Non aprite quella porta - Recensione: seminale capolavoro

18 ore ago
Non aprite quella porta

Il ritorno nelle sale di Non aprite quella porta di Tobe Hooper è un'occasione per esaminare una delle opere più influenti nella Storia del Cinema horror.

A ormai 50 anni dalla sua uscita il film continua a influenzare profondamente il Cinema horror contemporaneo: nonostante un budget esiguo e l’uso di attori pressoché sconosciuti, Non aprite quella porta è riuscito a ridefinire i confini del genere, presentando un orrore tangibile e realista che si discosta dalla maggior parte degli horror soprannaturali dell'epoca.

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[Il trailer originale di Non aprite quella porta]

L’America e l’orrore


Girato nel contesto della crisi sociopolitica degli Stati Uniti degli anni '70, Non aprite quella porta riflette criticamente il malessere di un’epoca tumultuosa, caratterizzata dalla disillusione post-Vietnam e dalla crescente sfiducia verso le istituzioni.

Tra la naïveté di una gioventù libertina, figlia della controcultura e della sfiducia che ha lasciato il conflitto in Vietnam, e la silenziosa e brutale vecchia America rurale, si manifesta la cruda realtà di una comunità ferita, attaccata perfidamente dal film nel più profondo e rassicurante focolare dei suoi valori, la famiglia tradizionale. 

Si tratta di una corruzione totalizzante, qui concettualizzata nella perversione delle dinamiche domestiche, con la macabra rappresentazione di una famiglia cannibale.

Hooper sembra suggerire come i vecchi e sanguinolenti Stati Uniti, sospinti da pulsioni anacronistiche, si nutrano del sangue e dei corpi dei giovani per mantenersi vivi.

La decadente e putrida figura del nonno non è che l'ipostasi maligna di questo concetto e di ciò che è stata la mattanza dei soldati che hanno perso la vita in Vietnam, di padri che divorano e sacrificano i loro figli per sopravvivere. 

[L'armadillo dei titoli di testa di Non aprite quella porta]

L'inizio del film 

Tra i vari tòpoi dello slasher presenti in Non aprite quella porta come il gruppo di teenager, il sottotesto sessuale di corpi giovani e pulsionali, la violenza efferata, il cattivo mascherato, un posto isolato, la final girl e tanti altri, Tobe Hooper riesce a renderne uno particolarmente interessante: quello dell'avvertimento.  


In ogni slasher ci sono dei segnali che preannunciano la tragedia, solitamente celati sotto simbolismi, segni grafici o letteralmente messi in bocca ad alcuni personaggi.

In Non aprite quella porta la questione dell'avvertimento è particolarmente interessante perché passa per varie declinazioni.

In primo luogo con una didascalia descrittiva e introduttiva che preannuncia il Texas Chainsaw Massacre (titolo originale del film) e non lascia spazio ad alcuna speranza, in seguito con i titoli di testa: attraversati da vari flash di carni putrefatte e scheletri che interrompono il nero, i segnali di morte iniziano a farsi spazio grafico, per poi chiudersi sulla sagoma gialla e tonda del sole, poco prima che una dissolvenza incrociata la leghi al cadavere di un armadillo steso sull'asfalto.

La morte e la luce, un legame strano e inusuale, di cui però più tardi scopriremo il senso, nel segno del sovvertimento dell'idea di rifugio, o di tranquillità: Non aprite quella porta non ha paura di dispiegare le sue efferatezze sotto al cocente sole texano.

La violenza prende piede anche in pieno giorno, nella desolazione degli Stati Uniti rurali fatta di paesaggi e silenzio, dove nessuno può sentirti. 

[Uno dei punti di vista inusuali di Non aprite quella porta]

Angoli di visione


La storicizzazione di Non aprite quella porta è largamente dovuta anche alle scelte stilistiche del regista Tobe Hooper, che hanno contribuito a definire l’estetica dell’horror contemporaneo.

Oltre la dimensione profondamente critica, il film manifesta una notevole consapevolezza nella messa in scena.

In particolare qui il riferimento è al crudo realismo che l’utilizzo della macchina da presa riesce a conferire, con un uso della macchina a mano persistente, vettore di un piglio documentaristico che rende l'orrore più "vero" e palpabile, ma anche un punto di partenza che perde spesso le sue coordinate realistiche in virtù di febbrili esplosioni di violenza visiva.


Gli angoli di ripresa inusuali, spesso accentuati verticalmente verso l’alto o verso il basso, promuovono un clima disturbante che attraversa il film come una nevrosi, intrappolando i protagonisti in angoli serrati e claustrofobici e di fatto corrompendo lo statuto semi-documentaristico che la macchina a mano conferiva, entrando in una dimensione aliena piegata tra il realismo e il perverso.

L'effetto è quello di una vertigine visiva che riflette lo stato emotivo dei personaggi, rendendo ogni sequenza di Non aprite quella porta ancora più agghiacciante. 

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