Iran: cambio di rotta? | ISPI
Se ancora non è chiaro che forma prenderà la risposta iraniana a Israele dopo l’uccisione del leader politico di Hamas Ismail Haniyeh, avvenuta lo scorso 31 luglio a Teheran, la diplomazia internazionale sta provando a convincere la Repubblica islamica a optare per una de-escalation regionale in cambio del raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza. Mentre proseguono i dialoghi con le cancellerie regionali e occidentali, negli ultimi mesi l’Iran non ha smesso di rafforzare i legami con alleati sempre più strategici, tra cui la Russia con cui dovrebbe siglare un piano di cooperazione ventennale al prossimo summit dei Brics (22-24 ottobre). Sul piano interno invece il neoeletto presidente ha conseguito un importante successo politico riuscendo a far ottenere la fiducia, alla prima votazione del parlamento, a tutti i ministri presentati. Tuttavia, le critiche per la composizione del governo e i fattori di tensione interni ed esterni alla Repubblica islamica sembrano suggerire che per la nuova presidenza il cammino sia tutto in salita.
Quadro internoIl 28 luglio la guida (rahbar) Ali Khamenei ha formalmente approvato il neoeletto presidente della Repubblica Masoud Pezeshkian. Due giorni dopo il presidente ha prestato giuramento davanti al parlamento (Majles). Questi due momenti, chiamati rispettivamente tanfeez e tahlif, hanno dato inizio alla presidenza di Pezeshkian che il successivo 11 agosto ha presentato la squadra di governo sottoponendo ogni singolo ministro alla fiducia del parlamento. Per la prima volta in oltre vent’anni il Majles ha convalidato tutti e diciannove i ministri presentati da Pezeshkian senza che fosse necessario proporre nomi alternativi. Era dall’approvazione del primo governo di Khatami (1997) che tutti i ministri di un governo non ottenevano la fiducia del parlamento alla prima votazione. Questo successo sembra essere frutto di diversi fattori: innanzitutto l’attuale presidente, a differenza dei suoi predecessori, ha comunicato in anticipo la composizione della sua squadra di governo a Khamenei e ottenuto dal rahbar sia dei consigli sulla scelta dei nomi da proporre sia il suo supporto una volta che la squadra di governo era stata finalizzata. Inoltre, nei giorni precedenti al voto parlamentare, il presidente del Majles Mohammad Bagher Ghalibaf ha convinto diversi deputati a votare i ministri riformisti proposti da Pezeshkian ottenendo in cambio alcune posizioni di governo per i suoi alleati[1]. Infine, come più volte affermato dallo stesso presidente, Pezeshkian ha scelto di percorrere una via alternativa rispetto a quella alcuni suoi predecessori, come Hassan Rouhani e Mahmud Ahmadinejad, che erano arrivati a scontrarsi con l’establishment del paese. Invece di imporre i propri candidati al sistema politico, Pezeshkian ha privilegiato il dialogo tra le diverse componenti politiche iraniane cercando di favorire un clima di collaborazione[2]. Il successo di questo approccio ha portato a una divisione dei ministeri tra le varie correnti della politica iraniana: infatti, solo tre ministri – Mohammadreza Zafarghandi, ministro della Salute e dell’Educazione medica, Ahmad Meydari, ministro del Lavoro, delle Cooperative e della Previdenza sociale e Gholamreza Nouri Ghezelcheh, ministro dell’Agricolutura – possono essere definiti riformisti mentre la maggior parte degli altri è stata scelta tra personalità indipendenti, moderati vicini all’ex presidente Rouhani o conservatori alleati di Ghalibaf o parte della precedente amministrazione Raisi. Tra le personalità più vicine a Rouhani vi sono il nuovo ministro degli Affari esteri, Abbas Araghchi, già capo negoziatore iraniano durante i colloqui che portarono all’accordo sul nucleare (Joint Comprehensive Plan of Action, Jcpoa), il ministro degli Affari economici e della Finanza, Abdolnaser Hemmati, già governatore della Banca centrale durante l’amministrazione di Rouhani e il ministro del Petrolio Mohsen Paknejad. Tra le personalità vicine all’attuale presidente del Majles vi è invece il ministro degli Interni Eskandar Momeni, mentre dell’amministrazione di Raisi sono stati confermati i ministri dell’Intelligence e della Giustizia. All’interno del governo, per la prima volta dal 2009, è stata approvata anche una donna, Farzaneh Sadegh Malvajerd, scelta come ministro delle Strade e dello Sviluppo urbano[3].
