Green Day a Milano, tra 'Dookie' e 'American idiot' un tuffo nel rock ...

17 Giu 2024

Una punk band da grandi arene, stadi, ippodromi, un tempo sarebbe stata un ossimoro. I Green Day invece lo sono da anni, decadi anzi, almeno le due che li separano da American idiot. Un anniversario tondo come i 30 dal seminale Dookie, i due dischi che sono colonna portante degli show di questo tour suonati per intero agli 80mila di Milano - agli I-Days all’ippodromo La Maura sold out l’unica tappa italiana – seppur ci fosse un album di inediti appena uscito. Che fa capolino per un paio di brani nel mezzo del live più l’apertura, col singolo The american dream is killing me che avvia lo show con un pezzo dal tono quasi politico, come tanti altri della lunga produzione della band californiana, ma che come tanti altri dinnanzi a un mondo che va in fiamme preferisce la catarsi del sarcasmo a protesta o attivismo in senso stretto.

Green Day - Figure 1
Foto La Repubblica

Una band che dà il meglio da sempre nel suo lato più scanzonato, ma anche uomini adulti – come il loro pubblico, con media età dello show milanese sui trenta-e-qualcosa – con la necessità di affrontare un mondo che si trasforma. Ma del resto non è che la musica debba aver per forza la pretesa di cambiare il pianeta – tanto alla fine non lo fa mai, magari bastasse – però può riuscire a cambiare una giornata storta, l’umore di qualcuno, far scordare ansie, stress e frustrazioni. E allora per una notte quelle svaniscono, persino nella frenetica Milano che sa essere bella quanto schiacciante, e persino nell’eterna diatriba di set da festival, token ad acquisto minimo obbligatorio, file, e tutto l’immancabile corollario che i grandi eventi estivi si portano dietro.

Il mondo e con esso quello degli spettacoli dal vivo è cambiato parecchio da quando Billie Joe Armstrong si chiedeva se fosse paranoico o solo fatto, chi provò a dettarne le regole dentro quelle regole oggi ha imparato a starci, e così gli spettatori. E così l’impianto scenico è quello delle megaproduzioni, più essenziale nel set di Dookie, più glitterato quando è scesa la notte per quello di American idiot. Però poi conta la musica, e in tempi in cui nuove chitarre e rock faticano a emergere nel mainstream i grandi numeri restano a chi quel percorso riuscì a farlo in tempi in cui la musica era più democratica ma il pubblico più sospettoso verso i propri eroi underground che s’affacciavano al successo. Ma è anche quello che li fa restare nell’immaginario collettivo, che si fa ricordo, che diventa parte della formazione della propria personalità.

Green Day - Figure 2
Foto La Repubblica

Più o meno tutti hanno passato un periodo della vita sentendosi dei Basket case, cioè persone inutili, senza speranza, paralizzate dall’ansia. Capita in genere durante l’adolescenza, e quel che resta il brano più atteso nei concerti dei Green Day, per quanto faccia strano cantare quella super hit mentre in cielo ancora c’è luce, è dedicato oggi a chi adolescente lo era ai tempi in cui quel singolo irrompeva su Mtv, indicando ai ragazzini un modello rock di spensieratezza senza sensi di colpa. Gli stessi che magari ora quel testo hanno bisogno di ripassarlo, come un gruppo di non-più-così-ragazze che l’hanno stampato su un A4 per studiarselo nei vagoni della metro lungo il viaggio verso fermata Lampugnano. Per poi poter riversare quanto ri-appreso sul prato misto erba e sabbione di un pit in cui la generazione che rese il pogo un rito collettivo quasi obbligatorio ne rivendica la paternità, pure con qualche stagione in più sulle spalle.

Ma se la band appare in forma smagliante per due ore e mezza e 36 canzoni, il pubblico anche.Poi c’è chi adesso ai concerti si porta i figli, e i millennial che si sono innamorati dei Green Day post American idiot, mescolati tutti assieme tra gli 80mila dell’ippodromo. Con l’occasione di ascoltare per intero quel disco di svolta nella carriera della band, quello che ha segnato un passaggio di consegne generazionale tra fan, oltre che far sentire un pochetto vecchi alcuni di loro, pensando che pure quello, ormai, è da considerarsi un classico. Ma non prima del tuffo nel più remoto passato di Dookie, disco manifesto dei Green Day. Era il febbraio ‘94, in un paio di mesi Kurt Cobain avrebbe posto fine alla sua esistenza e al grunge, dall’altra parte dell’oceano la nuova british invasion deflagrava con l’uscita di Definitely maybe, che oggi Liam Gallagher sta da solista portando in giro con successo clamoroso. Album simbolo di una visione di anni 90 come Dookie lo fu di un’altra. Il lato più faceto del punk, protestò qualcuno, ma piaccia o meno fu la ricetta che ne ha garantito la sopravvivenza. E che ancora nel 2024 porta 80mila persone (78500, per la precisione) sotto il sole di un’estate italiana a sudare e condividere con figli che allora non erano stati concepiti cosa ha voluto dire esser giovani nel 1994, nel 2004 e potersi sentir tali pure nel 2024.

Green Day - Figure 3
Foto La Repubblica
Green Day - Figure 4
Foto La Repubblica
Leggi di più
Notizie simili
Le news più popolari della settimana