Elena Di Cioccio risponde alle vostre lettere (effetto collaterale del ...
«Tutto molto meglio del previsto». Elena Di Cioccio lo dice subito: dopo l'uscita, a fine marzo, del suo memoir Cattivo sangue (Vallardi), «le reazioni sono state positive al 99,9% periodico». Nel libro, la conduttrice radiofonica e attrice (ora sul set di una serie internazionale) aveva fatto coming out sulla sua sieropositività tenuta segreta per 21 anni, raccontando anche la sua infanzia e adolescenza complicata, tra il divorzio dei genitori, il padre assente (Franz Di Ciocco, fondatore della Pfm), il rapporto con il patrigno, l'abuso di sostanze, gli amori tossici, e il capitolo straziante sul suicidio della madre Anita. E quello 0,01% di reazioni negative quali sono state? «Due messaggi: "ti sei divertita, adesso paghi", uno. Un altro: tutto questo casino per sta cosa? Insomma, la banalizzazione dei sentimenti altrui. Per il resto si tratta di una gigantesca ondata di affetto, comprensione e condivisione». Una risposta immediata dei lettori, a cui adesso Di Cioccio vuole rispondere sia con uno spettacolo teatrale che arriverà in autunno, sia attraverso i canali digitali di Vanity Fair, con la nuova rubrica Segreti che nasce il 19 maggio, con cadenza bisettimanale, ossia ogni due venerdì. Volete scriverle? Basta inviare la vostra storia a questo link Elena Di Cioccio garantisce che leggerà «tutto e di più».
Non ci sono stati hater?
«Zero, mi aspettavo una percentuale maggiore di fastidio. C'è stata solo una manciata di persone della mia cerchia stretta che si è risentita di non essere stata inclusa nel cerchio magico di chi lo sapeva. Un piccolo vagito di narcisismo: “a me potevi dirlo”».
I suoi familiari, suo padre, si sono fatti vivi?
«Come al solito, non pervenuti».
Ci è rimasta male?
«No, va bene, non avevo aspettative, non speravo in un lieto fine tardivo».
Ex fidanzati citati nel libro?
«A parte Mario (il fidanzato dell'epoca in cui Elena Di Cioccio scopre di essere positiva all'Hiv, ndr), che siamo cari amici anche oggi, gli altri silenzio».
Come sono invece i messaggi del 99,9%?
«Arrivano dalle persone più disparate. Sono gradevoli, graziosi, di stima, e anche divertenti: ho dei colleghi molto brillanti che mi hanno mandato anche messaggi buffi, prese in giro. Altri mi hanno anche mandato proposte di matrimonio, molti “farei sesso con te h24”, o “ti tromberei lo stesso”».
Chi le ha scritto?
«Un paio di persone sieropositive come me che erano nella mia rubrica, attualmente seminascoste, che si sono aperte con me e mi ha fatto molto piacere. Poi sono arrivate tante mail di altri sieropositivi che hanno condiviso la loro storia, e, come sapevo già, si tratta di persone di tutti i tipi e orientamenti sessuali: dalla mamma con figli al papà di un sieropositivo che mi scrive che non ha capito quale fosse l'impatto emotivo dell'hiv: ragazzi gay che chiedono informazioni mediche e che io indirizzo verso medici; sposati, non sposati, giovani, vecchi, figli di sieropositivi che per la prima volta si sono messi dalla parte dei genitori che non avevano capito fino in fondo; molti che ora stanno valutando se fare coming out e liberarsi del segreto».
E poi?
«Altri messaggi arrivano da chi mi chiede come ho fatto a uscire da relazioni tossiche, sull'uso di sostanze, oppure persone che hanno perso i genitori perché si sono suicidati, chi ha avuto lutti importanti e in generale chi ha avuto grossi dolori e non si è sentito capito o non ha capito gli altri. Tutto con grande delicatezza».
Queste centinaia di messaggi un po' erano prevedibili, visto che aveva invitato i lettori, nel libro, a condividere con lei le proprie storie.
«Quando ho finito di scrivere il libro ero presa benissimo, ero pacificata, felice, volevo bene a me e anche a chi mi leggeva. Quindi ho pensato: se hai voglia di raccontarti anche tu, io ti leggo volentieri. Visto il grande successo della proposta, a questo punto ho pensato di farlo diventare un appuntamento fisso: una rubrica su Vanity Fair, primo magazine che ha ospitato la rivelazione del mio libro».
Si chiama Segreti e parte il 19 maggio: che tono avrà?
«Sento che c'è il desiderio di fare quello che ho fatto io: tirare la riga e dire “ho bisogno di essere vero”. Vorrei che la rubrica fosse uno spazio dove sentirsi a proprio agio, essere letti, non giudicati e non banalizzati, dove sentirsi abbracciati e capiti. Anche perché con un amico non è lo stesso: non dò consigli o soluzioni, offro un tempo di ascolto. Anche perché ho capito una cosa, che mi è successo anche quando conducevo la trasmissione sul sesso La Mala Educaxxion».
Quale?
«Le persone che sono un po' bloccate, se leggono qualcosa su un giornale, o lo vedono in Tv, hanno uno spunto, un appiglio, per parlarne anche in casa. Ecco, se solo una delle mille storie di Segreti riuscirà a fare venire a galla delle cose che finora si nascondono per stare sentire meglio le persone che leggono, avrò fatto un buon lavoro».