Elly Schlein si prende l'opposizione e sfida Giorgia Meloni su lavoro ...

16 Mar 2023
Elly Schlein Giorgia Meloni

Il question time di Giorgia Meloni alla Camera è stato teatro del primo vero faccia a faccia con la nuova leader dell’opposizione, la segretaria del Pd, Elly Schlein. L’esito non ha tradito le attese: due visioni opposte si sono confrontate e scontrate, con la battuta finale conquistata da Schlein: «Lei oggi è al governo, io faccio l’opposizione».

Basso il contenuto tecnico, alto quello politico: per la sua prima uscita dal valore simbolico – nella settimana del congresso della Cgil – la neosegretaria ha scelto il salario minimo come argomento per mettere in difficoltà il governo. L’incontro, seguito dall’emiciclo con la curiosità di chi osserva dal vivo una rivalità nascente, ha avuto due fasi.

Nel suo intervento di presentazione della domanda al governo, necessariamente costretta dai tempi d’aula, Schlein ha esordito sottolineando il suo «signora presidente» a una premier che preferisce essere appellata al maschile. Ha ripreso quasi alla lettera alcune considerazioni del suo discorso di insediamento, mettendo al centro del suo intervento «i lavoratori poveri, che sono soprattutto i giovani e le donne».

Poi la segretaria ha chiesto al governo di fissare «per legge un salario minimo, perché sotto una certa soglia non si può chiamare lavoro ma sfruttamento», infine ha rilanciato sulla richiesta di approvare una legge sul congedo paritario retribuito di almeno tre mesi: «noi ci siamo», ha concluso, quasi tendendo la mano al governo e fedele all’impegno assunto domenica alla Nuvola di fare opposizione, ma portando sempre anche proposte. Proprio su questo ha incassato un «sono disponibile a confrontarmi» da parte della premier, che ha aggiunto un inaspettato «sul congedo paritario siamo molto d’accordo».

Il salario minimo

Dopo il miele, però, è arrivato l’aceto. Meloni, infatti, ha risposto col mestiere di chi conosce l’aula e sa districarsi con la retorica della politica. Circondata dal suo governo a ranghi riuniti come nelle occasioni importanti, ha parlato di «sincerità che fa onore al Pd» nel sollevare il tema dell’abbassamento dei salari, visto che «chi ha governato fino a ora ha reso più poveri i lavoratori» e «questo governo deve fare quello che può per invertire la rotta».

L’armamentario preferito della premier, infatti, è rimasto quello che utilizzava all’opposizione: dare la colpa a chi ha governato prima di lei. Nella sua risposta ha detto di avere un approccio «pragmatico e non ideologico» ma il salario minimo legale rischia di creare condizioni di lavoro peggiori, rivedendo verso il basso i salari.

Nella replica - che il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, ha lasciato più lunga chiudendo un occhio sui tempi contingentati – Schlein ha dato il tono alla sua opposizione, rivendicando il suo ruolo e quello opposto di Meloni che ora non può più rispondere alle domande con altre domande. «Andate in direzione opposta e sbagliata.

Sono i rave, i condoni, la guerre alle Ong e da ieri colpire i diritti delle famiglie omogenitoriali. Sulle politiche sociali solo tre parole: incapacità, approssimazione e insensibilità», è stata la conclusione di Schlein, in un’aula che a quel punto si è animata soprattutto dai banchi di Fratelli d’Italia, che Meloni ha calmato con un gesto della mano. Applausi del Pd, coi deputati a fare la fila per stringerle la mano, silenzio da quelli del Movimento 5 stelle e del terzo polo che pure Schlein aveva applaudito nei loro interventi.

L’opposizione

Tornato il silenzio nell’aula, è rimasto palpabile soprattutto il nervosismo negli altri partiti dell’opposizione che da una polarizzazione dello scontro rischiano di venire schiacciati ai margini. Pochi minuti prima dell’intervento di Schlein, il leader Cinque stelle, Giuseppe Conte, ha twittato sul salario minimo, quasi a rivendicarne il primato.

Fuori dall’emiciclo, i deputati del terzo polo hanno storto la bocca alle domande su Schlein, liquidando lo scontro come uno show mediatico ma povero di contenuti. Lei, però, ha già iniziato a parlare da federatrice, auspicando «una convergenza con tutte le altre opposizioni per fare insieme una battaglia in parlamento e nel paese». Poi ha annunciato l’adesione del Pd al presidio di sabato a Milano, per il riconoscimento all'anagrafe dei figli e delle figlie delle famiglie omogenitoriali.

La giornata, tuttavia, si è chiusa con la certificazione di una nuova polarizzazione, anche se lo scontro non ha trasceso nei toni. Il question time è stato un botta e risposta solo formale: entrambe hanno hanno parlato al loro elettorato di riferimento più che l’una all’altra, fissando così il perimetro del rispettivo campo. Chi sta intorno, rischia invece il cono d’ombra.

I migranti e il Mes

Se il Pd ha scelto di puntare sul salario minimo, concentrando l’attenzione anche mediatica su questo, a presidiare il tema dei migranti è rimasto il deputato di +Europa, Riccardo Magi. Incalzata sulla questione dell’ultimo naufragio che ha visto la morte di 30 migranti, Meloni ha risposto leggendo, come invece non ha fatto negli altri interventi. «Il tragico evento del naufragio si è svolto in area Sar di responsabilità della Libia» dunque «l’Italia è intervenuta in acque che non erano di sua competenza», è stato l’argomento della premier. Anche in questo caso, la sua strategia è stata l’attacco all’opposizione che «mette in discussione per fini politici l'operato di chi ogni giorno rischia la vita».

Una risposta che ha acceso Magi, che non ha accettato il ribaltamento di piani: «A quelle latitudini la Guardia costiera ha effettuato salvataggi. La domanda è: cosa è cambiato?». La sensazione è che proprio sul tema migratorio il governo rimanga in posizione più debole. A Meloni, infatti, sono mancate la dialettica ma anche le risposte puntuali sul tema, proprio come già successo al ministro Matteo Piantedosi nel rendere l’informativa sul naufragio di Cutro.

Stesse incertezze anche sulla domanda sulla ratifica del Mes – il meccanismo europeo di stabilità - posta dal deputato di Italia viva, Luigi Marattin, che la premier ha aggirato, rimandando la questione «alla revisione delle regole europee». Nel calendario d’aula, tuttavia, la ratifica sarebbe fissata per aprile e il governo dovrà sciogliere le ambiguità.

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