Kid Yugi e il gran ballo di Satana dentro l'Ilva di Taranto

Chi segue l’affollato universo rap italiano conosce già da un po’ il nome di Kid Yugi, 23enne pugliese from Massafra, battezzato dal producer Night Skinny e benedetto da veterani come Salmo e Noyz Narcos. Dopo quattro dischi d’oro e uno di platino, esce oggi il suo secondo album I nomi del diavolo, un concept album ispirato a Il signore delle mosche di William Golding per rappresentare in 14 tracce e molti featuring (tra cui Tedua, Simba La Rue, Geolier e Ernia) «come il male influisca sugli esseri umani, sia a livello del singolo, che della collettività».

Kid Yugi - Figure 1
Foto Rolling Stone Italia

La cover del disco omaggia l’opera di Michail Bulgakov Il maestro e Margherita, rimandando alla scena del ballo di Satana. Già perché quello che caratterizza e distingue Kid Yugi dai suoi colleghi è l’uso massiccio di riferimenti culturali tra alto e basso – letteratura e videogame – con cui contamina e arricchisce il classico racconto street rap. Il ragazzo ha studiato, sui libri e sulla strada, e con questo nuovo disco apre l’orizzonte verso il disastro sociale dell’Ilva e quello dell’anima di molti ragazzi della sua generazione, consacrandosi primo gangsta intellò della scena, come potrete intuire leggendo questa intervista.

Dai testi si riconosce un background molto vario: letteratura, mitologia, storia, film, videogame, anime, giochi di ruolo. Come e dove hai coltivato queste passioni così diverse? Sono passioni nate in momenti diversi, succedeva magari che mi piacesse una cosa e mi concentravo su quella, poi mi annoiavo e passavo a un’altra.

Anche i tuoi coetanei erano così o tu sei un cane sciolto? Da piccolo c’erano ragazzi che condividevano con me la passione degli anime, poi basta. I miei amici non fanno testo… Quella buonanima di mio nonno mi spingeva sempre a leggere e mi regalò un libro che mi fece appassionare, ma solo qualche anno dopo. Da bambino non leggevo i libri, mi rifiutavo, come ogni mio coetaneo credo, leggevo solo Dylan Dog.

Che libro ti aveva regalato tuo nonno? Delitto e castigo, avevo 13 anni, lo lessi e ovviamente non capii nulla, a quell’età non puoi comprendere Dostoevskij a meno che non sei Einstein. Però qualche passaggio mi piacque e così mi appassionai alla lettura.

C’è un grande orgoglio di provincia nei tuoi pezzi. È davvero meglio, come rappi, “bere la birra al sud mentre su fanno la fashion week”? Ti vorrei rispondere ma al momento ho provato solo la birra al sud, di fashion week non ne ho vista nemmeno una. Ma sì, sono orgoglioso della mia terra, le origini e le radici sono fondamentali.

C’è anche un orgoglio terrone come canti nel pezzo con Geolier, Terr1? Assolutamente sì! L’orgoglio per la mia terra vessata da tanti problemi non verrà mai a mancare. Bisogna sempre glorificare la propria appartenenza e cercare di migliorare il più possibile il contesto in cui si vive.

Cosa vuol dire per te essere terrone? Il pezzo è proprio giocato sul fatto che terrone è sempre visto come un insulto, come se fosse ancora una discriminante venire dal Meridione. Utilizzo quella parola per fargli perdere la sua accezione negativa e fargli acquisire magari un nuovo significato. È una provocazione

Mi ha colpito molto il pezzo che tu dedichi all’Ilva di Taranto. Perché hai scelto di campionare un pezzo di Fido Guido? Lui è una leggenda nella provincia di Taranto e quel pezzo scritto una decina di anni fa è la migliore canzone scritta sull’Ilva. L’originale è tutto in dialetto tarantino e quando la sentimmo da bambini ci fece sentire nostro un tema così importante come quello dell’acciaieria. La cantavamo a squarciagola, soprattutto il ritornello che nella sua semplicità ha un potere evocativo impressionante. Tradotto dice: “si vede da lontano un fumo scuro, così scuro che non brilla più la luce”. Questo senso di sparizione dell’orizzonte, di impossibilità di vedere il futuro mi piaceva tantissimo. Mettendo quel campione volevo legittimare un artista che ha fatto tanto per la mia terra, e per me.

Perché nel pezzo dici che la scelta sull’Ilva è tra “vivere o mangiare”? È una frase che si dice sempre giù, nelle discussioni qualunquiste da bar. Quando comunicano che non chiuderanno l’Ilva dicono sempre che non saprebbero come reintegrare i posti di lavoro persi e da lì “vivere o mangiare”.

