Claudio Baglioni «ATuttoCuore» al PalaSele di Eboli: il canto d'addio
L'annuncio del ritiro, nel 2026, al termine di altri «mille giorni di me e di voi», ha agitato non poco i fans di Claudio Baglioni, moltiplicando l'affetto riversato sul primo step di questo lungo addio, il tour «ATuttoCuore», che stasera conclude le sue repliche sold out al PalaSele di Eboli, mentre il pubblico più casalingo lo ha visto ieri su Canale 5. La distanza della data ferale stempera, però, il distacco, anche se in platea la domanda che gira è sempre quella: «Ma è davvero l'ultima volta che lo vedrò?». Probabile, in questi tre anni, che le occasioni si moltiplichino e diversifichino, ma, in ogni caso, l'opera show messa in campo è un impressionane canto d'addio.
Il divo Claudio racconta questi sessant'anni - sì, sono tanti quelli passati dal suo esordio a un concorso romano per voci nuove - mettendo in fila melodie spietate e vestite come un kolossal. In una scaletta non cronologica, con un fil rouge costruito a tavolino dalla narrazione baglioniana, venti musicisti (più coristi) costruiscono arrangiamenti ampi, non semplificati e non semplificanti, concedendosi anzi qualche exploit, qualche assolo, qualche siparietto-irruzione in campi musicali meno mainstream. Il tutto, nelle coreografie e la regia di uno specialista del campo come Giuliano Peparini, viene impaginato da 52 performer, che, cambiando qualcosa come 550 costumi, di ogni tipo, portano in scena storie e/o suggestioni legate al brano del momento. «Porta Portese» o «W l'Inghilterra» sono coloratissimi sketch dettati dal testo, altri quadri vedono l'irruzione di una scuola, un circo, un futuro distopico, richiami a film come «Mad Max» o «Codice Genesi», al coro della tragedia greca, agli allestimenti lirici più moderni e capaci di utilizzare al meglio i visual...
Ma quel che conta davvero sono sempre e soltanto le canzoni, non a caso basta solo un pianoforte a «Questo piccolo grande amore», apice di un karaoke intergenerazionale che coinvolge tutta la platea, dalle iniziali «E tu come stai» e «Dagli il via» alle conclusive «E tu», «Strada facendo» e «La vita è adesso». Il richiamo melodico, e in alcuni casi sloganistico, è ineludibile, come il ricatto nostalgico messo in campo da ritornelli che evocano primi, secondi, e terzi amori. A 72 anni Baglioni ha voce più scura e si muove da performer consumato, ballicchiando e cambiando una giacca a brano, usata come passepartout per un anno, un disco, un tour, ma, soprattutto, madeleine proustiana per chi quelle strofe le ha cantate con qualcuno/qualcuna che il tempo sembrava aver seppellito nei ricordi remoti, ed improvvisamente torna a galla, come una parola restata nella gola, come un amore troppo ingenuo e fresco per sopravvivere al nostro cinismo pallido e assorto.
La manomorta di «W l'Inghilterra» oggi farebbe gridare allo scandalo, come la «maglietta fina, tanto stretta al punto che mi immaginavo tutto»: negli anni Settanta segnarono una svolta nella canzone per trottolini amorosi, dettando un nuovo linguaggio, più immediato e quotidiano, forte di immagini semplici e romantiche, ma con la consapevolezza che sempre a letto la canzone, e gli ascoltatori, dovevano, o almeno volevano, finire: «E la paura e la voglia di essere nudi... E far l'amore giù al faro». Insomma, con la coscienza che l'amore non è nel cuore (Finardi non c'entra nulla), ma un po' più giù, «ATuttoCuore» è l'estrema antologia baglioniana. Il cuore che pulsa sugli schermi è postmoderno e digitale, ma conserva il sapore dell'avventura iniziata 60 anni fa. Addio, o arrivederci che sia, il rito viene celebrato come merita.