Oggi è la Giornata contro la violenza sulle donne: perché si celebra ...

4 ore ago
Giornata contro la violenza sulle donne

Il 25 novembre del 1960 la jeep su cui viaggiavano tre donne rimase vittima di un’imboscata: loro vennero bastonate, uccise, i loro corpi rimessi sull’auto che fu lanciata in un fosso per far credere che la loro morte fosse stata soltanto un’incidente.

Le tre donne si chiamavano Patria, Minerva e Maria Teresa Mirabal, erano tre sorelle che nella Repubblica dominicana degli anni Cinquanta osarono sfidare il regime di Rafael Leonidas Trujillo. Avevano scelto un nome di battaglia: “Mariposas”, farfalle.

Cosa è successo il 25 novembre 1960

La loro morte un incidente non era, ma un assassinio, un triplice omicidio, anzi un triplice femminicidio. In tanti non vollero credere alla versione ufficiale e quella strage familiare segnò forse la fine della sanguinosa dittatura di Trujillo, che fu a sua volta assassinato il 30 maggio dell’anno successivo.

“Durante un’epoca di predominio dei valori tradizionalmente maschili di violenza, repressione e forza bruta, dove la dittatura non era altro se non l’iperbole del maschilismo, in questo mondo maschilista si erse Minerva per dimostrare fino a che punto ed in quale misura il femminile è una forma di dissidenza”, – racconterà anni più tardi Adela, detta Dedé, l’unica sopravvissuta di quel femminicidio tra le sorelle Mirabal.

La risoluzione delle Nazioni Unite

Ecco come nasce la celebrazione del 25 novembre: la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1999, ricorda la morte violenta delle tre Mariposas.

Nella risoluzione dell’Onu è scritto oggi che per violenza contro le donne s’intende "qualsiasi atto di violenza di genere che si traduca o possa provocare danni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche alle donne, comprese le minacce di tali atti, la coercizione o privazione arbitraria della libertà, sia che avvengano nella vita pubblica che in quella privata".

“Non Una di Meno”

In Italia a partire dal 2016 femministe e transfemministe riunite nel grande movimento nazionale di Non Una di Meno scendono in piazza il 25 novembre contro la violenza maschile. E così è anche quest’anno in decine di città, da Milano a Bologna, da Venezia a Roma. Il nome del movimento riprende quello coniato in Argentina nel 2015 che s’ispira ai versi della poetessa messicana vittima di femminicidio Susana Chávez: “Ni una mujer menos, ni una muerta más (Né una donna in meno, né una morta in più)”.

Il colore fucsia del 25 novembre

Se in Argentina il colore della rivolta femminista è il verde, in Italia è il fucsia, un colore che include anche altre identità di genere, altri orientamenti sessuali, che con le donne condividono l’oppressione da parte della cultura patriarcale.

Perché le scarpe rosse

Prima del fucsia però c’è stato (e c’è ancora) il rosso, il colore del sangue, delle panchine contro la violenza sulle donne e delle scarpette rosse, per anni simbolo degli abusi, dei maltrattamenti e dei femminicidi. La storia è questa: un’artista messicana, Elina Chauvet, il 22 agosto 2009 posizionò in una piazza della città 33 paia di scarpe femminili, tutte rosse. L’idea di Chauvet nacque per la necessità di inventare un’immagine potente che non potesse lasciare indifferenti e accendesse dunque un faro sulla violenza di genere. Ma anche per ricordare la sorella, assassinata dal marito a soli vent’anni.

Lo slogan del 25 novembre

Oltre i simboli, c’è la potenza delle parole: quest’anno lo slogan che risuona nelle piazze italiane nella Giornata contro la violenza sulle donne è “Disarmiamo il patriarcato”. Perché, spiegano le attiviste di Non Una di Meno, “abbiamo altre priorità che la logica geopolitica cancella: lottiamo contro la violenza e la cultura dello stupro che ci opprimono, contro i confini interni e esterni, contro la militarizzazione dei territori e la devastazione ambientale ormai dispiegate e presenti nel nostro quotidiano. Disarmiamo il patriarcato, per fermare la guerra, nelle case, sui corpi, sui territori e sulle nostre vite”.

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