Paolo Antonacci, figlio di Biagio e nipote di Gianni Morandi: «Scrissi ...
di Andrea Tinti
Da Tananai ad Annalisa (di cui ha firmato Mon Amour), molti recenti successi portano la firma del musicista bolognese, figlio di Biagio Antonacci e Marianna Morandi: «Mi danno consigli, poi forse non sono bravo a seguirli. Vorrei cantare le mie canzoni»
Ripubblichiamo l’intervista di Andrea Tinti a Paolo Antonacci, pubblicata ad agosto, una delle più apprezzate dalle nostre lettrici e dai nostri lettori nel 2024
Paolo Antonacci, 29 anni, figlio di Marianna Morandi e Biagio Antonacci, nipote di Gianni Morandi, nato a Bologna, è uno degli autori più prolifici delle ultime stagioni. Da Tango di Tananai a Mon Amour di Annalisa molti successo portano la sua firma: un under 30 che ha fatto della creatività il suo mestiere.
Come si arriva ad essere uno degli autori più interessanti della scena italiana?
«Corsi e ricorsi della vita. Sono nato pensando costantemente alle canzoni. A un certo punto ho deciso di entrare in studio, di scrivere e per un bel po’ di tempo, ovviamente, non è successo niente. Poi spallata dopo spallata siamo arrivati qua ed essere interessanti, forse, rimane l’unica cosa importante che continuo a perseguire».
Ha fatto della creatività il suo mestiere. Come ci si sente?
«È una cosa bellissima e a volte ne sono scioccato. Non avrei potuto fare altro, anche se è brutto da dire. Oggi mi sento veramente benedetto».
Il primo brano scritto?
«Da bambino mentre ero alle elementari, ovviamente, per la ragazza che mi piaceva. Nella mia testa pensavo che chi scriveva canzoni sarebbe stato notato».
Quando scrive pensa a chi potrà interpretare il pezzo?
«Sì, penso a chi dovrà ricevere il brano perché ogni artista ha un suo lessico, dei mondi che sono giusti per lui e non sono sovrapponibili. Quindi con ognuno di loro, anche insieme, cerco di scegliere i passi giusti».
Bologna l’ha aiutata nella sua carriera?
«Sì, anche se non so esattamente come ma c’è qualcosa nell’aria, c’è una vibrazione che ti porta a pensare che puoi diventare uno di quei ragazzi che si sono trasformati in creativi. Fondamentali i bar, dove si possono ascoltare le storie raccontate dagli adulti».
C’è uno o più brani di cui è più fiero?
«Sono fiero di tante canzoni, dalle leggere alle impegnate. Sono fiero quando vedo che la gente le canta. Se devo citarne un paio posso dire Tango, una ballata che potrebbe avere l’ambizione di durare un po’ di più nel tempo e il primo pezzo che ho cantato, L’età d’oro, quello con cui mi sono lanciato nel mondo del cantautorato (il nome d’arte è Paolo Santo)».
Quali sono i suoi punti di riferimento?
«La scuola bolognese, quella romana, poi è arrivato il rap e l’urban. Il mondo dell’arte lo frequento da un punto di vista cinematografico. Ho una serie di rituali multimediali, sono sempre tra documentari e cose del genere che mi aiutano a scrivere».
Crede che la sua giovane età abbia in qualche modo inciso sul suo successo?
«Sì, per via di una freschezza legata banalmente ai fattori lessicali e a quelli melodici. Non tanto per gli argomenti trattati che sono sempre quelli da una vita ma per il modo».
I suoi parenti le danno consigli artistici?
«Sì, mi danno tutti dei consigli, poi magari non sono così bravo a seguirli».
Da grande cosa pensa di fare?
«È una domanda che mi faccio tutti i giorni, perché mi piace stare tra le canzoni, vorrei cantarle e riuscire ad aprire bene questo occhio di bue su di me come cantautore, senza perdere la parte autoriale. Questa domanda scatena in me una serie di ansie che mi porterò dietro».
23 dicembre 2024
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