Giulio Regeni, cosa sappiamo dell'uccisione del ricercatore italiano

3 Giu 2024
Giulio Regeni

Il sito della trasmissione Report si pone una domanda: «Il racconto ufficiale sulla scomparsa e ritrovamento di Giulio Regeni corrisponde davvero a quanto accaduto in quei giorni?». Questa domanda se la sono posta in molti negli anni passati dalla scomparsa e dall'omicidio del ricercatore italiano avvenuti nel gennaio del 2016. Chi sapeva? Chi seguiva Giulio Regeni? Report ha reso noto che c'erano state notizie di Giulio ancora in vita nei giorni della scomparsa, prima del ritrovamento del corpo seviziato del ricercatore.

La verità di Report

Un super testimone e alcuni documenti inediti mostrati dalla trasmissione dimostrerebbero che nei giorni in cui il mondo si chiedeva dove fosse Giulio Regeni, qualcuno ai più alti livelli delle Istituzioni sapeva. Sono dieci i giorni che passarono dalla scomparsa di Regeni, il 25 gennaio del 2016, al ritrovamento del suo corpo senza vita.

In questo lasso di tempo le istituzioni italiane si mossero ai livelli più alti, dal Presidente del Consiglio al direttore dell’Aise, il nostro servizio segreto estero, senza però riuscire a salvare il ragazzo. Il governo egiziano negava ogni responsabilità e ogni notizia come hanno detto più volte il Ministro degli Affari Esteri Paolo Gentiloni e l’Ambasciatore d’Italia al Cairo Maurizio Massari.

Il messaggio che mostra Report dice «We don’t have him, but he’s still alive…», «Non ce l’abbiamo, ma è ancora vivo». Risalirebbe al 29 gennaio del 2016, quattro giorni dopo la scomparsa di Giulio Regeni, e sarebbe comparso sul telefono di una italiana, Zena Spinelli, che vive al Cairo e sarebbe arrivato da una persona vicina al governo egiziano. Confermerebbe che fino a quella data Regeni era vivo e direbbe anche che i servizi segreti italiani potevano esserne a conoscenza. Matteo Renzi, allora Presidente del Consiglio, all'udienza della commissione d'inchiesta, ha fatto un'altra data: ha detto di aver saputo della scomparsa solo il 31 gennaio. L’ambasciatore Massari aveva dato notizia il 28 e un’informativa dei carabinieri del Ros dice che il 29 Zena Spinelli aveva avvisato i Servizi del messaggio e che era in contatto con Gennaro Gervasio, la persona che Regeni doveva raggiungere il 25 gennaio 2016 nei pressi di piazza Tahir.

C'è un testimone che racconta tutto questo a Report e che dice di aver letto il messaggio, poi cancellato, dal telefono della signora Spinelli. Lei sarebbe stata in contatto con Ayman Rashed, direttore del ministro della Giustizia egiziano. Queste diverse date portano a chiedersi se, in quei giorni in cui almeno alcune persone sapevano che Giulio Regeni era vivo, non si sia davvero potuto fare niente per salvarlo. Fonti de Ilfattoquotidiano.it hanno detto che i servizi segreti italiani hanno incontrato il 27 gennaio e il 30 i loro omologhi egiziani.

Regeni in Egitto

Giulio Regeni è nato a Trieste il 15 gennaio 1988. Cresciuto a Fiumicello, in provincia di Udine, ha studiato all'Armand Hammer United World College of the American West in News Mexico, nel Regno Unito a Leeds e a Cambridge e anche a Vienna. Vinse due volte il premio "Europa e giovani" (2012 e 2013), al concorso internazionale organizzato dall'Istituto regionale studi europei, per le sue ricerche e gli approfondimenti sul Medio Oriente.

Era in Egitto dal settembre 2015 come dottorando dell'Università di Cambridge. Aveva già lavorato al Cairo per le Nazioni Unite e per la società privata di analisi politiche Oxford Analytica. La sua tutor a Cambridge, la professoressa Maha Abdelrhamann lo aveva indirizzato all’università americana del Cairo e affidato alla ricercatrice Rabab El Mahdi che, a sua volta, lo mette in contatto con Hoda Kamel, responsabile dell’Egyptian center for economic and social rights. Hoda Kamel presenta Giulio a Mohammed Abdallah, leader del sindacato degli ambulanti, ma che è anche informatore della Polizia. Sarà lui a segnalarlo agli apparati della sicurezza egiziana. Giulio e Abdallah si incontrano al mercato Ramses il 19 dicembre. La National Security continua la sua inchiesta che si chiude con la fine dell'anno quando Giulio torna in Italia.

