undefined - REUTERS
Alla fine, stritolato nella morsa dell’ultradestra e della sinistra riunite clamorosamente per l’occasione, il premier francese Michel Barnier è caduto, trascinando con sé nel baratro tutto il governo. All’ora di cena, ieri, ha calato la testa, pur da «gladiatore», come l’hanno definito più volte nell’emiciclo dell’Assemblea Nazionale, divenuta per ore una bolgia. Più che uno schiaffo, un tracollo senza appello: 331 voti contro, rispetto ai 288 a favore.
Per il canuto 73enne che aveva accettato dal presidente Emmanuel Macron la “missione impossibile” di governare senza maggioranza, è stato il giorno più lungo. Quello in cui è divenuto il primo premier francese sfiduciato del nuovo secolo. Non l’ha più protetto il prestigio di un curriculum lungo come un’autostrada. Né la scia delle fitte trattative condotte fino all’ultimo per tentare d’imporre il proprio testo di finanziaria del sistema previdenziale. Alla fine, l’ex commissario Ue (per due volte) è divenuto solo il simbolo di un esecutivo da annientare, fungendo da “fusibile” per un altro bersaglio, Macron, costretto a seguire la débâcle in silenzio dall’Eliseo, in attesa di parlare alla nazione questa sera alle 20. Il presidente, ora, è davanti a opzioni d’una complessità mai vista per comporre un nuovo governo, non potendo mandare i francesi alle urne prima di giugno e dovendo scongiurare nel frattempo pure l’incubo di una fatale crisi del debito legata a filo doppio con l’inedita instabilità.
Si è rivelata fatale la prima delle due mozioni di sfiducia che pendevano come una scure sulla testa di Barnier: quella della sinistra in quadricromia (socialisti, comunisti, Verdi, “insubordinati” mélenchoniani) dietro alla quale, se non fosse andata in porto, era già pronta pure quella dell’ultradestra lepenista. Un tiro al bersaglio grosso reso possibile dopo la scelta del premier d’impiegare lunedì il controverso 49.3, l’articolo costituzionale che consente l’approvazione forzosa di una legge, ma aprendo la strada alla rappresaglia di un voto di sfiducia fatale. Nella storia parlamentare francese degli ultimi decenni, pochi ricordano un dibattito tanto infiammato e caustico. Impossibile, per Barnier, non sentirsi del tutto accerchiato.
Per l’ultradestra, Marine Le Pen, ha lanciato: «Sarebbe una disfatta politica non censurare una simile finanziaria, un simile governo, un simile crollo». A darle man forte, Éric Ciotti, l’ex repubblicano che ha preferito voltare le spalle al partito dell’ex presidente Sarkozy. Per il nizzardo, l’approccio di Barnier «rifiuta di opporsi alle folli spese legate all’immigrazione». Ma non meno urticanti sono stati gli affondi di Boris Vallaud, capogruppo dei socialisti, per il quale Barnier si è «chiuso in un tête-à-tête umiliante» con l’estrema destra. A tentare di far da scudo al premier, è stato il suo predecessore Gabriel Attal, a capo ora dei deputati macroniani. Affondi direttamente contro Marine Le Pen: «Lei fa un errore davanti alla storia, ma non riesce a fare altrimenti». A ricordare i rischi corsi dal Paese è stato invece un compagno di partito di Barnier, il capogruppo neogollista Laurent Wauquiez, per il quale le opposizioni scelgono di «sprofondare la Francia in una crisi economica e finanziaria».
Violentissime pure le stoccate contro Macron: «Oggi, suoniamo a morto per un mandato, quello del presidente», ha ad esempio urlato Éric Coquerel, il mélenchoniano capace d’ottenere il seggio strategico di presidente della Commissione Finanze. Ieri, insomma, ha raggiunto il culmine un clima politico rissoso che dura da mesi, contribuendo ancor più ad allargare un fossato mai visto prima fra elettori e politica. Al punto, che solo il 14 per cento dei francesi dice ormai di nutrire fiducia nei partiti, secondo l’inchiesta «Fratture francesi», curata da vari organismi autorevoli (Ipsos, Cevipof, Fondazione Jean Jaurès, Istituto Montaigne), assieme a Le Monde. Per i deputati, la popolarità è di appena il 22 per cento, contro un 26 per cento accordato all’Eliseo. Ma in quest’ultimo caso, rispetto alle ultime elezioni presidenziali del 2022, Macron è in caduta libera di ben 15 punti. Per il 63 per cento degli intervistati, la classe politica è «corrotta», mentre l’83% la percepisce motivata prima di tutto dal proprio tornaconto. A salvarsi, in questo campo di macerie, sono solo i sindaci, affidabili per il 70 per cento dei francesi.
© riproduzione riservata