Israele-Libano: il giorno più nero | ISPI

23 ore ago

Violenti bombardamenti israeliani stanno martellando da questa mattina il sud del Libano e la valle della Bekaa, nell’est del paese. Il bilancio, secondo il ministero della Sanità libanese, è di 275 morti e oltre 700 feriti tra cui personale medico, bambini e anziani. La “nuova fase della guerra” – annunciata la scorsa settimana dal ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant – sembra dunque iniziata con l’apertura di un fronte a nord, dopo i massicci raid dei giorni scorsi sui quartieri sud di Beirut. Poco prima dell’alba di oggi, Israele ha diffuso messaggi sms e vocali ai cittadini libanesi invitando coloro che abitano vicino a edifici utilizzati dal gruppo paramilitare Hezbollah a “lasciare le loro case per ragioni di sicurezza”. Il primo ministro libanese Najib Mikati ha definito gli attacchi “una guerra di sterminio” e invitato i leader del mondo, riuniti in queste ore al Palazzo di Vetro di New York per l’annuale Assemblea Generale dell’Onu “ad adottare misure per fermare la distruzione del Libano”. Allo stesso modo il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha messo in guardia dal rischio di “trasformare il Libano in un’altra Gaza”. A undici mesi dall’inizio della guerra, il bilancio delle vittime tra i palestinesi ha superato quota 41mila, pari a quasi il 2% della popolazione della Striscia prima della guerra, ovvero una persona su 50. La maggior parte delle vittime erano civili e tra loro, per il 70%, donne e bambini.  

Libano - Figure 1
Foto ISPIonline
Israele alza l’asticella? 

I raid delle ultime ore rappresentano i peggiori bombardamenti mai compiuti in territorio libanese da quando, dopo il 7 ottobre, Hezbollah ha dichiarato il suo sostegno alla causa palestinese. L’escalation sta alimentando il timore che un conflitto in piena regola tra Israele e le milizie sciite sostenute dall’Iran possa essere imminente. Questa mattina il portavoce delle forze armate israeliane ha ribadito che agli obiettivi di guerra dichiarati dal primo ministro Benjamin Netanyahu, l’eliminazione di Hamas e la liberazione degli ostaggi da Gaza, si è aggiunto quello di far tornare a casa gli oltre 60mila israeliani che hanno dovuto evacuare la zona di confine settentrionale a causa delle salve di razzi sparati dall’altro lato della frontiera. Gli attacchi da parte israeliana sono stati preceduti da una spettacolare operazione di esplosioni coordinate con cui migliaia di cercapersone appartenenti membri di Hezbollah erano stati fatti saltare in aria a distanza, provocando almeno 37 morti e oltre 4mila feriti tra cui numerosi civili. Hezbollah ha attribuito le esplosioni dei dispositivi a Israele, che non ha confermato né smentito direttamente il proprio coinvolgimento. 

Stati Uniti impotenti? 

Ancora una volta, come spesso è accaduto nell’ultimo anno, gli Stati Uniti sembrano incapaci di esercitare qualsiasi influenza sull’alleato israeliano. Fin dal primo momento in cui si è espresso sul conflitto divampato all’indomani dell’attacco di Hamas, Joe Biden aveva ribadito di non volere una guerra regionale e di non ritenerla nell’interesse di Israele. Ancora ieri il portavoce per la Sicurezza Usa, John Kirby, ha avvertito Tel Aviv che ci sono “modi migliori” per garantire che i cittadini israeliani possano tornare nelle case evacuate nel nord “di una guerra, di un’escalation, e poi dell’apertura di un secondo fronte”. “Non crediamo – ha detto Kirby – che un conflitto militare, e lo stiamo dicendo direttamente alle nostre controparti israeliane… non crediamo che l’escalation di questo conflitto militare sia nel loro interesse”. Eppure, a 45 giorni dalle elezioni americane, la capacità dell’attuale amministrazione di fare leva sul governo Netanyahu sembra irrimediabilmente compromessa. E difficilmente il presidente americano, che non ha mai neanche ventilato l’ipotesi, bloccherà i rifornimenti militari a Israele in questa fase della campagna elettorale, per evitare di nuocere alla candidatura della sua vice Kamala Harris. 

Netanyahu sogna la Grande Israele? 

L’obiettivo israeliano di ridurre le capacità di Hezbollah, prendere il sopravvento, e forse creare una zona cuscinetto al confine nord  preoccupa anche l’Iran. Prendendo di mira il gruppo paramilitare sciita, infatti, Israele punta a colpire indirettamente anche Teheran, che però, al pari di Hezbollah, ha finora mostrato una forte reticenza nell’impegnarsi in una guerra regionale, consapevole del costante sostegno americano a Israele. Nel tentativo di uscire da questa impasse, Hassan Nasrallah ha ripetutamente dichiarato nel suo discorso di giovedì pomeriggio che il sostegno ad Hamas sarebbe cessato non appena fosse stato raggiunto un cessate il fuoco a Gaza. Parallelamente però, la violenza continua ad aumentare anche in Cisgiordania, dove Israele ha imposto una chiusura degli uffici di Al Jazeera per 45 giorni e dove i coloni che attaccano i villaggi palestinesi agiscono perseguendo un obiettivo sempre più chiaro: riprendere quanta più terra possibile e impedire la creazione di uno Stato palestinese. “Approfittando dell’attenzione rivolta alla Striscia di Gaza e al Libano, Netanyahu ha le mani libere per realizzare il suo sogno: essere colui che ha realizzato la Grande Israele”, osserva su Le Monde Agnès Levallois, e aggiunge: “Con il primo ministro che scommette solo sugli equilibri di potere, il futuro in Medio Oriente non è mai stato così cupo”. 

Il commento 

Di Mattia Serra, ISPI MENA Centre 

“Ogni ora che passa, il punto di non ritorno in Libano si avvicina. Una settimana di escalation culminata con i bombardamenti di oggi, che segnano il più alto numero di vittime in un giorno dal 2006. Niente di quello che stiamo vedendo in queste ore era però inevitabile. È il risultato di un fallimento internazionale, il prodotto di un anno di indugi e di linee rosse superate senza conseguenze. Allo stesso tempo, niente di tutto questo era imprevedibile. Una situazione mal gestita lasciata peggiorare, senza riconoscere che quella tregua tanto cercata a Gaza non serviva solo alla Striscia, ma all’intera regione”. 

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