Nero a metà, scene e itinerari dall'altra Napoli di Pino Daniele
Con in corpo la passione verso il blues, la rilettura della tradizione partenopea attraverso nuovi linguaggi musicali, la chitarra che per tutta la vita resterà la sua vera grande passione, sempre studiata e perfezionata ogni singolo giorno. Pino Daniele è stato questo e molto altro, un attento sperimentatore che anche nelle produzioni più pop negli anni duemila e nei lavori meno ispirati, manteneva sempre un tratto distintivo. A raccontare questa singolare figura della musica e i primi anni della carriera arriva il 4, 5 e 6 gennaio nei cinema il documentario di Marco Spagnoli Pino Daniele – Nero a metà che a dieci anni dalla scomparsa dell’artista – il 4 gennaio 2015 – ne traccia un ritratto attraverso filmati d’archivio e numerose testimonianze. A scrivere a quattro mani la sceneggiatura del film insieme al regista è Stefano Senardi, amico di lunga data di Daniele e soprattutto il suo storico produttore che nel film appare come una sorta di guida che, di ritorno a Napoli dopo dieci anni, raccoglie le testimonianze.
«Il film è un omaggio affettuoso all’uomo e al musicista Pino Daniele – spiega Senardi, al riscatto che ha rappresentato per il suo popolo e la sua città, e racconta anche la rivoluzione musicale straordinaria che ha operato attingendo dalla tradizione e affrancandola da ogni schema». Il produttore ligure dice di aver avuto «la fortuna di lavorare da vicino con Pino Daniele e riconoscerlo anche come uomo generoso ed estremamente attento alla libertà e alla giustizia».
ALTERNANDO testimonianze e alcuni inediti spezzoni live, ecco le immagini di Daniele giovanissimo, i primi passi e la firma al suo primo contratto discografico dopo un rocambolesco viaggio Napoli Roma con la macchina guidata da un’amica perché lui non ha la patente. Esordi ripercorsi attraverso i suoi primi tre lavori che danno però già il senso dell’opera innovativa che Daniele sta operando sulla canzone: Terra mia (1979), Pino Daniele (1979) e soprattutto Nero a metà (1980) con cui Daniele diventa un fenomeno discografico. La scena partenopea nella seconda metà degli anni settanta è un vero e proprio crogiuolo di stili e di musicisti di talento, il sassofonista James Senese era all’epoca il membro fondatore dei Napoli Centrale, il gruppo rivoluzionario di jazz fusion arrivato dopo un’altra incredibile avventura musicale con gli Showmen. Pino Daniele vince la timidezza e lo chiama, anche se all’epoca non è affatto un novellino: dai gradoni della Basilica di Santa Maria La Nova dove si esibiva con la sua acustica Eko X27 era passato ad accompagnare Jenny Sorrenti, Bobby Solo e fondato il gruppo jazz rock dei Batracomiomachia, in cui militavano fra gli altri Rino Zurzolo e Enzo Avitabile. «Si propose come chitarrista per entrare nella band, io gli dissi che non avevo bisogno di un chitarrista ma di un bassista sì. Lui accettò e così gli comprai un basso, che non aveva e non poteva permettersi, e rimase con noi per circa due anni», racconta Senese.
INIZIO di una collaborazione che prosegue per tutta la vita e si trasforma in fraterna amicizia. Senese farà parte nel 1981 di quella all star band tutta partenopea che comprendeva anche De Piscopo e Tony Esposito e che accompagnò Daniele a piazza del Plebiscito a Napoli, un anno dopo il tragico terremoto che devastò l’Irpinia facendo 3 mila morti. Un concerto dove accorsero oltre 200 mila persone, una sorta di rinascità della città. «I ragazzini si erano infilati anche sotto le tavole del palco – sottolinea Esposito – a un certo punto le vedevo sollevarsi mentre la mia postazione scivolava indietro». De Piscopo ricorda che «il concerto doveva essere tutto registrato ma poi la pressione della folla era tale che si scassò tutto, e anche della macchina di Senese che aveva parcheggiato vicino al palco non rimase quasi nulla…».
La forza di Daniele è quella di raccontare la città di Napoli così come era realmente in quegli anni, filtrata attraverso nuovi ritmi, altri mondi sonori e una malinconia sempre sottintesa dettata, confessa durante un’intervista televisiva con Gianni Minà: «Da una paura che abbiamo tutti di vivere una vita dove non rischiara mai».