Extraterrestri nella seconda puntata di AstroWired su Contact

Non è partito come un romanzo, ma come una sceneggiatura che girava per la testa di Carl Edward Sagan, l’astrofisico ritenuto uno dei più grandi divulgatori scientifici del Novecento. Un uomo che non ha mai smesso di indagare – con la mente, con la scienza – la possibilità della vita e della civiltà nello spazio. Era un astronomo, un astrochimico, un astrobiologo e anche un narratore, capace di pubblicare più di seicento fra articoli scientifici e di divulgazione.
È a lui che si fa risalire il primo discorso serio sul terraforming, cioè la trasformazione di un pianeta in un habitat vivibile per le creature terrestri. Era il 1967, Sagan ne scrisse in un saggio intitolato il Pianeta Venere: considerava l’eventualità di impiantare nell’atmosfera venusiana alghe in grado di trasformare la chimica del pianeta e, con l’effetto serra, riscaldarlo.
Eppure, alla fine degli anni Settanta, anche immerso in questioni di grande rilevanza scientifica, Sagan aveva una domanda, meglio una storia, che non smetteva di scavargli dentro: che cosa accadrebbe, si domandava, se d'improvviso riuscissimo a stabilire un contatto con un’altra forma di vita intelligente, presente nel cosmo?
Ne discusse con Lynda Obst, una ragazza che aveva studiato filosofia e stava cominciando a muoversi nel mondo delle case di produzione a Hollywood - di lei si parla anche in un'altra puntata di questa stagione di AstroWired, quella dedicata a Interstellar. Lynda, che era una delle migliori amiche di Sagan, non esitò a discuterne col proprio boss, Peter Guber, all’epoca già figura autorevole nel mondo del cinema: era stato il produttore esecutivo di Fuga di mezzanotte e avrebbe inanellato una serie di successi roboanti, da Flashdance a Un lupo mannaro americano a Londra, dal Colore viola a Rain Man, da Batman (quello di Tim Burton) a Cercasi Susan disperatamente.
Guber, uomo dal comprovato fiuto, commissionò subito un trattamento, il documento che precede la stesura definitiva della sceneggiatura, allo stesso Sagan e alla documentarista Ann Druyan, che un anno dopo divenne la moglie dell’astrofisico. “Il sogno mio e di Carl - avrebbe ricordato lei, poi - era scrivere qualcosa che fosse una rappresentazione fittizia di come sarebbe effettivamente il contatto, che trasmettesse la vera grandezza dell'Universo”.
Tuttavia, nonostante l’entusiasmo delle persone coinvolte, il film si arenò prima ancora di nascere: a Hollywood lo chiamano development hell, l’inferno di un'idea che rimane nella fase di sviluppo senza più schiodarsi da lì, perché bloccata da pastoie legali, tecniche, o da chissà quali divergenze artistiche. Tant’è, nonostante la frenesia iniziale e qualche roboante annuncio alla stampa, a un certo punto del trattamento si dimenticarono tutti.
Meglio, quasi tutti: Sagan non aveva alcuna intenzione di lasciar perdere una storia che riteneva profonda e alla quale aveva dato forma con la moglie: nel 1985 pubblicò, per i tipi di Simon & Schuster, un romanzo, che intitolò semplicemente Contact.
L'interesse e la macchina produttiva si rivitalizzarono. Ma trascorsero altri dodici anni prima che Contact, interpretato da Jodie Foster e diretto da Robert Zemeckis, arrivasse in sala come il film che molti ancora ricordano, uno dei picchi più alti della “fantascienza intelligente”.
Di questa storia e dei suoi sviluppi, in un omaggio a Sagan che morì nel 1996, un anno prima dell'arrivo di Contact al cinema, racconta il nuovo episodio di AstroWired, il nostro podcast sulla relazione tra fantascienza e spazio vero (qui la seconda stagione). Lo fa, dopo aver introdotto il film e le sue vicissitudini produttive, parlandone con Paolo Musso, filoso, docente all'Università dell'Insubria e direttore scientifico del centro di ricerca internazionale InCosmiCon (acronimo di Intelligence in the Cosmic Context).
In studio Emilio Cozzi, alla produzione Livio Magnini. Coordinamento di Luca Zorloni.
Buon ascolto. Anzi, per aspera ad astra.