La Casa di Jacquemus è Villa Malaparte a Capri

DEA / S. VANNINI//Getty Images

Quindici anni, un sogno, una casa, novantanove gradini, quarantasette look, quaranta invitati, venticinque gradi: “La Casa” metafora, punto di partenza e d’arrivo, è il titolo della nuova collezione di Jacquemus. Villa Malaparte a Capri, il capolavoro firmato in traverso da Adalberto Libera, che è sintesi di un Razionalismo spinto, quasi rivoluzionario, a metà tra funzione e immaginario, ritiro privatissimo dello scrittore toscano e oggetto del desiderio dalla posa della prima pietra da parte della compagine di esclusi alla sua frequentazione, ovvero il mondo, con la sola riaffermazione via Social della sua esistenza nel panorama dei luoghi di culto, ha mandato in tilt un intero sistema.

Con la scusa di un anniversario che di simbolico ha i numeri sulla carta e di reale la necessità di darsi delle fondamenta ben più solide delle bolle che lo hanno fatto crescere in modo esponenziale solo nelle ultime stagioni, il designer francese ripercorre il suo passato recente, lo veste dei ricordi preziosissimi del tempo della sua formazione, e abbozza il canovaccio di una sceneggiatura per il futuro. Sulla scalinata di gradini in cortina rossa che portandoci in terrazza staccano a contrasto dall’orizzonte blu/azzurro di mare e cielo fusi nell’incanto del golfo di Napoli, abbiamo visto le novità e l’archivio della maison.

“Ho deciso di creare il mio brand dopo aver guardato Le Mépris di Jan-Luc Godard, ispirato dalla bellezza e dalla modernità della sua visione”, dice Simon Porte. Eccoci testimoni di quel senso di nostalgia che è proprietà inalienabile dei Millennial: i Duemila sono iniziati da poco e abbiamo un adolescente che invece di guardare Top of the Pops su MTV si rifugia nei film appartenuti ai genitori, se non ai nonni. La pellicola che nel 1963 ha consacrato la stella in ascesa di Brigitte Bardot è un dramma di rancore e silenzio e morte; i lunghi tagli narrativi dei vari piano sequenza ricomposti ad arte dalla regia della sfilata, la luce dolce, languida, il guardaroba studiatissimo e fintamente nonchalant, che nel 2025 di Jacquemus troviamo citato con disinvoltura anche sulla silhouette maschile, non sono altro che gli escamotage con cui la Nouvelle Vague aggirava le asprezze del suo presente. Oggi sembrano indicare una volontà di fuga verso una dimensione psicologicamente rassicurante – il passato delle lotte sociali e politiche edulcorato attraverso l’estetica delle pellicole che ce lo raccontano, fa meno paura della contemporaneità.

Agli ospiti, che sono pochi per esigenze strutturali, il compito delicatissimo di concorrere a un senso di esclusività. Se nell’epoca d’oro della couture sarebbero stati i giganti della stampa, pronti a recensire con cura la modellistica impeccabile dei cappotti e dei completi classici – un rimando alle forme di Balenciaga e di Courreges – il rigore architettonico delle camicie i cui colletti esagerati si fanno strada da sotto a top iper-geometrici, la fluidità degli abiti seamless, l’aggiornamento sugli accessori emblematici, dalle borse a uncinetto inamidato alle scarpe/scultura rieditati per l’occasione, l’attenzione per le stampe che vagano leggere tra l’animalier e il didascalico da riviera, la compostezza di neutri e accenti monocromi con cui è gestita la palette cromatica, qui abbiamo i campioni delle prime pagine, e del traffico digitale. “Quando sento parlare di cultura, metto mano al libretto degli assegni”, afferma il rivale del protagonista della pellicola. Con questo show, Jacquemus sembra recitare questa stessa battuta.

Photo: Filippo Fior / Gorunway.com

La Casa, Jacquemus, Capri

www.jacquemus.com

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