Nonostante l'inchiesta dell'Nsa fosse stata formalmente chiusa, Abdallah registrò un suo incontro con Regeni con telecamere e cimici fornite dalla National security. Siamo al 6-7 gennaio 2016. Mohammed Abdallah gli chiese di utilizzare a fini personali i fondi del bando di ricerca che gli aveva prospettato Giulio e se vuole organizzare manifestazioni contro il governo il 25 gennaio. Giulio Regeni rifiuta in entrambi i casi. Nei giorni successivi il ricercatore continua a essere seguito e sorvegliato.

Rapimento e ultime ore

Fu rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir. Di sicuro c'è che Giulio Regeni, la sera in cui scomparve, doveva uscire. Il ricercatore 28enne italiano trovato ucciso al Cairo non era atteso a una vera festa di compleanno. Doveva incontrare soltanto una persona. La chiave della sua scomparsa è tutta in quei 40 minuti tra la sua ultima telefonata e lo spegnimento del suo cellulare.

Il pomeriggio del 25 gennaio Giulio è nel suo appartamento al terzo piano, in una strada tranquilla del quartiere Dokki. Alle 18 e 52 manda l'ultimo sms. È diretto al suo amico Amr Assad. Si tratta di un artista e traduttore 54enne egiziano. «Conoscevo Giulio da alcuni mesi. Parlavamo di arte e politica», ha spiegato a Vanity Fair. «L'ultima volta che l'avevo visto era stato prima di Natale». Amr non legge inizialmente il messaggio di Giulio. Il 28enne di Fiumicello gli dice che sta andando a vedere una persona. Una volta letto, decide di chiamare direttamente Giulio alle 19.51. Il cellulare risulta irraggiungibile.

Dieci minuti prima, alle 19 e 40, Giulio ha chiamato Gennaro Gervasio. È il suo tutor, docente di Scienze politiche all'Università britannica del Cairo. Lo sta aspettando per andare a cena assieme alla persona misteriosa in un ristorante nella zona di Bab al Louq. «Mi ha detto che si sarebbe mosso da casa verso le 20 per raggiungere la fermata della metropolitana di Dokki e che sarebbe sceso alla fermata Mohamed Naguib, da dove sarebbe venuto a piedi fino al ristorante». Non vedendolo arrivare, Gennaro chiama Giulio per ben tre volte. Nelle prime due (20.18 e 20.23) il cellulare squilla a vuoto. Nella terza (20.25) il cellulare è stato spento. Da quel momento non verrà più riacceso o ritrovato.

Ritrovamento

Gennaro Gervasio allerta alle 23 del 25 gennaio l’ambasciatore italiano. Parte la macchina delle ricerche, che si fermerà il 3 febbraio, dopo il ritrovamento del corpo del 28enne sul ciglio di un'autostrada. Il corpo è nudo e mutilato. Sono evidenti i segni di tortura. Giulio Regeni è stato picchiato, pestato. Ha lividi compatibili con lesioni da calci, pugni e aggressione con un bastone. Sono rotte le gambe e le braccia, cinque denti, tutte le dita di mani e piedi, sette costose. A questo si aggiungono le bruciature da sigarette, le coltellate, i colpi dati probabilmente con un punteruolo e i tagli procurati con lamette da rasoi. L'autopsia ha rivelato un'emorragia cerebrale e la frattura di una vertebra cervicale. Il colpo al collo che l'ha provocata sarebbe la causa della morte. Sarebbe stato interrogato e torturato per sette giorni. L'uccisione sarebbe avvenuta circa 10 ore prima del ritrovamento.

Indagini

Le prime dichiarazioni dall'Egitto parlano di un incidente stradale. La seconda versione dice che l'omicidio poteva essere avvenuto per motivi personali dovuti a una presunta relazione omosessuale oppure allo spaccio di stupefacenti. Tutte piste che non avevano alcun fondamento, ma sostenute dalle autorità egiziane che dicevano di voler garantire una piena collaborazione. Così non è stato perché sono scomparse riprese dei video delle telecamere di sicurezza, scomparsi i tabulati telefonici, è stata limitatissima la disponibilità dei testimoni.

Solo nel settembre 2016 il governo egiziano ha accettato di consegnare i tabulati e i magistrati del Cairo hanno ammesso che Regeni era stato sottoposto a indagini e sorveglianza da parte della polizia. Alcuni mesi prima, a marzo, la polizia egiziana aveva ucciso in una sparatoria quattro uomini, indicati come probabili responsabili del sequestro. In questa situazione vengono ritrovati anche i documenti di Regeni. Questi uomini saranno poi esclusi dalle indagini.