Tuttavia, la composizione della squadra di governo ha creato malumori all’interno della corrente riformista e tra i suoi sostenitori. Durante la campagna elettorale Pezeshkian aveva promesso che, se fosse stato eletto presidente, all’interno del suo esecutivo ci sarebbe stato ampio spazio per giovani, donne e minoranze. Il nuovo governo invece è il più vecchio della storia della Repubblica islamica – con un’età media appena inferiore ai sessant’anni –, ha una percentuale di donne molto bassa – solo una ministra donna e due vicepresidenti, Shina Ansari e Zahra Behrouz Azar – e soltanto un vicepresidente è curdo e sunnita, Abdolkarim Hosseinzadeh. Quest’ultimo è stato nominato vicepresidente per lo Sviluppo rurale a fine agosto, quando le polemiche per la composizione del governo erano già emerse da alcune settimane. La delusione per le scelte fatte ha portato Mohammad Javad Zarif, ministro degli Esteri di Rouhani e forte sostenitore di Pezeshkian durante la campagna elettorale, a dimettersi dalla carica di vicepresidente per gli Affari strategici solo pochi giorni dopo aver assunto l’incarico. Sebbene Zarif abbia poi accettato di divenire un “consigliere” del nuovo governo, la scelta di abbandonare la vicepresidenza ha messo in luce le crescenti tensioni interne alla fazione riformista[4]. Zarif, infatti, ha comunicato la propria frustrazione per il risultato della composizione finale della squadra di governo e abbandonato la carica dopo essersi accorto che la metà dei ministri presentati non provenivano da quelli raccomandati dal “Consiglio direttivo” da lui presieduto. Tuttavia, la scelta operata da Pezeshkian rappresenta l’ennesima conferma di come il presidente intenda realmente perseguire l’unità tra le varie fazioni politiche della Repubblica islamica e, a differenza degli ex presidenti Rouhani e Khatami, stia tentando di lavorare fin dal principio all’interno delle linee guida fissate dal rahbar Ali Khamenei. Le critiche da parte della compagine riformista però non si sono limitate soltanto alla scelta dei ministri ma anche alla nomina a primo vicepresidente[5] di Mohammad Reza Aref – riformista molto vicino a Khatami di cui fu vicepresidente. La nomina di Aref ha creato malumori per almeno tre motivi: per il suo curriculum politico, ritenuto mediocre per ottenere nuovamente la vicepresidenza, perché avrebbe fatto pressione affinché Zarif si dimettesse e perché a pochi giorni dalla sua nomina a vicepresidente aveva dichiarato che l’Iran non è pronto per una leadership femminile[6].
Tuttavia, al di là della difficile gestione delle dinamiche interne al sistema politico, molte sono le sfide che attendono il presidente nei prossimi mesi. Una prima sfida sarà quella di dare una risposta alle continue richieste di allentamento del sistema repressivo nel paese. Infatti, solo una settimana dopo l’inizio del mandato presidenziale, sui social media è stato diffuso un video che mostrava la polizia morale aggredire due giovani che non portavano il velo. Questo filmato ha fatto riemergere il malcontento popolare, con molti utenti che sui social media hanno chiesto al presidente di mantenere le promesse fatte in campagna elettorale e porre fine alla violenza della polizia morale. La società civile, infatti, spera che il presidente abolisca il “Piano Nour”, il progetto che inasprisce i controlli sul corretto utilizzo del velo introdotto dalla polizia morale a metà aprile in concomitanza con la quasi escalation tra Israele e Iran. Nonostante non sia chiaro quali misure il presidente intenda prendere per risolvere questo problema, la scelta di Eskandar Momeni come ministro degli Interni, un comandante di polizia già membro dei pasdaran, rende difficile prevedere un significativo allentamento nel controllo sociale da parte delle autorità. Nel frattempo, però, la polizia morale ha criticato l’operato degli agenti ripresi nel video e aperto un’indagine interna[7].
