Pino Daniele, il figlio Alessandro: «Mi mancano i nostri dialoghi, e i ...
Il 19 marzo 2024 Pino Daniele avrebbe compiuto 69 anni. Nel giorno che è anche il suo onomastico e la Festa del papà, a ricordarlo è il secondogenito Alessandro Daniele (la primogenita è Cristina, nata sempre dal primo matrimonio con Dorina Giangrade, e poi ci sono Sara, Sofia e Francesco, avuti dalle nozze con Fabiola Sciabbarassi, ndr), cuore e mente della Fondazione Pino Daniele. È lui che fa da guida nelle sale della casa museo Pino Daniele Alive, agli ultimi piani della sede del SUM – Stati Uniti Del Mondo, nel cuore di Napoli. Alle pareti, sugli scaffali, negli angoli, ci sono le foto di una vita del cantautore napoletano, scomparso nel 2015. Ci sono gli scatti di scena, quelli privati gli amici, gli incontri con i colleghi. E poi le chitarre, gli strumenti di registrazione, un piccolo studio. E a ogni ricordo, Alessandro, aggiunge un aneddoto, un'emozione, una curiosità. Come la moka degli anni ‘80 che Pino voleva sempre nel camerino, prima di salire su qualsiasi palco, insieme a due tazzine. C’è il Pino privato e il Pino di tutti, come succede solo ai più grandi. E in suo onore, nel Pino Daniele Day, arriva (per Warner Music) anche il vinile in edizione limitata che celebra il 40esimo anniversario di Sciò Live, il primo album live della sua carriera con le registrazioni del concerti tra il 1982 e il 1984, e un live contest - il Musicante award - Premio Pino Daniele, dedicato ai giovani talenti in possesso di un repertorio originale, in cui Alessandro Daniele, cha ha lavorato al fianco del padre per 15 anni, ha messo tutto se stesso: «L'ho costruito sull'immagine artistica e personale di papà, come se ce l'avessi davanti. I più giovani sono sempre stati una sua priorità. E tengo molto all'aspetto del live perché papà diceva sempre “i ragazzi li devi fare suonare”».
Quando ha capito che Pino Daniele appartiene a tutti?
«Forse subito dopo l'asilo. Prendevo le prime cartoline che c'erano di papà e le mettevo di nascosto nella borsa della maestra, come a dire “io ho capito, forse lo conosci anche tu”. La consapevolezza forse è scattata lì, e mia figlia che adesso ha sei anni l'ha già capito bene. Ho l'ufficio vicino casa, viene spessa, vede le foto, i cartonati. E mi dice “papà, non è giusto. Tu l'hai conosciuto e io no”. Mi chiede spesso di ascoltare le sue canzoni. E poi lei si chiama Melody».
Pino e il figlio Alessandro Daniele
Come la canzone di suo padre.
«Sì. Io volevo un nome italiano, mia moglie invece non era molto d'accordo, allora mi ha detto “cerco un nome legato alla musica”. Dopo qualche giorno mi dice “Ma Melody?”. E io subito “Ah come il testo di papà!”. E lei non lo sapeva. Le faccio ascoltare il brano, che per chi non lo conosce inizia così “Melody il nome che ti ho dato e allora amami”. Oggi mia figlia mi dice “non fare ascoltare agli altri la mia canzone, perché lui l'ha scritta per me”».
La sua assenza oggi in cosa la sente di più?
«Io ho una mia fortissima spiritualità, e quindi diciamo che fisicamente non sento una mancanza forte. È talmente vero che quando mi succede qualcosa di bello ho lo stimolo istintivo di chiamarlo, ho la sensazione in corpo che mi fa dire “mannaggia, sono quattro giorni che non lo sento”. Sentirlo oggi ancora così forte è per me una cosa molto bella perché me lo fa sentire vicino. Mi manca, però, moltissimo il dialogo con lui. Quella sensazione, difficile da spiegare, che provi quando ti guardi negli occhi e ti intendi all'istante. Senza parole. Quello che non ti stai dicendo, ma che stai trasmettendo all'altro. Su tutto il resto, sono molto sereno, tanto che condividiamo tutte le sue cose in questo museo».
Pino Daniele
C'è qualche suo oggetto a cui è più legato?
«Se devo scegliere, dico le sue chitarre. Da piccolo le toccavamo, anche mia sorella (Cristina, ndr). Le toccavamo con le mani tutte sporche di dolci e papà non diceva nulla. Per lui erano di fondamentale importanza ma restavano sempre oggetti. L'importante è quello che tu fai con quello strumento, se lo tocchi in un certo modo tiri fuori il mondo. Vale per tutti i grandi, come per Steve Gadd. Si è sempre detto “la sua batteria suona male, a meno che non la suoni lui”. Papà studiavo tutti i giorni più ore al giorno, anche per annullare un po' la tecnica e riuscire a dare un'emozione. Per creare qualcosa di grande devi conoscerti, devi guardarti alle spalle. Così diventi un caposcuola. Papà non ha lasciato solo canzoni, ma delle opere con dei valori dentro».
Il 19 marzo sarebbe stato il suo compleanno, il suo onomastico e poi ovviamente La festa del papà. Cosa si sente di dirgli oggi?
«Lo abbraccerei e gli direi auguri. Ci chiamavamo panzarotti. Ogni volta che lui saliva sul palco, io l'accompagnavo. In punta di piedi, da lontano, perché volevo che entrasse da solo ma aveva problemi alla vista. E lui prima di entrare mi tirava un pizzico alla pancia e mi diceva “non magnà”».
Alessandro Daniele