Indagine italiana

La vera indagine è quella che si fa in Italia e che si chiude, nella sua fase preliminare, i 10 dicembre 2020. Il 25 maggio 2021 sono stati rinviati a giudizio quattro ufficiali della National Security Agency, il servizio segreto interno egiziano: il generale Tariq Sabir, i colonnelli Athar Kamel e Usham Helmi e il maggiore Magdi Sharif. A queste quattro persone sono stati contestati il sequestro di persona pluriaggravato, il concorso in lesioni personali gravissime e l'omicidio. Sono risultati sempre irreperibili perché la magistratura egiziana non ne ha fornito gli indirizzi di residenza, né ha concesso ai magistrati italiani di essere presenti agli interrogatori.

Il governo egiziano e i servizi di sicurezza del governo di al-Sisi sono accusati di aver avuto un ruolo nell'omicidio: avrebbe considerato Regeni come un sovversivo, un organizzatore di rivolte, una spia. I giudici egiziani negli anni ha detto che le prove a carico degli agenti dei servizi segreti erano insufficienti e gli stessi agenti hanno sempre negato ogni coinvolgimento. Non solo l'Italia, ma anche l'Europa e vari gruppi hanno sostenuto la posizione italiana nella richiesta di poter processare i presunti responsabili della morte di Giulio.

Il processo

La svolta è arrivata il 27 settembre 2023. Una sentenza della Corte costituzionale dice che l’Egitto non può impedire che l’Italia processi gli imputati per il sequestro e l’omicidio di Giulio Regeni che è stato torturato prima di essere ucciso. Questi imputati possono essere processati anche se non sono presenti e non si sono potuti notificare loro gli atti, questione legale che aveva impedito il procedere del processo per due anni.

La Consulta ha stabilito che un dibattimento non può essere impedito dal rifiuto di collaborazione giudiziaria da parte dello Stato di appartenenza o residenza delle persone coinvolte. Questo rifiuto infatti è in contrasto con la Costituzione che garantisce l’uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge, il diritto al giusto processo, l’obbligatorietà dell’azione penale.

I quattro imputati sono gli agenti della National Security egiziana, accusati di aver sequestrato, torturato e ucciso il ricercatore italiano, Giulio Regeni. Sotto processo è però anche l'Egitto, paese in apparenza amico che nega però i diritti umani. In Corte d’Assise a Roma ci saranno i genitori di Giulio, Paola e Claudio, con la loro avvocata, Alessandra Ballerini. Lunghissima la lista testimoni di accusa e parte civile: il presidente egiziano, al-Sisi, l'ex premier Matteo Renzi e l'ex ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, Marco Minniti, ex responsabile della autorità delegata per la sicurezza della Repubblica, i tre capi dei servizi segreti che si sono succeduti nel tempo e l'allora segretario generale della Farnesina, Elisabetta Belloni oltre all'amministratore delegato dell'Eni, Claudio Descalzi. Anche la presidenza del Consiglio si è costituita parte civile.

Le udienze

Nell'udienza del 5 maggio 2024 è stato reso noto che uno degli 007 egiziani, tra gli imputati per il sequestro e l'omicidio di Giulio Regeni, era presente al sopralluogo del 10 febbraio 2016 che fu condotto dai team investigativi congiunti di Italia ed Egitto, lungo la strada dove fu ritrovato il corpo del ricercatore friulano. Lo hanno testimoniato gli investigatori dello Sco e del Ros. Si tratta di Uhsam Helmi che è a processo cono il generale Sabir Tariq, i colonnelli Athar Kamel Mohamed Ibrahim, e Magdi Ibrahim Abdelal Sharif per il reato di sequestro di persona pluriaggravato, e nei confronti di quest'ultimo i pm contestano anche il concorso in lesioni personali aggravate e il concorso in omicidio aggravato.

Al processo sono stati forniti i dettagli delle condizioni del corpo di Regeni. Aveva segni comuni a «quasi tutte le torture messe in atto in Egitto e descritte, tra cui pugni, calci, uso di mazze, bruciature. Gli accertamenti medico-legali compiuti in Egitto sono stati sotto lo standard minimo e quello che loro descrivono non è compatibile con ciò che abbiamo riscontrato noi. Gli accertamenti medico legali in Egitto sono stati incompleti e poco approfonditi». Questo ha detto Vittorio Fineschi, l'anatomopatologo docente e specialista in medicina legale consulente della procura di Roma, durante la quinta udienza.

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