Continua a essere un fattore di tensione anche la presenza dei rifugiati e immigrati afgani all’interno del paese. A fine luglio sono scoppiate nuove tensioni e si sono registrate alcune azioni di violenza da parte di cittadini iraniani contro la comunità afgana. Cresce infatti la schiera di coloro che si mostrano insofferenti verso l’immigrazione proveniente dal paese confinante e chiedono alle autorità di espellere milioni di immigrati clandestini. Il presidente, nel tentativo di placare le tensioni, ha promesso che il nuovo governo bloccherà le frontiere, registrerà coloro che si trovano già in Iran e negozierà con i paesi europei per cercare di trasferire una parte dei rifugiati afgani verso l’Unione europea (UE) o in alternativa ottenere fondi dall’UE per coprire le spese che l’Iran sostiene per l’accoglienza[8]. In questo senso, la scelta di Momeni, con una lunga esperienza professionale nella lotta al narcotraffico, sembra confermare come le autorità stiano optando per un maggiore controllo dei confini favorendo la securitizzazione della questione migratoria. Una dimostrazione di come il governo e i pasdaran vogliano adottare questo approccio sono i progetti avviati per la costruzione di un muro alto 4 metri e lungo 300 km al confine tra Iran e Afghanistan con l’intento di ostacolare il transito di migranti attraverso una frontiera che resta estremamente porosa[9].
Infine, poche ore dopo aver prestato giuramento come nuovo presidente, un’esplosione a un edificio nel complesso di Sa’adabad nel nord di Teheran ha provocato la morte del leader politico di Hamas, Ismail Haniyeh, che era in visita nella capitale iraniana per incontrare le autorità del paese. La morte del leader del gruppo palestinese, avvenuta il 31 luglio attraverso modalità che ancora oggi non sono del tutto chiare[10], ha sollevato dubbi sull’efficienza del sistema di intelligence iraniano che nel corso degli anni, e ancor più degli ultimi mesi, ha mostrato le sue innumerevoli fragilità. Infatti, solo nell’ultimo anno, l’Iran ha subito il peggior attentato nella storia della Repubblica islamica – avvenuto a Kerman il 3 gennaio –, è stato colpito da almeno due azioni di sabotaggio alla rete di gasdotti del paese, ha subito una facile (anche se simbolica) rappresaglia israeliana durante l’escalation tra Tel Aviv e Teheran dello scorso aprile[11] ed è stato il luogo prescelto per condurre il raid che ha portato alla morte di Haniyeh. Per questi motivi, la decisione del presidente di confermare Esmaeil Khatib alla guida del ministero dell’Intelligence, frutto di un do ut des tra le varie correnti iraniane per la composizione del governo, ha destato non poche perplessità.
Relazioni esterneSebbene non sia ancora chiaro come e quando l’Iran risponderà a Israele per la morte di Haniyeh, le dichiarazioni delle autorità iraniane sembrano lasciare poco margine all’azione diplomatica e suggeriscono che una rappresaglia verrà prima o poi effettuata. Infatti, sia i vertici dei pasdaran sia la guida hanno promesso una “dura punizione” nei confronti di Israele[12] che potrebbe avvenire o attraverso un attacco diretto da parte di Teheran o sfruttando la capillarità del cosiddetto Asse della resistenza. Se a oggi la risposta di Hezbollah per la morte di Fuad Shukr – responsabile del programma missilistico di Hezbollah ucciso il 30 luglio da Israele a Beirut e avvenuta quasi in contemporanea con quella di Haniyeh – sembra suggerire che le due azioni di vendetta resteranno ben distinte, non è detto che la Repubblica islamica non opti per una risposta coordinata su più fronti con gli alleati regionali mettendo sotto scacco le difese israeliane. Per evitare che una potenziale risposta iraniana possa condurre a una guerra regionale molti leader internazionali hanno cercato di fare pressione sull’Iran per convincerlo a non contrattaccare Israele o ad adottare una rappresaglia contenuta. Il tentativo di convincere Teheran a optare per la de-escalation ha portato gli attori internazionali a intensificare gli sforzi per il raggiungimento di un cessate il fuoco a Gaza[13]. Tuttavia è difficile pensare che l’Iran scelga di non rispondere alla provocazione israeliana poiché, come già evidenziato, il raid che ha ucciso il leader di Hamas ha messo in imbarazzo la Repubblica islamica mostrando tutte le fragilità della sua intelligence. Il fatto che l’Iran non abbia ancora risposto a Tel Aviv, quindi, sembra essere dettato dalla necessità di trovare una formula che sia allo stesso tempo credibile ma in grado di evitare di trascinare il paese in un conflitto regionale[14].
