Il sol dell'avvenire fa ridere, fa piangere, fa sognare

19 Apr 2023

Molto spesso dentro ai film di Nanni Moretti ci sono altri film, ma non sono mai film che lui girerebbe. In Il Caimano, Sogni d’oro, Aprile e Mia madre (per stare stretti) ci sono registi che girano o sognano o immaginano dei film che sono musical e film in costume, nulla di più lontano dalla filmografia di Nanni Moretti, anche se poi questi registi li interpreta lui, anche se il suo personaggio si chiama Nanni o come in questo caso Giovanni. Stavolta ne Il sol dell'avvenire quello girato è un dramma politico e storico, ambientato nell’Italia del 1956, in cui Silvio Orlando dirige una sezione del Partito Comunista a cui è iscritta anche Barbora Bobulova, sarta. C’è un circo nella storia, ci sono degli ungheresi e c’è la repressione stalinista in Ungheria che porta i due comunisti italiani a posizioni diverse: uno è fedele al partito a tutti i costi, nonostante questo si sia schierato con Stalin, l’altra no, è fedele a un’idea diversa di comunismo, diversa da quella sovietica. Non ha bisogno di essere fedele a nulla che non siano le sue idee, non ha bisogno di appartenere.

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C’è nostalgia un po’ ovunque in questa nuova commedia di Moretti, un film che dopo Tre piani e Mia madre, un pochino più lontani dai suoi soliti lidi, torna a quel tipo di cinema che ha inaugurato con Caro diario e Aprile, fatto di una vita quotidiana che potrebbe anche essere la sua, fatto di cinema italiano, considerazioni sul suo tempo e su piccoli affari quotidiani che parlano di qualcosa di più grande. Questo film fuori dal tempo, che desidera essere leggero, ha il pregio di sapere benissimo di esserlo, di essere consapevole dell’abbandono alla nostalgia che si concede e anche se la scrittura è più didascalica del solito (tende a enunciare tutto due volte, prima con le immagini e poi confermandolo con le parole), Il sol dell’avvenire, in uscita in Italia il 20 aprile ma poi in concorso a Cannes a maggio, è di rinfrescante onestà.

nanni moretti film sol dell avvenire

01 Distribution

A girare questo film sull’Italia del 1956 è per l’appunto il regista Giovanni, che ha una moglie (Margherita Buy) che è anche la sua produttrice e che lo sta lasciando. Ma la separazione sentimentale è meno dura del tradimento cinematografico che la accompagna. Per la prima volta infatti lei produce il film di un altro, un regista più giovane e più in linea con quello che il cinema italiano è diventato da qualche anno, uno che fa polizieschi, gira sparatorie e si esalta con il sangue. Non solo Giovanni si sente tradito professionalmente ma anche eticamente, il film che sua moglie produce (con dei co-produttori coreani) è per lui eticamente rivoltante e lo farà notare a lei e a noi, con lunghe tirate che vogliono convincere, vogliono dimostrare, vogliono mettere in campo qualsiasi arma (anche testimonial come Corrado Augias e Renzo Piano) per far risvegliare tutti da questo “sonno collettivo” come lo chiama lui.

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Giovanni non sopporta Netflix, non sopporta il tipo di ragionamenti che fanno, non sopporta la visione della violenza come intrattenimento e il cinema che non ha una posizione etica su quello che mostra. Ancora una volta Nanni Moretti racconta e mette in scena lo stato del cinema italiano. In Il Caimano mostrava il rinato interesse per il cinema di serie B, adesso fa la cronaca dell'invasione americana. Invasione di generi, di mentalità, di serie e di piattaforme come Netflix, che con la tentazione dei soldi stanno cambiando tutto e alle quali si sente di dover resistere anche quando il suo produttore viene presto arrestato (un Mathieu Amalric eccezionale, allampanato ed esaltato in modi scriteriati, subito miglior prestazione di un attore straniero in un film di Moretti).

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È duro e intransigente e per questo, come sempre, è fiero di sé e di mostrarlo. Esattamente ciò che tende a dividere il pubblico e a farlo amare (a chi concorda) e odiare (da chi non concorda). Quello che però rende Il sol dell’avvenire un film che lentamente ti conquista è la consapevolezza che tutta questa coerenza e questo rigore abbiano un prezzo, che l’esaltazione e la felicità della coerenza siano un piacere solitario, che essere sempre un outsider non può essere imposto agli altri, come alla ex moglie, colpevole di essere passata con la maggioranza.

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E così il film con una serenità che è bellissima da guardare, si rifugia nel sogno, non come disperato ricovero ma perché proprio questo è il bello del fare (e guardare) film. Succederanno cose che non sono realmente accadute e il regista Giovanni sarà ben felice di andare in deroga al realismo storico per fare in un certo senso giustizia e mettere in scena il mondo come lo desidera, come gli piace, come dovrebbe essere e invece non è mai nella realtà. Un finale commovente tutto di meta-cinema, tutto di fedeltà e appartenenza a sé stessi, alla propria filmografia e a un’idea politica (il sol dell’avvenire) che è anche personale e umana, fatta di canzoni e finali positivi. Un film che sembra perfetto per chiudere una carriera.

Gabriele Niola Nasce a Roma nel 1981, fatica a vivere fino a che non inizia a fare il critico nell'epoca d'oro dei blog.

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