Migranti in Albania, cosa dice la sentenza della Corte Ue sui Paesi ...

3 ore ago
Migranti Albania
Introduzione

La sentenza della Corte di Giustizia Europea è stata emessa il 4 ottobre ed è stata citata dal tribunale di Roma come base giuridica per motivare la decisione in merito al mancato trattenimento in Albania di 12 migranti arrivati nei giorni scorsi dall'Italia nel centro per il rimpatrio di Gjader. L’accordo fra Roma e Tirana prevede l’invio in Albania solo delle persone provenienti dai cosiddetti “Paesi sicuri”, dove sono rispettati i diritti e la democrazia.

La sezione immigrazione del Tribunale di Roma ha riscontrato l'impossibilità di riconoscere come 'Paesi sicuri' gli Stati di provenienza delle persone trattenute, cioè Bangladesh ed Egitto

Quello che devi sapere
Cosa ha deciso il tribunale di Roma
La sezione immigrazione del Tribunale di Roma non ha convalidato il trattenimento dei migranti all'interno del centro italiano di permanenza per il rimpatrio di Gjader in Albania. Il provvedimento era stato disposto per i 12 stranieri dalla questura di Roma il 17 ottobre scorso, i quali fanno parte dei 16 migranti (dieci provenienti dal Bangladesh e 6 dall'Egitto) trasportati in Albania al Cpr di Gjader dalla nave Libra della Marina militare italiana

Per approfondire: Migranti in Albania, tribunale Roma non convalida trattenimento: devono tornare in Italia

Cosa prevede il protocollo firmato con l'Albania
L’accordo fra Italia e Albania in merito al trasferimento dei migranti prevede l’invio in Albania solo delle persone provenienti dai cosiddetti “Paesi sicuri”, cioè Stati in cui – secondo il nostro esecutivo – sono rispettati i diritti e la democrazia. Sempre secondo il protocollo firmato con Tirana possono essere trasferiti lì i migranti definiti non vulnerabili (quindi uomini adulti senza evidenti condizioni di fragilità)
I Paesi di provenienza dei migranti non sono sicuri
Il Tribunale di Roma, nel motivare la decisione dei magistrati, ha citato la sentenza della Corte di Giustizia Ue del 4 ottobre come base giuridica e ha spiegato che "il diniego" della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi è dovuto "all'impossibilità di riconoscere come 'Paesi sicuri' gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell'inapplicabilità della procedura di frontiera". Come previsto dunque dallo stesso Protocollo Italia-Albania, i migranti in questione - provenienti da Bangladesh ed Egitto - devono essere trasferiti fuori dal territorio albanese e portati in Italia
La sentenza del 4 ottobre
La giurisprudenza sul tema della protezione internazionale – cioè il diritto all'asilo – è vasta e complessa. Proprio su questo tema, come detto, si era espressa la Corte di Giustizia Ue, con la sentenza del 4 ottobre scorso.  L’intervento della Corte era stato richiesto da un tribunale della Repubblica Ceca, dove un cittadino moldavo (identificato come CV) aveva presentato domanda di protezione. La richiesta era stata rifiutata e ne era nato un ricorso. La Corte regionale di Brno ha sottoposto allora alla Corte Ue diverse questioni "concernenti l'interpretazione della direttiva recante le procedure comuni sulla materia"
Un Paese non può essere sicuro "in parte"
La Corte del Lussemburgo ha stabilito allora alcuni principi. Prima di tutto, il diritto dell'Unione non consente attualmente agli Stati membri di designare come Paese sicuro "solo una parte del territorio del Paese terzo interessato". Nella fattispecie, le autorità ceche avevano ritenuto la Moldavia "sicura" ad eccezione della Transnistria. La sentenza ha infatti stabilito che i criteri che consentono di designare un Paese terzo come di origine sicura devono essere rispettati in tutto il suo territorio
Quando un Paese è sicuro
La direttiva Ue 2013/32 descrive infatti le condizioni per la designazione di un Paese sicuro, all'articolo 37 (allegato 1, paragrafo 1): "Un Paese è considerato paese di origine sicuro se, sulla base dello status giuridico, dell'applicazione della legge all'interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che non ci sono generalmente e costantemente persecuzioni quali definite nell'articolo 9 della direttiva 2011/95/UE, né tortura o altre forme di pena o trattamento disumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale" 
Le modifiche dal 2026
Il Patto per la migrazione e l'asilo approvato lo scorso aprile (e che entrerà in vigore nel 2026) abroga però la direttiva appena citata e la sostituisce con il Regolamento 2024/1348, noto come il Regolamento per la procedura d'asilo. All'articolo 61 (paragrafo 2) viene modificato la concezione di Paese sicuro: "La designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro a livello sia dell'Unione che nazionale può essere effettuata con eccezioni per determinate parti del suo territorio o categorie di persone chiaramente identificabili". Vengono quindi inserite le eccezioni per parti del territorio (il caso Transnistria per la Moldova) o per categorie di persone chiaramente identificabili (sempre il 4 ottobre la Corte dell'Ue con sentenza C-608/22 ha deciso che le donne che arrivano dall'Afghanistan hanno diritto alla protezione in quanto tali, senza ulteriori esami della loro condizione, a causa delle misure discriminatorie adottate dai Talebani)
Gli Stati chiedono di anticipare il Regolamento al 2025
Diversi Stati ora chiedono, per superare la decisione della Corte, di anticipare il Regolamento che abroga la direttiva già al 2025. Così sarà più semplice rifiutare domande di protezione per persone che arrivano da Paesi sicuri almeno in parte. La designazione del Paese sicuro è cruciale perché è un parametro primario nella procedura alla frontiera per valutare le richieste d'asilo. Il nuovo regolamento prevede ad esempio la procedura accelerata di esame (e respingimento) se proviene da un Paese d'origine sicuro o da un Paese con una percentuale di accoglimento delle richieste di protezione internazionale inferiore al 20%
Il diritto di deroga
La Corte Ue, sempre nella sentenza del 4 ottobre, ha ritenuto poi che il fatto che un Paese terzo "deroghi agli obblighi derivanti dalla Corte dei Diritti Umani (Cedu)" non escluda che questo possa essere designato come sicuro ma, allo stesso tempo, le autorità degli Stati membri "devono valutare se le condizioni di attuazione del diritto di deroga siano atte a mettere in discussione tale designazione"
Cosa deve fare il giudice nazionale
Infine, il giudice nazionale "chiamato a verificare la legittimità di una decisione amministrativa in materia di protezione internazionale deve rilevare d'ufficio, nell'ambito dell'esame completo, una violazione delle norme del diritto dell'Unione relative alla designazione di Paesi di origine sicuri"

Per approfondire: Migranti, Meloni incontra i leader dei Paesi Ue per presentare il modello Italia-Albania

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