Emanuela Orlandi «non fu rapita»: gli 8 file segreti, il ruolo dello ...
Emanuela Orlandi «non fu rapita». Sul caso della Vatican girl ci sarebbero nuovi elementi a seguito delle audizioni della Commissione bicamerale - nata anche per indagare sulla scomparsa di Mirella Gregori - che si sono svolte il 10 ottobre 2024. «Io credo che sia stato un normale caso di violenza, una prepotenza finita male di un membro del cosiddetto giro amical-familiare, potrebbe essere stato un amico di famiglia, un cugino uno zio». Lo ha detto il giornalista e scrittore Pino Nicotri.
Molte parti dell'audizione, durata circa tre ore, sono state secretate su richiesta dello stesso Nicotri.
Alla domanda su come faccia ad avvalorare questa ipotesi, oltre a spiegare ai commissari i tanti elementi raccolti durante anni di investigazione e confluiti in diversi libri tra cui «Emanuela Orlandi, Il rapimento che non c'è», Nicotri ha detto che in conclusione, «c'è una cosa che taglia la testa al toro», «se tu metti in giro per tutta Roma il numero di casa tua con i manifesti su un caso come questo, ovvio che si scatena la mitomania, ma non è un complotto. L'ipotesi più semplice è quella che viene eliminata e ricordo che non è mai stata fornita una prova del rapimento, poi tutto il contorno delle telefonate alla fine sono una roba che non serve a niente».
Il ruolo dello zioInoltre, il giornalista investigativo si è dilungato con i commissari sul ruolo dello zio di Emanuela, Mario Meneguzzi. Del resto, la secretazione è cominciata proprio quando il giornalista ha incominciato a rispondere a una domanda in merito del presidente della Commissione, il senatore Andrea De Priamo. In parti non secretate, Nicotri ha comunque ripercorso il giorno della scomparsa il 22 giugno 1983, rispetto all'alibi del Meneguzzi. «Lui è stato interrogato da Sica - ha detto - sui suoi alibi due anni dopo, non lo deve avere convinto perchè lo ha fatto pedinare; poi la memoria dei familiari diventa, diciamo, accomodante».
«Nel suo libro - continua - Pietro Orlandi dice che la zia Anna (la moglie di Mario Meneguzzi, ndr.) era amorevolmente intenta a fare la pizza a casa invece poi viene fuori che era a Torano, non dico che le testimonianze dei familiari siano fasulle, diciamo smemorate».
Alla domanda del deputato Dario Iaia su quali siano a suo parere gli elementi che non quadrano, Nicotri ha risposto: «Per quanto riguarda Torano, ho letto su Facebook una Meneguzzi che ha detto che da Torano a Roma ci sono 300 km invece sono una novantina che si possono fare comodamente in autostrada. Un'altra cosa non notata sufficientemente, è che Meneguzzi dice che Ercole Orlandi gli ha telefonato alle 20:30 e poi lo ha ribeccato solo a mezzanotte, ma se la zia Anna era a Torano, Mario Meneguzzi era davvero a Torano? Insomma, dove stava quest'uomo?, nessuno ha chiesto in maniera seria ai parenti dove stava Mario Meneguzzi».
Pino Nicotri ha consegnato alla Commissione anche del materiale tra cui sei file di testo e due sonori, uno riguarda una sua conversazione con don Gaetano Civitillo, e l'altro è parte di una sua telefonata con l'avvocato Gennaro Egidio che non si sarebbe mostrato sorpreso nel momento in cui Nicotri gli riferiva della «scarsità di indagini nei confronti del Meneguzzi».
Il ruolo di AccettiUn ruolo nella vicenda di Emanuela Orlandi di Marco Fassoni Accetti, come mera «ipotesi di scuola», «non si può escludere». «Accetti - ha spiegato Nicotri - era il fotografo di scena a palazzo Massimo, non distante dalla scuola di musica frequentata da Emanuela, e lui andava lì e alle feste faceva le foto, frequentava questo palazzo.
C'è poi anche la testimonianza del figlio di un gioielliere della zona di corso Rinascimento, secondo cui Accetti gli avrebbe chiesto se voleva fare un provino. In quella zona ci girava, non potrei escludere che Accetti l'abbia vista in zona, anche perchè ho appurato che aveva la disponibilità di un altro negozio sempre da quelle parti ma è una pura ipotesi di scuola».
Nicotri ha poi bollato come «una sciocchezza» la pista di Londra, sostenendo che una grafologa «ha dimostrato che la presunta firma dell'ex arcivescovo di Canterbury George Carey» in una lettera del 1993 che sarebbe stata inviata all'allora vicario di Roma, Ugo Poletti, sarebbe in realtà «una firma falsa reperita su Google da documenti veri firmati, è stato un trasferire le firme su un testo». La grafologa è la veneziana Sara Cordella, docente di Metodologia e Grafologia Peritale e consulente in vari processi penali.