Chico Forti è tornato in Italia. Meloni: "Fiera del lavoro del Governo"
Chico Forti, il 65enne trentino condannato all'ergastolo per omicidio in Florida, è stato traferito in Italia, arrivato oggi a Pratica di Mare intorno alle 11.30. Ad attenderlo anche la premier Giorgia Meloni. Confermato il trasferimento di Forti nel carcere di Roma Rebibbia, solo in transito perché lunedì arriverà nel penitenziario di Verona.
Giunto a bordo di un Falcon della nostra Aeronautica decollato da Miami. Le sue prime parole: “Non vedo l'ora di riabbracciare mia madre”, l'avvocato Carlo Della Vedova farà un'istanza per permettere un incontro del detenuto con la mamma.
Il ritorno di Chico Forti è un risultato ottenuto "con una grande azione del governo ma anche della nostra diplomazia" ed è "una scelta giusta" perché "possa scontare la seconda parte della sua detenzione in un carcere italiano". Così il ministro degli Esteri Antonio Tajani.
"Si ottengono questi risultati quando si lavora in silenzio senza fare polemiche - ha proseguito il capo della Farnesina - è una scelta che tutela gli interessi di un cittadino italiano". Tajani ha ricordato il "comportamento ineccepibile come detenuto negli Stati Uniti" che dà la possibilità a Forti di "poter continuare ad essere un detenuto modello anche in un carcere italiano".
"Chico Forti - scrive su X la premier Meloni postando una foto dell'incontro - è tornato in Italia. Fiera del lavoro del Governo italiano. Ci tengo a ringraziare nuovamente la diplomazia italiana e le autorità degli Stati Uniti per la loro collaborazione".
Il procedimento per il rientro in Italia di Forti, ai sensi della Convenzione di Strasburgo, era stato aperto nel dicembre 2019, quando lo stesso Forti, attraverso il suo difensore, manifestò la sua volontà di essere trasferito in Italia. Nel marzo scorso, il ministro della Giustizia Carlo Nordio aveva firmato il decreto con cui chiedeva di promuovere presso la Corte d'appello di Trento il giudizio di riconoscimento della sentenza penale irrevocabile emessa nel giugno 2000 dalla Corte in Florida. Giudizio che si è concluso a Trento il 17 aprile, con il riconoscimento della sentenza pronunciata dalle autorità statunitensi.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio: ''È un giorno di gioia e di soddisfazione per l'intero Paese: il rientro in Italia di Chico Forti - atteso da anni - è innanzitutto un successo della presidente Giorgia Meloni e uno straordinario traguardo politico e diplomatico, frutto di intensa e proficua collaborazione istituzionale a tutti i livelli''
"Per noi una grande soddisfazione dopo una battaglia durata come una guerra punica. A noi basta che oggi sia in Italia, ora il percorso è in discesa", ha detto all'ANSA lo zio, Gianni Forti. "È certamente una grande gioia - ha aggiunto - e per mere sta solo il rammarico di non essere riuscito a farlo rientrare prima". Lo zio ha inoltre voluto ringraziare le tante persone che hanno sostenuto la causa di Chico Forti negli ultimi anni. "Abbiamo la chance di dare una nuova vita a Chico", ha concluso.
"Apprendiamo con soddisfazione del rientro in Italia di Chico Forti, è una buona notizia". Lo ha sottolineato l'avvocato Delle Vedove, uno dei legali che ha seguito l'iter per il ritorno. "Il trasferimento in Italia di Forti è il completamento di tutte le procedure giudiziarie, intraprese davanti alle autorità degli Usa", ha aggiunto il legale.
"Con Forti ci siamo sentiti l'ultima volta lunedì, era un po' ansioso, ci sentivamo tutti i lunedì. Ringraziamo tutte le autorità italiane e americane che hanno seguito il suo caso", ha concluso il legale.
"Nelle ultime settimane l'attenzione su Forti è stata impressionante e i tentativi di contattarlo non si contano. Grazie a un lavoro certosino con Palazzo Chigi è stato possibile ridurre i tempi di trasferimento che, nelle ultime 24 ore, hanno subito un'ulteriore accelerazione. In un momento così delicato, abbiamo dovuto rinviare l'annuncio del trasferimento in Italia e muoverci in modalità silenziosa perché c'era il concreto rischio di irrigidire e indispettire all'ultimo secondo le autorità statunitensi, una situazione che avrebbe potuto bloccare il transfer, vanificando il duro lavoro portato avanti fino a oggi e distruggendo il sogno di tornare a casa del nostro connazionale. Questo governo, in prima persona Giorgia Meloni, ha mantenuto quanto promesso, a differenza dichi, per farsi pubblicità, ha giocato sulla pelle di una persona detenuta da un quarto di secolo: si lavora in silenzio fino a risultato ottenuto." Così Andrea Di Giuseppe, unico parlamentare di Fratelli d'Italia eletto all'estero, che ha seguito il caso Forti da febbraio 2023.
