Il legame con la cattedrale parigina è nato nel 2018, assistendo a una Messa con pochissimi fedeli. Dopo l’incendio ho compreso cosa significa per i francesi l’“esperance” cristiana, e ho visto tante persone riscoprire la sacralità del luogo Caro direttore, ho vissuto per anni a Parigi e solo recentemente sono tornato a Milano. Alla vigilia della riapertura di Notre Dame vorrei raccontare cos’è per me questa cattedrale.
Ricordo come se fosse ieri, sabato 8 dicembre 2018, festa dell’Immacolata, con mia moglie e mia figlia decidiamo di andare a Messa a Notre Dame. In Francia l’Immacolata non è festivo, quell’anno era un normale sabato freddo, buio e grigio. Arriviamo alla cattedrale e non c’è nessuno. Almeno così sembra. L’interno è buio e camminiamo intimoriti fino all’altare dove capiamo che la Messa sarà celebrata per pochi intimi seduti intorno al celebrante: solo 14 fedeli ma con l’enorme fortuna di essere accolti sull’altare. Al termine della Messa il sacerdote ci saluta tutti uno a uno come un normale parroco e, capendo dal nostro accento che siamo italiani, si intrattiene con noi e ci racconta un po’ della storia di Notre Dame. È così che è iniziato il mio legame con la cattedrale. Un legame speciale, che da quel giorno è cresciuto sempre più. Evidentemente ci sono tanti altri monumenti celeberrimi a Parigi, come la Tour Eiffel, che è più “glamour”, simbolo di orgoglio tecnologico dei parigini.
Ma per chi vive a Parigi Notre Dame non è solo un monumento: è l’anima, il cuore della città. Dentro questa cattedrale non solo si sono convertiti Claudel e Péguy, ma tante persone che per quasi mille anni hanno affidato a Maria (Notre Dame) le loro fatiche, i loro dolori e la loro esperance, la speranza. In francese “speranza” si traduce in due diversi modi: espoir è la speranza umana, quella che esprimiamo di fronte a un evento di cui non sappiamo il risultato; esperance è invece la speranza cristiana, quella che sa che la realtà è in fine positiva, quella che si fonda sulla certezza della fede. Ed è questa esperance che tanti parigini hanno cercato dentro la cattedrale pregando Notre Dame. Ed è quello che questa cattedrale è diventata anche per me. Luogo e simbolo di esperance. Nel 2019, quando il terribile incendio l’ha quasi distrutta, ho visto alcune situazioni che mi hanno avvicinato ancora di più Notre Dame: un mio collega, non credente, è scoppiato in lacrime alla vista delle fiamme perché, anche se non sapeva spiegare il motivo, ne sentiva la sacralità e non sopportava la possibile distruzione di un luogo di speranza. Ho visto persone inginocchiate che non hanno smesso di pregare tutta la notte ai confini della zona di sicurezza lungo la Senna mentre i pompieri tentavano di salvare la struttura. Da allora, per 5 anni, tutte le volte che con gli amici o la famiglia andavamo in centro a Parigi cercavamo di avvicinarci il più possibile a Notre Dame nella speranza di vedere avanzare i lavori per salvare e ricostruire la cattedrale. Non era solo per sapere che le pietre, le vetrate, le statue, fossero di nuovo al loro posto ma era per ritrovare un luogo di esperance.
Un mese fa, con mia moglie ci siamo fermati dopo cena di fronte all’ingresso di Notre Dame. Il portale era aperto e anche se le transenne ci obbligavano a restare a una notevole distanza abbiamo visto che l’interno era completamente illuminato: la cattedrale era finalmente di nuovo viva. Domani saremo presenti, certo non di fianco all’altare come nel 2018, ma saremo là a pregare Notre Dame di continuare a aiutarci a far crescere in noi l’esperance.