Le posizioni sul clima di Donald Trump e Kamala Harris a confronto

L'appuntamento elettorale più importante dell'anno — quello negli States — si avvicina e il mondo intero si chiede a quale candidato andrà la maggioranza di preferenze. Anche da queste elezioni dipenderà l'esito dei contrasti in Ucraina, a Gaza e ora anche in Libano, oltre che il coinvolgimento degli Usa nella Nato e il suo ruolo nella lotta al cambiamento climatico. Su quest'ultimo punto si gioca gran parte della campagna elettorale. Nonostante le politiche di Biden, rientrato negli accordi di Parigi dopo l'uscita di Trump, gli Stati Uniti restano infatti il secondo più grande inquinatore a livello mondiale dopo la Cina, che però ha oltre il quadruplo della popolazione. Tra la cautela dei democratici, che evitano l'intransigenza green per vincere le resistenze degli indecisi, e il negazionismo climatico di una frangia di repubblicani, compreso il candidato per la vice presidenza JD Vance, è difficile orientarsi. Vediamo allora le posizioni sul clima di Donald Trump e Kamala Harris a confronto.

Iniziamo con Donald Trump, le cui posizioni sul clima sono in gran parte note e periodicamente ribadite con affermazioni che allarmano la comunità scientifica. Nel 2019, in qualità di presidente, firmò l'uscita degli Stati Uniti dagli accordi di Parigi, il trattato sul clima che mira a limitare il riscaldamento globale al di sotto di 2°C e a proseguire gli sforzi per circoscriverlo a 1,5°C. Una scelta che il tycoon è pronto a replicare in caso di vittoria alla Casa Bianca. "Con il riscaldamento globale avremo più ville fronte oceano" è stata una delle surreali affermazioni del businessman, nella cui agenda politica la salvaguardia del clima non è una priorità. E pazienza se ad uno degli ultimi raduni elettorali c'era anche Elon Musk, ceo di Tesla. Sulle auto elettrice l'ex presidente non cambia idea, preferendo il petrolio all'energia da fonti rinnovabili. "Con me nessuno Stato potrà vietare i veicoli a benzina" è la sua promessa, insieme a quella di bloccare lo sviluppo di politiche climatiche future e di eliminare i sussidi per l'energia pulita.

Più conservative e decisamente più green sono le posizioni di Kamala Harris, che nel ruolo di vicepresidente ha contribuito con l'amministrazione Biden al ripristino dell'accordo di Parigi che Trump aveva abbandonato, a favorire i crediti d’imposta per i produttori di auto elettriche, fino all’Inflation Reduction Act del 2022, definito il più grande investimento in clima ed energia nella storia americana. L'obiettivo, condiviso con l'attuale presidenza, è quello di raggiungere un'economia a zero emissioni nette entro il 2050, puntando ad un taglio del 50-52% rispetto ai livelli del 2005 entro il 2030. Come evidenzia il sito renewablematter.eu, la candidata dem dimostra però anche un'ambiguità strategica in tema di estrazione di materie prime. In una recente intervista alla Cnn, Harris ha dichiarato di non avere intenzione di vietare il fracking, una tecnica estrattiva di gas naturale che ha permesso agli Stati Uniti di diventare il primo esportatore al mondo di questo combustibile fossile e su cui invece era decisamente contraria fino al 2019. Se questa pratica rappresenta un volano prezioso per l'economia del Paese, il rischio di perdite di metano e di contaminazione delle acque è notevole. Un tema che desta la preoccupazione di ambientalisti e scienziati, e che potrebbe spostare voti preziosi in Pennsylvania, swing state per eccellenza, dove è prodotto il 21,8% del gas naturale americano, al secondo posto dopo il Texas con il 24,6%, e dove l'oscillazione tra dem e repubblicani potrebbe essere decisiva.