Rappi “meglio in prigione che finire all’Ilva”. Hai rischiato di finirci a lavorare? O hai rischiato di finire in prigione? Non so se ho voglia di rispondere a questa domanda. Però non ho mai pensato di andare a lavorare all’Ilva.

Hai amici che lavorano lì? Come si trovano? Nessuno che lavora all’Ilva vorrebbe essere lì. È una necessità, non il lavoro dei sogni.

Hai amici morti o ammalati per l’inquinamento dell’acciaieria? Tanti.

Questo pezzo è dedicato a loro? Un po’ tutto quello che faccio è dedicato a loro. Dall’anno scorso organizziamo un concerto a Massafra il cui ricavato va in beneficenza al reparto oncologico dell’ospedale di Taranto.

Sei di sinistra? O sei cresciuto in un ambiente di sinistra? Da come affronti queste tematiche nei testi potrebbe sembrare. No, non ho mai fatto politica nelle mie canzoni.

Ci sono molti riferimenti al rap anni ’90 americano. Tu o eri in fasce o non eri neanche nato. Come l’hai conosciuto? Grazie a internet. Se utilizzato bene è un posto pieno di informazioni buone e mi ha aiutato molto a scoprire quella che è la mia passione, il rap.

Potremmo paragonare il tuo street rap pieno di citazioni a un romanzo? Sì, perché no? Credo che occorra romanzare quello di cui si parla, non nel senso di inventarsi le cose, ma di dargli una forma elegante.

Chi ti ascolta si chiederà quanto c’è di vero tra malavita, droga e spaccio nelle tue canzoni? E se lo continueranno a chiedere.

Credi che il rap oggi possa raccontare la società come o meglio di un libro? Il rap non è necessariamente migliore o peggiore di un libro nel raccontare la società, piuttosto rappresenta un altro strumento importante e valido per farlo. 

Foto press

Rappi “sono grasso come Peter Griffin”: l’autoironia non proprio una cosa da street rap, giusto? No, perché dici così? È la cosa più street del mondo non vergognarsi di niente, di quello che si è, senza prendersi troppo sul serio. Anche Biggie faceva sempre riferimento a quanto era grosso, non l’ho inventato io.

Canti della “consapevolezza di essere fragile con la volontà di essere il più forte”. Dove riconosci e vedi questa tua fragilità? Quando certe volte affronto la vita nel tranello di sentirmi meno bravo degli altri. Mi scontro col non sentirmi all’altezza delle aspettative.

Sia Eva che Lilith sono canzoni d’amore. Ti è venuto naturale e semplice o è più facile la street rap? Parlano di amori finiti. Se hai vissuto qualcosa ti viene facile raccontarlo, che sia un amore interrotto, o impossibile, o di robe tossiche.

Però adesso canti anche di essere pieno di chicks… Grazie a dio, non ci lamentiamo…

Ci sono riferimenti nel disco a cabala, satanismo, bestie di Satana, Medioevo, mitologia nordica, horror e Stephen King. Sei attratto dal lato oscuro? Solo da un punto di vista conoscitivo. Non vorrei far passare il messaggio di essere un satanista perché non è così. Voglio solo indagare sulle forme del male nella nostra società.

Però c’è una vena scura, dark, nei tuoi testi… Fa parte di me, questa vena scura sia nelle sonorità che nelle tematiche mi ha sempre contraddistinto e mi è sempre piaciuta, fin da piccolo.

Davvero hai una Punto rotta? Ti comprerai una macchina nuova o non ti interessa? Sì, ce l’ho, ma non so se ne comprerò una nuova, per ora giro sempre in aereo e non mi sono stabilizzato da nessuna parte.

Come sono la tua vita a Milano ora e quella a Massafra? Cosa è cambiato? È tutto diverso, dalla tranquillità di un paesino rurale alla frenesia di una metropoli in cui mi sono state aperte tante porte. Sono agli antipodi le due realtà. A Milano puoi scegliere tra mille cose da fare, mentre Taranto, stando ad alcune statistiche, è l’ultima città in Italia per la qualità della vita dei giovani.

E vorresti fare qualcosa per risollevare le sorti di Taranto? Non sono un politico. La musica può salvare il singolo, non può salvare il mondo.

A quale tra i libri che citi – Otello di Shakespeare, Martin Eden di Jack London, Il maestro e Margherita, la Bibbia – tieni di più? La storia di Martin Eden mi piace moltissimo.

Cosa stai leggendo ora? Sul comodino ho Le avventure di Tom Sawyer di Mark Twain.

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