Consiglio Ue. Meloni al bivio sulle nomine per le cariche che ...

3 giorni ago

Meloni al Consiglio Europeo - Ansa

Giorgia Meloni - Figure 1
Foto Avvenire.it

Sono ore decisive per definire la posizione del governo italiano rispetto ai nuovi equilibri europei. Il Consiglio dei Ventisette capi di Stato e di governo è riunito per trovare la quadra sui tre "top jobs" delle istituzioni comunitarie, le tre più alte cariche dell'Ue: la presidenza della Commissione Europea, del Consiglio Europeo e dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza. In realtà l'intesa già c'è e riguarda le famiglie dei popolari, dei socialisti e dei liberali, che teoricamente garantirebbero la maggioranza anche nell'Europarlamento: la popolare tedesca Ursula Von der Leyen per il bis alla Commissione Ue, il socialista portoghese Antonio Costa alla guida del Consiglio Ue e la liberale estone Kaja Kallas nel ruolo di Alto rappresentante per la politica estera. Tecnicamente nel vertice dei Ventisette la maggioranza qualificata per varare i tre "top jobs" già c'è. Il punto è che l'Italia, Paese fondatore, con una premier, Giorgia Meloni, presidente del gruppo dei Conservatori europei escluso dalle trattative, non ha dato il "via libera".

Non è un nodo aritmetico, ma politico. I Ventisette vogliono l'adesione della presidente del Consiglio che però resta ferma, al momento, contro la logica dei "patti pre-confezionati". In gioco c'è anche la casella che l'Italia avrà nella nuova Commissione: si annuncia un ruolo di prestigio proprio per il "sacrificio" di dover offrire un appoggio a un patto Ppe-Pse-Renew. Ma non pare sufficiente a chiudere il cerchio. Per cui tra le ipotesi c'è anche quella di un voto "spacchettato", con Meloni che potrebbe dire sì a Von der Leyen, con cui ha un rapporto consolidato, e dire "no" invece a Costa e Kallas, che fanno parte delle due famiglie politiche, Pse e Renew, più ostili ai Conservatori. Intanto i messaggi e le pressioni si moltiplicano.

Incide, nella decisione italiana, anche il clima italiano, con Salvini e la Lega pronti ad alzare la voce contro eventuali "inciuci europei".

​Salvini avvisa: puzza di colpo di Stato

Sulla difficile decisione cui è chiamata Meloni prova a incidere anche il vicepremier e capo della Lega Matteo Salvini, contrario al bis di Von der Leyen e parte del gruppo Identità e democrazia, che ormai gioca una partita alternativa rispetto a quella dei Conservatori in cui è inserita Fratelli d'Italia. "Sento puzza di colpo di Stato", dice il leader del Carroccio e sembra un avviso alla premier perché non conceda il "sì" italiano. "Quello che sta accadendo in queste ore - le affermazioni di Salvini - puzza di colpo di Stato. Sembra un colpo di Stato perché milioni di europei hanno votato in Italia, in Francia, in Germania e in Spagna e hanno chiesto di cambiare l'Europa, hanno chiesto un cambiamento dell'Europa da tutti i punti di vista. E che cosa ti ripropongono quelli che hanno perso voti? Le stesse facce. Quindi, Ursula von der Leyen, un socialista al Consiglio europeo, una persona indicata da Macron per la politica estera".

Il segnale (parziale) di Tusk: non c'è decisione senza Meloni

"Nessuno rispetta la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e l'Italia più di me. E' un malinteso: a volte servono delle piattaforme politiche specifiche per agevolare il processo, la posizione comune dei tre maggiori gruppi serve a facilitare il processo. La decisione spetta al Consiglio Europeo. Non c'è Europa senza Italia, non c'è decisione senza Giorgia Meloni. Per me è ovvio", dice il primo ministro Donald Tusk, popolare, lanciando un segnale distensivo. Tuttavia, lui si riferisce a Meloni come presidente del Consiglio, non come leader di un eurogruppo parlamentare che, sinora, non partecipa ai tavoli. Quindi quello di Tusk va messo tra i tentativi di addolcimento. Sono diversi i leader europei che stanno spendendo parole al miele verso la premier italiana senza però mettere in discussione il fatto che il patto sulle nomine riguardi popolari, socialisti e liberali, senza allargamenti.

Il veto di Schlein: mai con Ecr​

A rendere rovente il clima, l'arrivo a Bruxelles di Elly Schlein che ribadisce la posizione dei socialisti: "No a qualsiasi tipo di alleanza con il gruppo Ecr guidato da Giorgia Meloni, così come con il gruppo Id di Le Pen e Salvini. Per noi non può essere quella la strada, per noi è un 'no go', non si può fare qualsiasi alleanza con loro. Se bisogna allargare per noi va fatto ad altre famiglie democratiche come quella dei Verdi, con cui ci sono tante battaglie condivise, a partire dal Green Deal". La sfida italiana si sposta dunque a Bruxelles.

Le mediazioni di Tajani

Prova a mediare Antonio Tajani, leader di Forza Italia e vicepremier, esponente italiano del Ppe: "Nel prevertice dei popolari ho detto di fare attenzione ad escludere i Conservatori da qualsiasi forma di dialogo, perché significa far sì che vadano a parlare con la Le Pen. Se vogliamo avere una forza di destra moderata che sia diversa dall'estrema destra, dobbiamo essere noi gli interlocutori. Insomma - prosegue - il Ppe deve avere due interlocutori, uno a destra e uno a sinistra, se vogliamo dare stabilità alle istituzioni. Non sono neanche d'accordo a mettere tutto nelle mani dei Socialisti e dei Liberali, che hanno perso le elezioni".

LA VARIABILE POLACCA E DI LE PEN

Altro elemento che rende rischiosa la partita di Giorgia Meloni, la stabilità del suo eurogruppo, Ecr. I Conservatori ambirebbero ad essere la terza forza parlamentare, ma rischiano di perdere i polacchi del Pis. In un'intervista, l'ex primo ministro della Polonia, Mateusz Morawiecki, afferma che Diritto e Giustizia (PiS) potrebbe lasciare la squadra presieduta da Meloni. Il suo partito, dice, sta valutando la possibilità di creare un nuovo gruppo chiamato Europa Centro-Orientale, o in alternativa Gruppo dei Tre Mari, insieme ad altri partiti populisti come Fidesz del primo ministro ungherese Viktor Orban, l'Azione dei Cittadini Insoddisfatti di Andrej Babis e il Partito democratico sloveno di Janez Jansa. Ma gli scontenti di Ecr sentono anche le sirene di Marine Le Pen, che potrebbe aggregare un altro gruppo di destra diverso. Secondo Fratelli d'Italia, sono parole che servono soltanto ad alzare la posta internamente ai Conservatori.

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