"Ho visitato spesso Chico nell'ultimo anno - conclude - e, da quando è stata data la notizia del suo trasferimento, ci siamo sentiti spesso: pochi giorni fa mi ha detto che per lui inizia una nuova vita e che non vede l'ora di riabbracciare la madre. Non è stato facile rimanere in silenzio ma oggi possiamo finalmente dare questa notizia; ringrazio lo stato della Florida e il governo americano per la collaborazione, lo studio Tacopina per il lavoro legale e la famiglia Bocelli, da sempre al fianco di Chico, per il supporto umano. Ovviamente, quella di Forti non è una scarcerazione ma un trasferimento in Italia dove, secondo le nostre leggi, finirà di scontare la sua pena."
Sulla vicenda di Enrico "Chico" Forti, condannato all'ergastolo con l'accusa di omicidio, anche negli Usa restano innocentisti e colpevolisti. Ron DeSantis, governatore della Florida, Stato dove venne commesso il delitto e dove è stato detenuto Forti, ha autorizzato in marzo il trasferimento in Italia a patto che l'uomo sconti l'ergastolo in carcere. L'accordo fu preso "nell'interesse nazionale a beneficio del rapporto tra Stati Uniti e Italia". Anche l'ex segretario di Stato Mike Pompeo si disse a favore. Ma a patto che la condanna venga scontata.
Perché in Usa continuano a essere convinti che non ci sia stato un errore giudiziario. La stessa polizia di Miami era contraria all'estradizione.
Nel giugno 2000 Forti, un producer televisivo ed ex campione di windsurf, venne condannato all'ergastolo per l'omicidio, avvenuto nel 1998, di Dale Pike, un australiano partito da Ibiza per andare a Miami, incontrare Forti e parlare di affari.
Negli Stati Uniti pochi americani avevano sentito il suo nome, fino a quando nel 2019 era stato trasmesso dalla Cbs un lungo reportage, nel programma "48 Hours", dedicato al caso. Il servizio sposava decisamente la linea dell'errore giudiziario, ma era costruito solo sulla base delle testimonianze a favore dell'italiano. Né gli investigatori, né la corte che emise la sentenza, né giornalisti locali che si occuparono del caso, sono stati sentiti, o hanno voluto parlare.
Il fratello minore della vittima, Brad Pike, però, confessava la sua disillusione: "Non penso - diceva alla giornalista della Cbs Erin Moriartry - che conosceremo mai la verità". Ciò che è appurato è che qualcuno aveva sparato alla testa di Dale Pike due volte con una calibro 22 e aveva lasciato il corpo, nudo, su un tratto isolato di spiaggia a Virginia Key, pochi minuti da Key Biscane.
Secondo gli americani, il killer o il mandante era stato Forti, per motivi di interesse, perché temeva saltasse un affare. Secondo gli italiani e chi in Usa difende l'italiano, il mandante sarebbe stato un truffatore tedesco, amico del padre della vittima. La storia della Cbs partiva dal luogo del ritrovamento del cadavere. "Quello - spiegava Sean Crowley, un ex capitano della polizia di New York - è un posto frequentato dai windsurfer".
Era il 16 febbraio del '98, un lunedì, quando una persona trovò il corpo di Pike. "C'erano tracce di sangue - raccontò l'ex poliziotto - che portavano all'interno, verso la vegetazione".
Se la storia è emersa, ricorda la Cbs, è grazie a una giornalista italiana, Manuela Moreno. Era il 2013. "Ero negli Stati Uniti - raccontava alla rete americana - ed ero in cerca di una grande storia. Cominciai a studiare il caso di Chico Forti e dissi, 'questa è la mia storia'".
Durante un colloquio in carcere, era stata lei a indicargli Tacopina come avvocato. Sul perché la difesa non abbia mai appurato chi la vittima avesse chiamato, durante la sosta per le sigarette, non c’è traccia. La storia resta un lavoro giornalistico a metà, fatto solo di testimonianze favorevoli all'imputato, una scelta che aveva finito per indebolire la sua battaglia legale.
Tra le altre testimonianze figurava quella di un italiano, Fabrizio Pandolfi, che aveva conosciuto Knott a Montecarlo e lo aveva sentito parlare di "cose gravi" che aveva fatto in passato ma di cui erano stati accusati "altri". Knott, raccontò Pandolfi, aveva mimato il gesto della pistola e aggiunto: "Ho fatto cose per cui non ho pagato". I procuratori non hanno mai voluto commentare la vicenda.