L’attacco israeliano, tuttavia, potrebbe avere dato a Tel Aviv la possibilità di raggiungere un altro obiettivo, ovvero ostacolare la ripresa dei colloqui tra Stati Uniti e Iran. Il presidente Pezeshkian continua a dichiarare che per migliorare la situazione economica del paese e alleviare il peso delle sanzioni è necessario provare a instaurare un dialogo coi paesi occidentali. In questo senso anche la scelta di nominare Abbas Araghchi come ministro degli Esteri ha rappresentato un segno di distensione verso l’Occidente; Araghchi, nella sua prima intervista da ministro ha dichiarato infatti di non voler risolvere la conflittualità con gli Stati Uniti ma di volerla gestire. Inoltre, ha evidenziato la necessità di ripartire con i colloqui sul nucleare alla luce della situazione attuale e non di quella del 2015[15]. Tuttavia, se l’azione israeliana dovesse portare a una risposta da parte dell’Iran, e di conseguenza condurre la regione in una nuova spirale di violenza, il già difficile tentativo di dialogo fra Washington e Teheran diverrebbe politicamente insostenibile e costringerebbe la leadership della Repubblica islamica a riorientare la traiettoria di politica estera adottata dal nuovo governo. Un eventuale processo di dialogo tra Teheran e Washington, già minacciato dal possibile ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, resta infatti complicato da imbastire. Per questo motivo, di particolare importanza è stata la visita in Iran del primo ministro e ministro degli Esteri qatarino avvenuta a fine agosto. Quella di Mohammed bin Abdulrahman bin Jassim al-Thani – che ha incontrato anche Pezeshkian – è stata la prima visita ufficiale ricevuta da Araghchi come ministro degli Esteri. La visita di al-Thani, oltre a riaffermare il solido legame politico tra i due paesi, sembra essere stata effettuata anche per cercare di ripristinare un canale di dialogo, mai completamente interrotto, con gli Stati Uniti in una fase di stallo nei colloqui per il cessate il fuoco a Gaza e di forte tensione regionale. Teheran, tuttavia, pur cercando un dialogo con l’Occidente, non intende depotenziare le relazioni sempre più strategiche che in questi anni ha stretto con paesi come la Russia. In un colloquio telefonico di inizio luglio avvenuto tra Pezeshkian e l’omologo russo Vladimir Putin, il presidente iraniano ha riaffermato la volontà di rafforzare i legami con Mosca e si è detto disponibile a firmare al prossimo vertice dei Brics a Kazan (22-24 ottobre) l’accordo ventennale di cooperazione tra Iran e Russia in lavorazione dal 2021[16]. Questo accordo, rimasto segreto, è stato in passato ampiamente criticato da stampa, esperti ed ex funzionari iraniani poiché sembrerebbe includere concessioni territoriali, energetiche e commerciali nel Mar Caspio a Mosca da parte della Repubblica islamica[17]. Con la Russia è destinata a rafforzarsi anche la cooperazione in ambito militare. A inizio agosto, pochi giorni dopo l’attacco israeliano a Teheran, il segretario del Consiglio di sicurezza russo, già ministro della Difesa e stretto alleato di Putin, Sergej Šojgu si è recato in Iran per incontrare Pezeshkian e alti funzionari della Repubblica islamica, tra cui il segretario del Supremo consiglio per la sicurezza nazionale Ali Akbar Ahmadian e il capo di stato maggiore delle forze armate iraniane Mohammad Bagheri. L’incontro più importante sembra essere stato quello tra Šojgu e Bagheri in cui si sarebbe discusso del rafforzamento della cooperazione in ambito militare tra i due paesi. Nelle stesse ore in cui il rappresentante russo era in visita in Iran la Russia avrebbe iniziato a inviare attrezzature militari avanzate, tra cui sistemi di difesa aerea e radar, alla Repubblica islamica[18]. Il rappresentante russo – invitato lo scorso maggio dall’omologo Ali Akbar Ahmadian – è arrivato a Teheran in un momento molto delicato per la regione mediorientale: a pochi giorni dalla morte di Haniyeh e mentre il capo del Comando centrale degli Stati Uniti (Centcom), Michael Kurilla, era in visita in Israele[19]. Un tempismo curioso che tuttavia non deve portare a sovrastimare l’alleanza tra Mosca e Teheran. Infatti il livello di cooperazione tra Stati Uniti e Israele resta di gran lunga superiore a quello tra Russia e Iran. Inoltre, Mosca e Teheran continuano ad avere interessi confliggenti nel Caucaso meridionale, dove la Russia sostiene il progetto del corridoio di Zangezur per collegare l’Azerbaigian alla sua exclave di Nakhichevan attraverso l’Armenia, un piano osteggiato dall’Iran poiché priverebbe la Repubblica islamica dell’accesso al Caucaso attraverso Yerevan[20].
