Confiscata la Sonrisa, il castello del «Boss delle Cerimonie ...

16 Feb 2024
Castello delle Cerimonie

La sentenza di Giuseppe Scuotri La sentenza emessa dalla Corte di Cassazione ha reso esecutiva la confisca del Castello La Sonrisa a Sant’Antonio Abate, nel Napoletano, struttura nota per essere la location del programma tv «Il boss delle cerimonie». Il pronunciamento ha sancito anche la prescrizione dei reati contestati agli indagati

È diventata esecutiva, con una sentenza emessa ieri dalla Corte di Cassazione, la confisca del Castello La Sonrisa, grande struttura ricettiva situata a Sant’Antonio Abate, nel Napoletano, diventata molto conosciuta al pubblico come location de «Il Boss delle Cerimonie», nota serie tv andata in onda su Real Time e dedicata ai festeggiamenti, spesso sopra le righe, per i matrimoni e altre ricorrenze. La Suprema Corte, oltre a rendere esecutiva la parte della sentenza inerente alla confisca, ha anche sancito la prescrizione dei reati contestati agli indagati.

Una lunga serie di abusi edilizi

La vicenda giudiziaria della struttura ha avuto inizio nel 2011. Gli inquirenti contestarono una lunga serie di abusi edilizi, realizzati secondo le indagini a partire dal 1979, su un’area ampia oltre 40mila metri quadri. La confisca interessa gli immobili e i terreni su cui sorge la struttura ricettiva, che saranno acquisiti nel patrimonio immobiliare del Comune di Sant’Antonio Abate.

Il «Boss delle Cerimonie», la moglie e il fratello

Nel 2016, con una sentenza emessa dal tribunale di Torre Annunziata (Napoli), vennero condannati a un anno di reclusione (pena sospesa) Rita Greco e Agostino Polese, rispettivamente defunta moglie e fratello del «boss delle Cerimonie» Tobia Antonio Polese. Agostino, in particolare, ricopriva la carica di amministratore della società. La sentenza di primo grado venne riformata in parte dalla Corte d’Appello di Napoli e da ieri la sentenza è passata in giudicato con il pronunciamento della Cassazione.

Il futuro incerto dei lavoratori

Sono ora più di 200 le famiglie che temono per il proprio futuro dopo la confisca dell’hotel-ristorante, che rappresenta per Sant’Antonio Abate un’importante fonte di reddito e di occupazione. Vi lavorano un centinaio di dipendenti, tra stagionali e fissi. La media è di una quarantina di addetti fissi e una settantina stagionali ai quali vanno aggiunti tra i 100 e i 150 lavoratori dell’indotto.

Le possibili destinazioni d’uso

Essendo stato affidato al Comune, secondo la legge, l’immobile abusivo può avere solo due destinazioni possibili: o essere totalmente demolito o essere utilizzato ma solo a scopi di pubblica utilità.

Pertanto è questo il dilemma che deve affrontare il sindaco di Sant’Antonio Abate, Ilaria Abagnale. «È un verdetto inatteso che ci colpisce molto - ha commentato la fascia tricolore - poiché si tratta di una struttura ricettiva importante per il nostro territorio, inserita nell’economia e nel tessuto di Sant’Antonio Abate, punto di riferimento per tutta l’area e che da anni offre lavoro a centinaia di famiglie, non solo abatesi. Al momento non ci è stato notificato nulla, daremo seguito alla sentenza ed alle attività necessarie da mettere in campo in rapporto alle circostanze sopraggiunte, con il massimo della trasparenza e nel rispetto della legalità. Avvieremo sicuramente un’interlocuzione con le autorità preposte per gestire al meglio la situazione», ha concluso Abagnale.

Il precedente

Proprio ieri, a Sant’Antonio Abate, il sindaco ha annunciato il destino di una villetta abusiva, anche questa confiscata e acquisita al patrimonio del Comune. La villetta non sarà abbattuta, ma è in corso una ristrutturazione per trasformarla in asilo nido, grazie all’utilizzo dei fondi del Pnrr.

Il tavolo tra Comune e Prefettura

Il prossimo step, dunque, per il «Castello delle Cerimonie», sarà un incontro tra il primo cittadino di Sant’Antonio Abate e il prefetto di Napoli, insieme con i vertici della Procura. L’obiettivo, a quanto trapela, sarebbe quello di non privare il territorio dell’azienda ricettiva. Ma ciò implicherebbe l’assegnazione della sua gestione a privati, mediante un bando pubblico che escluderebbe eventuali ingerenze o presenze di attuali titolari o gestori appartenenti alla famiglia. Dalla struttura, infine, il Comune dovrebbe ricavare un fitto che andrebbe a scopi di pubblica utilità. A Sant’Antonio Abate esiste già un simile esempio, con un ristorante che fu confiscato ed è stato lasciato alla gestione privata, assicurando al Comune il fitto del locale.

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