Giuni Russo, ieri sera a Roma il concerto-tributo. Il racconto

3 giorni ago
Giuni Russo

Non poteva che tenersi dentro una nuvola, il concerto “Voci parallele” dedicato a Giuni Russo, artista in alto, multiforme, “altra” rispetto al gioco discografico di allora, figurarsi di oggi. Esattamente a venti anni dalla scomparsa, ieri sera a Roma, Auditorium della Nuvola, un gruppo di artisti ha reinterpretato parte del suo repertorio, accompagnato da un ensemble di dieci musicisti, tra cui il il quartetto d'archi della ForliMusica Orchestra. E che fosse un tributo serio lo si intuiva dalla scelta degli invitati: non i più streammati, non i più di tendenza, ma quelli che Giuni la conoscevano, che hanno davvero percorso un tratto di strada con lei, che l’hanno in più occasioni citata come fonte d’ispirazione o che le sono affini.

Anche Tiziano Ferro, presente con contributo video, non era lì a rinforzo promozionale, come accade nelle ammucchiate celebrative. Aveva già definito Giuni «dea della musica», «da celebrare ogni giorno, e invece». Invece si ha la sensazione che se ad agitare le acque della memoria non ci fossero Maria Antonietta Sisini (insieme a Giuni in arte e vita per oltre trent’anni) e qualche artista interessato a ciò che di bello la musica italiana ha prodotto, queste canzoni faticherebbero ad arrivare al pubblico, sarebbero “idrogeni nel mare dell’oblio”, tanto per citare. Del resto, fu così anche quando la Russo c’era e combatteva per farle conoscere. Stralci della sua biografia, tribolazioni comprese, sono recitati dall’attrice Pamela Villoresi, che Battiato volle per il suo film “Niente è come sembra”.

Ferro canta “Morirò d’amore”, ce l’ha nelle corde, la inserì in “Accetto Miracoli: L'Esperienza Degli Altri” del 2020. Il video lo mostra in studio di registrazione, probabilmente americano, ogni tanto abbassa gli occhi per non perdere una parola del testo: «Per me era importante esserci, tutti sanno quanto Giuni mi ha ispirato. Sapeva guardare avanti» dice «Sono lontano, ma non sapete quanto senta la sua voce vicina». È l’ultimo brano di Giuni, bocciato almeno due volte prima di passare al Festival di Sanremo nel 2003. Fu un’esibizione toccante, e questo indipendentemente dalle riletture, quando si scoprì che quella voce non l’avremmo risentita, e il testo diventò testamento. Era così originale Giuni, che vederla calva davanti al microfono, con i tatuaggi all’henné sul capo liscio, poteva sembrare un nuovo look. E invece. Con decoro e sorriso a mille denti, trascendeva la malattia attraverso una canzone.  

La parte pianistica di “Morirò d’amore” era di Roberto Cacciapaglia, e anche lui ieri sera ha suonato quel brano. Nel 1983, aveva curato missaggi e arrangiamenti dell’album “Vox”, che conteneva “Sere d’agosto”, riproposta dal bravo Filippo Graziani, che lo fa suonare come un brano di suo padre Ivan. A Irene Grandi si affidano “Alghero” e una twisteggiante “Mediterranea”, ad Amara “Limonata cha cha cha”, “Un’estate al mare” e “Illusione” ad Arisa, che è vocalmente impeccabile e da sempre ha il mito di Giuni. Forse non esiste artista italiana che abbia menzionato l’estate più spesso di lei. Ecco, approfittiamo per sfatare: spesso la sua non è l’estate spensierata degli ombrelloni-oni-oni, ma un tempo poetico e malinconico.    

Poi, si ripete fino alla noia che Giuni Russo è molto più che “Un’estate al mare” e tutto il filone balneare. Vero fino a un certo punto, perché, di frivolo, quei brani hanno solo l’apparenza. Sono frivoli se non senti i testi e l’intenzione: “per le strade mercenarie del sesso”, “abbattimento morale”, “consumerai la tua energia solo sui simboli”. Ma chi mette frasi simili nei disimpegni di stagione? A parte Colapesce-Dimartino, e siamo sempre nell’orbita battiatesca.

Franco Battiato adorava Giuni Russo. La produsse, scrisse per lei e con lei. Considerava la sua vocalità un miracolo, e ci teneva a specificare che l’aspetto tecnico non fosse comunque il più rilevante. Puoi avere una gran voce e non saperci mettere dentro niente. Giuni fu una delle sue sodali femminili, con Milva e Alice, che per l’occasione canta “A’ cchiù bella” e incanta con “L’addio”. Applausi. La prima risale alla fase in cui la Russo incontrava la canzone napoletana (su testo di Totò), la seconda è una romanza ascensionale, l’anno scorso comparsa a X Factor come un oggetto marziano.

