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17 giorni ago
Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

Perché proprio Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente?
Avrebbe potuto dedicare un prequel a Finnick o a Haymitch, due dei suoi personaggi più riusciti e amati, con un finale agrodolce ma perfetto. Invece, la scrittrice Suzanne Collins ha deciso che la saga di Hunger Games dovesse avere un prequel (sempre edito da Mondadori) sull’antagonista per eccellenza di Katniss (interpretata al cinema da Jennifer Lawrence), Coriolanus Snow (che nella quadrilogia cinematografica ha il volto di Donald Sutherland).

Una questione di base, se non di principio

Perché redimere al passato quello che conosciamo come il Volto del Male?
Facciamo un passo un passo indietro e andiamo con ordine: Hunger Games – La ballata dell’usignolo e del serpente, il prequel in sala dal 15 novembre, vuole redimere il Male, mostrarne le sfaccettature.

Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

Courtesy of Lionsgate

In questa origin story (quasi una versione spietata dei disneyani Maleficent e Crudelia, con uno scopo molto simile) si vuole dimostrare che il mostro, il cattivo, lo spregevole tiranno di un futuro distopico nasce da un trauma. È stato un bambino ferito, un adolescente deriso e un giovane adulto bullizzato. Come se tutto questo autorizzasse a infliggere torture ai più deboli.

Le tante (troppe) cose che non funzionano

I giochi della fame sono alla decima edizione. Sono nati per punire i tredici Distretti che si sono ribellati all’autoritarismo di Capitol City, il centro nevralgico del regno di Panem. Buttando in un’Arena - ispirata ai gladiatori – i ragazzini pescati dalla (cattiva) sorte nelle varie regioni, vuole mostrare uno show all’ultimo sangue in cui solo uno di loro sopravvive.

Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

Courtesy of Lionsgate

Dopo i primi anni, però, lo spettacolo di sangue ha esaurito le varianti e il pubblico è arrivato ad abituarsi alla brutalità, come se fosse una tassa necessaria di poche ore o giorni per poi tornare a ignorare la realtà. Serve linfa nuova, occorre un cambiamento che tenga gli spettatori/sudditi incollati al televisore per seguire questo show e provare anche un minimo interesse per i “concorrenti”. È qui che entra in scena il giovane Snow, figlio di un grande politico, discendente di una famiglia potente e ricca, ma ormai decaduta. Ha sete di riscatto, è scaltro e vuole dimostrare a tutti di meritare un posto di primo piano nello scenario politico.

Da queste premesse parte anche il film: funziona leggermente meglio del romanzo, ma è troppo lungo e a tratti ripetitivo. Stavolta l’angelico volto dell’ambizione è quello del semi-sconosciuto Tom Blyth, che nell’intento del regista Francis Lawrence (già legato alla saga dalle pellicole precedenti), incarna una versione di Snow adolescente e persino idealista. Machiavellico fin da subito, si ritrova a fare da Mentore (una sorta di guida/angelo custode) al Tributo (il concorrente) più svantaggiato dell’intera competizione, ossia la ragazza del Distretto 12, dove vivono i minatori e spesso si muore di fame. Lei, Lucy Gray Baird, è interpretata da uno degli astri nascenti di Hollywood, su cui ha puntato Steven Spielberg nel remake di West Side Story e che darà vita al live-action di Biancaneve. Il Potere ha invece lo sguardo disincantato di Peter Dinklage, qui artefice degli Hunger Games, e di Viola Davis, la dea ex machina che conduce folli esperimenti per continuare a sottomettere con la paura il popolo.

La sceneggiatura zoppica e i due giganti della recitazione a tratti si trovano ad annaspare, sempre sopra le righe, sempre prevedibili, sempre bidimensionale in un ritratto del Male quasi grottesco e patetico.

Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

Murray Close/Lionsgate

L’unico barlume di umanità lo regala Hunter Schafer di Euphoria, qui nei panni di Tigris, cugina di Coriolanus e futura stilista. Pur avendo vissuto le stesse vicissitudini del parente, preserva uno sguardo puro, non si arrende all’ineluttabilità dell’oppressione. Sullo schermo l’attrice ha uno spazio ridotto rispetto ai protagonisti, ma ruba la scena e resta l’unica di cui allo spettatore alla fine importi qualcosa.

Il racconto ha – anche visivamente – i toni freddi del passato, quella patina di distanza che volutamente scherma il pubblico dall’essere complice del massacro degli innocenti. In tempi di guerra come i nostri, questa storia conserva una forza profetica, ma poi si perde. Per riprendere l’attenzione di chi guarda ricorre troppo spesso al musical, inserisce più interludi di quanti siano necessari, non ha neppure lontanamente la forza dell’originale.

Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

Murray Close/Lionsgate

I due protagonisti – Corio e Lucy Gray – si sfruttano a vicenda per sopravvivere o per prosperare, ma poi cedono: a se stessi raccontano che passano in qualche modo al proverbiale lato oscuro per necessità. Per mancanza di alternative, insomma, usano i sentimenti reciproci (che sia affetto, amore o infatuazione qui conta poco) come arma o come strumento per ottenere uno scopo. È vero che succede più o meno lo stesso nel libro, ma la potenza della trasposizione visiva non viene sfruttata e chi guarda non viene coinvolto, non s’immedesima, non ci crede fino in fondo.

L'appello: ridateci Peeta!

La forza di Hunger Games si deve in parte a personaggi che vivono e muoiono per qualcosa di più grande. Sì, tutti cercano di sopravvivere, ma i protagonisti diventano archetipi di ideali universali, modelli imperfetti ma verosimili in cerca di salvezza e giustizia. L’amore salvifico di Peeta (interpretato da Josh Hutcherson) fa vedere come la speranza riesca a superare le più grandi atrocità, come si può risorgere dalle ceneri, come si fa a lottare per un Bene comune. In modo diverso anche Gale (Liam Hemsworth) mette a frutto i suoi talenti per un mondo che crede migliore, anche se poi cede all’antichissimo fine che giustifica i mezzi.

Hunger Games - La ballata dell'usignolo e del serpente

Courtesy of Lionsgate

Questa ballata dell’usignolo (Lucy Gray) e del serpente (Snow) viene imbrigliata in mille sfumature che alla fine tendono a giustificare l’aguzzino. Il ruolo di vittima e carnefice si mescola al punto da diventare sfuocato, nella quasi totale indifferenza del pubblico.

Tradendo l’intento originale della saga (come succede anche nel romanzo), il racconto sembra nato non dalla necessità di veicolare un messaggio o dall’urgenza di condividere una storia. Si attinge – vedi Animali fantastici e dove trovarli – a una narrazione che ha già fatto presa sul pubblico per spremerne il potenziale fino alla fine e si perde di vista il resto.

Peccato, perché questo film avrebbe potuto – con una durata inferiore e una sceneggiatura più incisiva – sanare i punti deboli del romanzo e regalare su grande schermo un’avventura epica. Il pubblico diventa al massimo uno spettatore annoiato di qualcosa che non lo riguarda più, ma in storie come Il racconto dell’ancella o La casa di carta non lo si può permettere. Se l’inferno è lastricato di buone intenzioni e gli ignavi sono la categoria peggiore della specie umana, allora si deve prendere una posizione. Hunger Games nasce come un monito alle coscienze, un’esposizione cruda della disumanità. L’indifferenza è già una sconfitta.

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