I catafalchi e la commemorazione dei Defunti - Il Quotidiano della ...
di DONATO SARNO
In occasione del 2 novembre, giorno dedicato alla commemorazione dei fedeli defunti, non è fuori luogo soffermare la nostra attenzione su un monumento che è stato adoperato per molti secoli e che gli anziani ben ricordano per averlo visto in uso, ma che da gran parte degli adulti e, ancor più, dei giovani è del tutto sconosciuto: il catafalco o tumolo. Si tratta di una impalcatura o struttura, (in genere un doppio cavalletto), fatta di legno o altri materiali, di dimensioni variabili, più o meno imponenti a seconda dei casi (larga ed alta mediamente qualche metro), ricoperta di drappi e circondata di candelabri con candele accese. Essa veniva allestita in chiesa e posizionata innanzi all’altare maggiore, in primo luogo quando bisognava dare sepoltura cristiana ad un cadavere: il cadavere, chiuso nella bara, era processionalmente portato in chiesa e collocato sul catafalco, dove restava per tutta la celebrazione della Messa di requiem. Il catafalco veniva però allestito anche in assenza di cadavere, e quindi senza bara o con bara finta e vuota, quando ci celebravano Messe di suffragio, quali trigesimi, anniversari, nonché durante l’Ottavario dei defunti e per il giorno 2 novembre. I drappi che ricoprivano il catafalco erano rigorosamente di colore nero, perché il nero era il colore del lutto, tant’è che neri erano i paramenti dei sacerdoti officianti e finanche le pareti della chiesa erano listate a lutto con damaschi neri.
In ogni paese vi erano falegnami ed artisti specializzati nella costruzione dei catafalchi, che diventavano particolarmente belli ed eleganti quando il defunto o i defunti da commemorare erano personaggi importanti. Allorché, ad esempio, il 4 novembre 1921 si pose a Maiori la prima pietra dell’erigendo monumento ai Caduti, nella chiesa Collegiata di Santa Maria a Mare, dove si celebrò una Messa solenne in loro suffragio, furono chiamati “i valorosi artisti Della Mura”, assai apprezzati nella lavorazione del legno, i quali realizzarono “un tumolo (…) riproducente a grandezza naturale il monumento che dovrà erigersi” e che fu da tutti ammirato. Sempre a Maiori, alcuni anni prima, nel 1897, essendo venuto a mancare l’avv. Beniamino Cimini, lo “stupendo catafalco” eretto per la circostanza in Collegiata fu opera del famoso pittore costaiolo Gaetano Capone.
A prescindere comunque dal maggiore o minore pregio artistico, lo scopo dei catafalchi era eminentemente religioso, Ogni catafalco mirava infatti a colpire la vista dei fedeli, a dare ad essi con il suo carattere verticale il senso di ascesa al cielo del defunto e al tempo stesso ad ammonirli circa l’inesorabile scorrere del tempo e l’orrenda dissoluzione del corpo e dunque circa la vanità del mondo: a tal fine sui drappi erano ricamati clessidre alate e teschi con tibie incrociate, segni eloquenti di tali tristi ma incontrovertibili verità. La certezza della morte, il giudizio di Dio, il rischio della dannazione eterna e la richiesta di perdono erano d’altronde temi fondanti della liturgia funebre, mirabilmente condensati, oltre che in toccanti preghiere, sia nei versi del Dies irae sia nei versi del Libera me, Domine, de morte aeterna, questi ultimi cantati proprio innanzi al catafalco. Al cospetto del catafalco, dei drappi e dei paramenti neri, all’ascolto di quei canti terribili e commoventi al tempo stesso, del tono grave della musica e delle campane, i fedeli spesso uscivano di chiesa dolenti e contriti e, non di rado, toccati profondamente nell’anima.
La riforma liturgica successiva al Concilio Vaticano II, in nome del ritorno ad una asserita originaria semplicità e di una valorizzazione della speranza cristiana, giudicò nei funerali troppo lugubre il nero favorendone la sostituzione col viola ed espunse antiche orazioni e antichi canti funebri, ritenendoli frutto di una spiritualità negativa troppo insistente sul timore. Anche i catafalchi, discutibilmente giudicati quali meri apparati fastosi e scenici, sparirono, sopravvivendo solo in poche realtà. L’effetto peraltro complessivamente prodotto è stato quello non di contrastare, ma di agevolare il processo di desacralizzazione della morte, rimossa dall’immaginario collettivo e dalla stessa predicazione ed ormai percepita prevalentemente – complice l’incalzante secolarizzazione – in chiave sempre più non cristiana o addirittura anticristiana, quale automatico passaggio ad una non meglio definita dimensione di luce o quale fine di tutto.
Eppure ancora oggi i catafalchi continuano a parlare. A parte la inconfutabile bellezza artistica di tanti di essi, espressione della maestria dei loro artefici, i catafalchi non solo ci testimoniano il modo in cui per secoli i vivi hanno onorato la memoria dei defunti, ma ricordano a tutti che una civiltà dimentica della morte e dei morti è una civiltà senza radici che, a ben vedere, finisce col divenire una non civiltà.