[1] Alireza Talakoubnejad (@websterkaroon, X), “Pezeshkian got 19/19 of his Ministers approved by Majles”, 21 agosto 2024.
[2] Ibidem.
[3] A. Lucente, “Araghchi, Nasirzadeh and Khatib: Meet Iran’s new cabinet under Pezeshkian”, Al-Monitor, 21 agosto 2024.
[4] “Inside story: Zarif leaves Iran’s new government”, Amwaj.media, 12 agosto 2024; “Pezeshkian says Zarif will be involved in administration as adviser”, Tehran Times, 17 agosto 2024.
[5] In Iran il numero di vicepresidenti non è fisso, di solito ne vengono nominati all’incirca una dozzina.
[6] “Critics slam return of ‘Lord of Silence’ as Iran’s first vice president”, Amwaj.media, 30 luglio 2024; “Deep Dive: Spy services, Aref in spotlight as plot thickens on Zarif resignation”, Amwaj.media, 13 agosto 2024.
[7] “Barely a week into presidency, Iran’s Pezeshkian faces hijab controversy”, Amwaj.media, 9 agosto 2024.
[8] M. Sinaiee, “Pezeshkian facing escalation of anti-Afghan sentiments”, Iran International, 22 luglio 2024; “Violence spirals with Afghan community in Tehran following death of Iranian”, Iran International, 23 luglio 2024.
[9] F. Sadeghi (@fresh_sadegh, X), “Iran’s Defense Minister says the country’s production of military equipment and hardware doubled in Raisi’s three-year term and Iran’s export of weaponry and weapons increased four times in the same period of three years.”, 24 luglio 2024.
[10] Secondo una prima ipotesi la morte di Haniyeh sarebbe stata possibile grazie al posizionamento di un ordigno esplosivo presso l’appartamento in cui il leader politico di Hamas era ospitato che sarebbe stato detonato a distanza. Una seconda ipotesi – più accreditata – è che la morte di Haniyeh sia stata causata da un raid avvenuto tramite un piccolo drone. Secondo le autorità iraniane i movimenti del leader di Hamas sarebbero stati intercettati a causa dell’utilizzo del telefono cellulare e dalla scelta di collegarsi alla rete Wi-Fi.
[11] L. Toninelli, “Iran: Guerra a Gaza, un altro test per Teheran”, in Focus Mediterraneo allargato n. 5, ISPI (a cura di) per Osservatorio di politica internazionale di Parlamento e Maeci, aprile 2024; L. Toninelli, “Iran: I molti fronti aperti di Teheran”, in Focus Mediterraneo allargato n. 7, ISPI (a cura di) per Osservatorio di politica internazionale di Parlamento e Maeci, aprile 2024; L. Toninelli, “Iran: Il ritorno dei riformisti”, Focus Mediterraneo allargato n. 8, ISPI (a cura di) per Osservatorio di politica internazionale di Parlamento e Maeci, aprile 2024.
[12] S. Azimi, “Inside story: The assassination of a Hamas leader in Tehran”, Amwaj.media, 31 luglio 2024.
[13] P. Hafezi e L. Bassam, “Exclusive: Only Gaza ceasefire will delay retaliation, say Iranian officials”, Reuters, 13 agosto 2024.
[14] L. Toninelli, “Iran: Guerra a Gaza, un altro test per Teheran”…, cit.
[15] “Iran will seek to ‘manage tensions’ with US: Foreign minister”, The Straits Times, 24 agosto 2024.
[16] “Iran’s Pezeshkian assures Russia’s Putin, Hezbollah chief of continued support”, Al-Monitor, 9 luglio 2024.
[17] “Iran hopes to finalize 20-year pact with Russia as Bagheri Kani meets Lavrov”, Al-Monitor,11 giugno 2024.
[18] “Deep Dive: Russian security chief in Tehran as Iran weighs strike on Israel”, Amwaj.media, 6 agosto 2024.
[19] Ibidem.
[20] “Iran rebukes Russia over its policy shift on Zangezur corridor”, Iran International, 2 settembre 2024.