correct, difendendo il suo compagno che era accusato di stupro. «Continuo a difendere Sofiane Bennacer e ad essergli vicino, lo sostengo. Perché oggi se parli di presunzione d’innocenza ti ridono il faccia, invece è un pilastro della democrazia e calpestarla è un atto disumano».
Come vive la maturità? «Io non mi sento matura, non conosco la saggezza, non solo nel periodo in cui vorrei arrivare, mi sento sballottata dalla vita».
Lei racconta sempre la sua famiglia al cinema. «Ho sempre voglia di raccontare la mia vita come un diario. Ma il mio prossimo film non sarà autobiografico, Magari tornerò alla mia famiglia in quello che verrà ancora dopo. Però l’autobiografia, un pezzo di me, ci sono sempre nei miei film. Ho appena interpretato Eleonora Duse nel film di Pietro Marcello, recitare per quella attrice immensa era puro ossigeno per sopravvivere. Attraverso di lei ho potuto raccontare le mie esperienze, i miei dubbi, le incomprensioni sul lavoro. Ho pensato che, dopo quel film, potevo anche smettere con questo lavoro».
Con sua sorella Carla Bruni vi siete chiarite dopo che lei sentì le sue debolezze messe a nudo nei suoi film, Valeria? «Non parliamo mai di queste cose tra noi, non c'era niente da chiarire, non ci parliamo attraverso i giornali, quello che ci diciamo lo diciamo in cucina, lei ed io. Mi piacerebbe girare un film con Carla, ma non vuole recitare».
Lasciaste l’Italia che lei era adolescente. «Questo creò una frattura interna in me, anche per gli odori della mia infanzia, che ho vissuto fino a 8 anni nel castello che avevamo in Piemonte, dove poi ho girato due miei film. C’era paura. Anche un senso di colpa. Le ragioni per cui partimmo erano confuse, le Brigate rosse, la mafia. Io mi dicevo, se c’è qualcuno che ci vuole rapire, qualcosa di male avremo fatto».
All'inizio lei sembrava più personaggio che attrice, il personaggio Valeria con la sua inquieta svagatezza sovrastava il resto. «In realtà non sono cambiata. Nel corso degli anni, nella percezione del pubblico, credo che si avvertissero fossero piccoli spostamenti, si criticava che facessi sempre le stesse cose, parlando di me attraverso i film. Per me sono stati spostamenti enormi».
Oggi è diventata un’attrice di successo, da festival. Che rapporto ha col tappeto rosso? «Dipende dal vestito, se mi sento a mio agio è divertente, diventa un piccolo show. La stessa cosa vale per le scarpe. Perché se sono dolorose, sbagliate, stupide…».
Cos’è una scarpa stupida? «Tacchi troppo alti che ti fanno camminare come una giraffa imbarazzante e storci le caviglie».
Si sente più italiana o francese? «Italiana senza dubbio. L’identità viene dall’infanzia. La mia adolescenza, la mia cultura letteraria sono italiane. Diciamo che la mia vita adulta è Parigi, quella più controllata, vicina alla libraia che interpreto in L’attachement, una donna controllata che si costruisce una corazza per vivere senza soffrire. Era la prima volta che portavo gli occhiali: ci dialogavo, mi permettevano di coltivare segreti. Sono francese con gli occhiali e, senza, sono italiana. Mettiamola così».
10 dicembre 2024 ( modifica il 10 dicembre 2024 | 14:53)
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