Che c’entra nel cast Rita Pavone? Conosceva Giuni sin da quando si chiamava Giusy Romeo, ai tempi di Rita & l’Anonima Ragazzi, 1979, e a lei, di energia simile, spettano con “Con Te” e “Adrenalina”, che in origine era in duetto con la Rettore (e ci saremmo aspettati una convocazione di Donatella: a casa non c’era?). La Pavone smarrisce qualche parola e si scusa, ma a 79 anni resta scatenata e sul pezzo. Ricorda: «Giuni, persona straordinaria, cosa rara in questo campo, dove tanti hanno la puzzetta sotto al naso. Lei era d’incredibile modestia e semplicità. Modesti e semplici, i grandi sono così». 

Ron fa “Le contrade di Madrid”, Laura Catrani “Una serata molto strana” e “La Zingara”. Paolo Fresu, per un contrattempo, non è riuscito ad arrivare. La sua tromba avrebbe dovuto accompagnare “Malinconia, ninfa gentile” di Vincenzo Bellini, ma il brano, che inaugura la serata, è lasciato a Giuni, che compare come un’ombra cinese. Si riconosce dal ciuffo. Fresu era entrato già nella rivisitazione jazz di “A casa di Ida Rubinstein”, quel disco dell’88 in cui Giuni si cimentava con le arie da camera, andando «fuori strada» diceva lei. Che poi era la sua strada. Voleva esplorare, ricercare.

Ad ascoltarla, si capisce quanto sapesse spaziare: brani pop ironici, operistici, jazz, e dal sapore etnico, legati alla terra. Era palermitana di nascita e sarda per scelta. Isolana convinta. Convinta della sua isolitudine. “Strade parallele (aria siciliana)” è presa in carico da Mario Incudine (flauto e voce) e Antonio Vasta (piano); i Tenores di Neoneli traducono in sardo “La sposa”, testo ispirato all'Elogio alla Sapienza, contenuto nel Siracide. Perché Giuni fece anche questo. A un certo punto, imboccò le letture di testi sacri e mistici.

Il repertorio più spirituale è affidato alla portoghese Dulce Pontes, «sorella d’anima», che propone la lamentazione “O Vos Omnes” e “Nada te turbe”, con le parole di Teresa D’Avila. L’aveva eseguita per la prima volta alla Chiesa delle Carmelitane Scalze, e scalza si presenta in scena. Con la voce costruisce uno spazio magico: non vola una tosse. Essere sepolta fra le carmelitane scalze, nel loro al Cimitero Maggiore di Milano, fu l’ultimo desiderio di Giuni Russo. La quale mise Santa Teresa anche nel ritornello di “Moro perchè non moro”, qui cantata da Antonella Ruggiero (oltre a “Para Siempre”), una delle poche in grado di raggiungere disinvoltamente certe altezze. Il pubblico si alza in piedi. Simone Cristicchi e Amara sono altrettanto adatti a questo segmento del live. Da tempo portano sul palco il “Concerto mistico per Battiato”, frequentano gli eremi, non seguono la logica dei numeri. Qui si uniscono in un’arabeggiante “Vieni”, che ha una quartina del mistico persiano Rumi. A loro sarebbe calzata a pennello anche “La sua figura”, che cita Giovanni della Croce, e fu duetto da brivido fra Giuni e Battiato. È il brano che, giustamente, chiude la serata. Lo canta Giuni e basta.

In scaletta mancano brani tipo “Good good-bye”, “Se fossi più simpatica sarei meno antipatica”, “Una vipera sarò” (ma forse, chi poteva scalare fino a lassù?), “Post-moderno”: synth-pop, protorap, mash up con l’inglese che sarebbero perfetti da ripescare per i nuovi della musica leggera, quelli a caccia di cover e idee di campionamenti. A rifare “Crisi metropolitana”, ci ha appena pensato per conto suo Rachele Bastreghi. Ad altri forse Giuni non è pervenuta, per difetto di curiosità, di cultura musicale, o perché le vie dell’algoritmo sono finite e mandano solo nei paraggi di dove vuoi andare.  

Il 17 settembre alle 15.30 si tiene la cerimonia di intitolazione a Giuni Russo dei Giardini di corso Garibaldi a Brera, nel cuore di Milano, mentre Alghero ha già il suo affaccio sul mare, il Mirador Giuni Russo. Riconoscimenti importanti, però servono più i conoscimenti, iniziative per scoprire un tesoro, come la serata di ieri, il cui ricavato, tra l’altro, al netto dei costi, va alla Fondazione Vidas, che si occupa di assistenza gratuita ai malati inguaribili. Difficile comprendere una che sa cantare i fonemi giapponesi e le trifonie dei mongoli? Non se ha una verità da dire. Parole sue: «Quando la verità esce da un artista, incontra il pubblico. E questo la discografia dovrebbe imparare». Tutto è stato registrato in presa diretta, la Sony pubblicherà l’album del concerto. E in tv andrà? Misteri della fede. Dovrebbe, invece.

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