Giornata contro la violenza sulle donne, Alberto Pellai: «Ecco come ...

3 ore ago
Giornata contro la violenza sulle donne

Gli italiani l’hanno capito: per combattere la violenza sulle donne bisogna dialogare soprattutto con bambini e adolescenti, sensibilizzandoli, prima che sia troppo tardi. Serve un’educazione affettiva – anche come materia da introdurre nei programmi scolastici – al rispetto dell’altro. Lo rivela la ricerca di INC Non Profit Lab Prima che sia troppo tardi. Educare i giovani all’affettività per contrastare la violenza di genere, condotta da AstraRicerche, su un campione di italiani tra i 18 e i 75 anni.

In vista della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne (25 novembre), i risultati sono stati presentati nella sede Rai di Viale Mazzini. «Colpisce che i genitori confermino che non è mai troppo presto per farlo, visto che accetterebbero messaggi di questo tipo anche per i figli under 14 e già dai 5 anni», ha osservato Paolo Mattei, Vicepresidente di INC. «La ricerca fa però risuonare un campanello d’allarme per i maschi di età compresa tra i 18 e i 24 anni, che, a differenza delle loro coetanee, sembrano i meno informati e i meno sensibili sul tema».

Negli ultimi anni abbiamo visto tante campagne di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, in Italia e nel mondo. Ma per 4 italiani su 10 sono a volte retoriche, ripetitive e poco utili a incidere sul problema. «La sensazione, confermata anche dalla nostra ricerca, è che oggi per generare un cambiamento significativo nei comportamenti di abuso e violenza serva un cambio di paradigma anche nella comunicazione», ha spiegato Pasquale De Palma, Presidente di INC. «Serve educare bambini e i ragazzi, “prima che sia troppo tardi”, e senza differenze di genere. E spostare l’obiettivo, perché oggi più che mai è fondamentale educare i giovani all’affettività, come antidoto alla violenza sulle donne».

Per 8 italiani su 10 è opportuno far diventare l’educazione all’affettività una materia di studio nel corso scolastico di bambini e adolescenti (79,7%). I temi a cui dare priorità sono quattro: come riconoscere i segnali della violenza di genere (72,6%), come superare gli stereotipi di genere (48,1%), come affrontare il tema della rabbia (45,6%) e quello dei rapporti sentimentali e amorosi (40,1%).

In ogni caso il compito di trasferire educazione su questo tema resta per il 65,5% del campione anche in capo alla famiglia, ma per il 61% degli italiani dovrebbero essere demandata ai docenti e, con percentuali minori, alle Istituzioni locali, ad altre figure estere di riferimento, come il medico, ad esempio.

Secondo Alberto Pellai, medico psicoterapeuta e ricercatore del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università degli Studi di Milano, presente all’incontro, è ora di passare dalla prevenzione «secondaria» a quella «primaria». «Abbiamo insegnato a riconoscere una relazione disfunzionale, il controllo e la manipolazione, abbiamo spiegato a chi si trova in una condizione di rischio che cosa deve fare. Ma ora bisognerebbe lavorare sui “fattori di protezione”, sull’educazione sentimentale, emotiva e sessuale», ha spiegato. «I nostri bambini che si trovano in un mondo che li iperstimola ma non li protegge. Su di loro viene puntato uno sguardo alla Lucignolo (e non alla Geppetto), quello che vede Pinocchio come maldestro, fragile e vulnerabile, e lo indirizza verso il paese dei balocchi, senza alcun nessun progetto educativo che possa renderlo una persona che abita la vita in modo competente».

Quali sono queste competenze? «La competenza del rispetto, la dimensione della responsabilità e quella dell’empatia, la capacità di essere connessi con il mondo interiore, la competenza emotiva, sentire ciò che sente l’altro, l’attivazione dei neuroni specchio», dice Pellai. «Invece, spesso, nelle relazioni fra i giovani, l’"altro" non viene sentito. Il rischio, nella vita digitale, è enorme: mentre siamo qua a parlare di progetto educativo e di fattori protezione, il 70-80% dei maschi preadolescenti naviga nella pornografia, un mondo sempre più violento e oggettificante, che vede la donna non come persona, ma come contenitore del piacere, a cui non si chiede consenso, ma obbedienza».

L’educazione sessuale, oggi, non deve solo prevenire malattie e gravidanze, «ma trasformare la sessualità in una dimensione che integra la prospettiva emotiva e socio-relazionale». Prima che sia troppo tardi.

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