Strage firmata Hezbollah ma le vittime sono arabe. Le incognite ...

28 Lug 2024
Hezbollah

Il gabinetto di guerra si è riunito, ma non è chiaro se sia nell’interesse d’Israele allargare a dismisura le missioni imposte su un esercito che dà alcuni segni di logoramento

Lo sdegno per l’ultima strage perpetrata dalla milizia filo-iraniana Hezbollah stavolta è esploso anche nel mondo arabo. Perché le vittime, dodici ragazzini uccisi e trenta feriti mentre giocavano a calcio in un campetto a Majdal Shams nel Golan, sono arabe. Per la precisione drusi di origine arabo-siriana, residenti in una regione occupata da Israele dalla «guerra dei sei giorni» nel 1967. 

I drusi appartengono a una religione a sé stante, di origine abramitica, con influenze sia dall’Islam ismailita sia dal cristianesimo. Sono arabi a tutti gli effetti. Di qui la condanna corale sui social media in lingua araba. Quasi corale, per la verità. Si distinguono delle voci palestinesi che accusano i drusi di essere «traditori»; più un infortunio clamoroso della Bbc che per diverse ore ha evitato di incolpare Hezbollah o di citare l’appartenenza drusa dei bambini. 

Alcuni critici, ta cui il celebre scrittore e storico Simon Sebag Montefiore, hanno accusato la Bbc di fazionistà, di praticare un partito preso per cui l’aggressore in Medio Oriente può essere uno solo, sempre e soltanto Israele. «È una strana cultura – ha scritto Montefire – quella che non osa dire che a perpetrare questo attacco è una setta del terrore, Hezbollah, foraggiata dall’Iran». La Bbc e qualche altro organo d’informazione occidentale sembrano aver preso per buone, almeno inizialmente, le tesi della propaganda iraniana secondo cui la strage di bambini ad opera di Hezbollah era «una macchinazione».

La mancanza di rivendicazione degli Hezbollah sciiti sembra spiegarsi proprio con questo: la strage è un orrendo infortunio; perfino una milizia abituata a praticare il terrorismo non osa celebrare un colpo così atroce ai danni di bambini arabo-siriani. Israele d’altra parte ha cominciato a reagire, visto che il colpo è andato a segno sul proprio territorio e una parte della popolazione drusa ha la cittadinanza israeliana. Il timore è quello di un’escalation del conflitto, l’apertura del paventato terzo fronte – dopo Gaza e il Mar Rosso – in Libano o per lo meno nell’area controllata da Hezbollah. Una guerra in Libano farebbe anche salire il rischio di confronto diretto tra Israele e l’Iran, protettore di Hezbollah e fornitore dei suoi arsenali di armi, in particolare i missili.

Il gabinetto di guerra israeliano potrebbe decidere la risposta in queste ore. Un diplomatico iraniano in Libano, citato da Al Jazeera, sostiene che Teheran «non si aspetta una guerra totale», per via dei «vincoli che l’offensiva su Gaza impone sulle forze armate israeliane». Non è chiaro infatti se sia nell’interesse d’Israele allargare a dismisura le missioni imposte su un esercito che dà alcuni segni di logoramento e i cui arsenali sono in esaurimento. La diplomazia di molti paesi, Stati Uniti in testa, è mobilitata per consigliare moderazione a Benjamin Netanyahu. Su quest’ultimo si esercita la pressione di segno opposto di una parte dell’opinione pubblica israeliana, convinta che il paese non sarà mai sicuro finché non elimina o ridimensiona anche la minaccia di Hezbollah oltre a quella di Hamas. Una vera guerra in Libano comporterebbe ulteriori e massicci spostamenti di popolazioni civili in aggiunta a quelli già avvenuti, da entrambe i lati del confine.

C’è l’incognita delle ripercussioni che un «terzo fronte» avrebbe sui negoziati per il cessate-il-fuoco a Gaza e la liberazione di ostaggi. L’ultimo giro di queste trattative è in corso a Roma con la partecipazione del capo della Cia Bill Burns insieme a rappresentanti di Israele, Egitto e Qatar. Il gioco dell’Iran può essere proprio quello di far saltare le residue speranze di accordo per un armistizio nella Striscia. Fin dalla carneficina di civili ebrei il 7 ottobre 2023 il ruolo dell’Iran è balzato in primo piano, come protettore di quello che gli ayatollah definiscono un Asse della Resistenza e che include Hamas Hezbollah Houthi. Tra gli obiettivi strategici della teocrazia sciita di Teheran c’è il sabotaggio del disgelo fra Israele e Arabia saudita.

La strage dei bambini drusi nel campo di calcio del Golan ha fatto irruzione pure nella campagna elettorale americana. Donald Trump ha parlato di «un altro episodio creato da deboli e inefficaci presidente e vicepresidente degli Stati Uniti». Sul Medio Oriente le differenze separano democratici e repubblicani (più compatti questi ultimi a difesa di Israele), ma anche Kamala Harris da Joe Biden. La vice, ormai a tutti gli effetti candidata democratica all’elezione del 5 novembre, ha una posizione più dura verso Israele e non perde occasione per dimostrare solidarietà verso la causa palestinese. Kamala lo ha fatto ancora in occasione delle recente visita di Netanyahu a Washington. Il futuro dei rapporti Usa-Iran è anch’esso soggetto a variazioni a seconda di chi vince. Biden aveva tentato di rilanciare un dialogo con Teheran, al punto da sbloccare (prima del 7 ottobre 2023) alcuni capitali iraniani soggetti a sanzioni. Trump ha sempre accusato Biden, e prima di lui Barack Obama, di avere mostrato debolezza verso il regime degli ayatollah consentendogli di allargare la sua influenza in Medio Oriente.  

28 luglio 2024, 18:01 - modifica il 28 luglio 2024 | 18:40

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