Enea è Pietro Castellitto che alza il tiro e le ambizioni

5 Set 2023
Pietro Castellitto

“I voti buoni sono la droga che ci danno per non farci un’opinione”, lo dice a un certo punto di Enea un bambino al suo psicologo, che lo ha appena lodato per i buoni voti ricevuti. Non prima di aver tirato una bestemmia contro la Madonna. È tornato Pietro Castellitto. Enea è il suo secondo film e ha la medesima carica di I predatori, l’esordio che aveva mostrato che c’è un nuovo regista di commedie in Italia, uno che ha un’idea di humor e di commedia sua, autonoma e diversa dagli altri. Già in quel primo film raccontava di una famiglia, di personaggi infelici e arrabbiati, e lo faceva con una capacità di far arrivare le risate da punti che non diremmo mai, cogliendo sempre il pubblico di sorpresa.

Quando Enea inizia, con un dialogo tra un trentenne e una donna adulta, ci si ritrova di nuovo davanti a quell’umorismo così sottile da dare l’impressione a ognuno di essere l’unico nel pubblico a cogliere quella stupidità. Stavolta però le ambizioni sono molto maggiori, se I predatori era il manifesto di un’idea di cinema che ha come primo desiderio l’essere diversi, questa è la sua attualizzazione. Enea, interpretato da Castellitto stesso, è il figlio trentenne di una famiglia ricca di Roma, è proprietario di un ristorante di sushi, fuma sigaretta elettronica, gioca a tennis, porta i capelli all’indietro e ha sempre gli auricolari dell’iPhone indosso. È quel tipo umano lì, è cresciuto e prospera in quell’ambiente lì e vuole vivere in grande. Spaccia cocaina senza le spalle grosse da gangster, accetta carichi grandi insieme all’amico/socio (interpretato dal rapper Tutti Fenomeni) contando di piazzarli ma a qualcuno tutto questo non piace.

È piccola criminalità da salotto, un traffichino romano in erba che cerca qualcosa di più dalla vita. Siamo abituati a film italiani che sono una cosa sola. Alle volte lo sono bene (e ci piacciono), altre lo sono male. Ma sono quasi sempre una cosa sola. In Enea c’è continuamente un dettaglio fuori posto e fuori asse che tuttavia non rende il film brutto, anzi, quel qualcosa che non sappiamo identificare ma che non va, gli dà fascino. Perché è un film che non sta lì a fare di tutto per piacere ma vuole battere una sua strada. Nonostante in più momenti, e specialmente nella seconda parte, perda in velocità e ritmo e cominci a vagare con il senso, sempre meno a fuoco e sempre più esagerato con gli eventi, è di certo un film che è tante cose insieme, anche contraddittorie. E mentre mostra una storia che altrove sarebbe usuale, esce sempre più forte la sensazione che questi protagonisti siano in cerca di qualcosa che non sanno nemmeno loro identificare. Più fanno festa, più sembrano soddisfatti dello status raggiunto, più ci appaiono amari e mesti, in corsa verso un finale duro.

Si veda come rappresenta la famiglia, che è forse il tema più raccontato dal cinema italiano. Qui è un’alcova che tiene i figli bambini, che propaga se stessa, che massacra la piena realizzazione di ognuno, eppure non è solo quello, è anche un clan. Si guardi come rappresenta un 30enne: Enea pensa che nella vita si debba vincere e il locale o la cocaina sono mezzi per vincere, non ha una morale propriamente detta anche se la cocaina ha smesso di tirarla da quando ha conosciuto una ragazza (Benedetta Porcaroli) e ha intenzione di sposarla. Gli italiani tradizionali sotto altre vesti, quelli che si professano attaccati ai grandi valori, aggiornati solo in superficie ad una vita moderna ma che poi non hanno una chiarissima idea del mondo che li circonda. E per questo fanno ridere. Banali come poche altre cose.

Oltre a Enea infatti seguiamo anche il padre (interpretato dal vero padre di Pietro Castellitto, Sergio) e altri personaggi, tutti accomunati dal non capire benissimo cosa avvenga intorno a loro e avere sempre modi scomposti di reagire agli eventi. Ci provano a reagire, ci provano a rimediare e aggiustare quel qualcosa che gli manca ma, e forse qui sta la vera caratteristica dello sguardo di Pietro Castellitto, sono ridicolissimi proprio per questi tentativi, come quando Enea vuole fare da mentore al fratello rivelandosi più bambino di lui o quando il padre vuole dividere i figli che litigano in un momento di grande commedia di corpi e fisici.

Difficile dire se Enea sia un film sul presente, se sia un film di fantasia (sul finale lo si può pensare) o se sia un film umoristico con toni caustici e basta. Questo è parte della sua incompiutezza che un po’ ne soffoca le potenzialità. È chiaro che abbia delle aspirazioni superiori ai suoi esiti, anche se questi esiti non sono poco! Nonostante infatti non possa dirsi pienamente riuscito (come invece era il precedente) avercene di film così. Avercene di film che non hanno pietà per i loro protagonisti, che non raccontano nessun tipo umano già visto, che non girano intorno a luoghi comuni ma anzi hanno l’arroganza di ambire a qualcosa di più alto, di intercettare un tempo nuovo in modi nuovi. Con aspirazioni di questo tipo centrare a pieno il film diventa quasi secondario, perché è molto più importante l’atteggiamento che viene trasmesso.

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