Come si vince la Premier League
Non si conquista il trofeo con gli algoritmi. Ma con la condivisione di obiettivi e percorsi basata in maniera importante sui dati e sul loro utilizzo. Il fisico Graham spiega con Moneyball come ha fatto vincere il Liverpool
Il tempo storico, compreso quello del calcio, non è mai solo uno, è fatto di sovrapposizioni e incroci, affiancamenti e compresenze. Il calcio italiano, più di ogni altro, vive questa situazione. Sul piano effettuale assistiamo da anni a una sempre maggiore penetrazione egemonica dell’anglosfera, soprattutto della sua parte americana, con la forza economica del suo capitalismo finanziario e con quella pratica dei suoi modi scientifici di organizzazione manageriale e imprenditoriale (che sono sempre anche modi di pensiero e visione del mondo), in cui l’utilizzo dei dati assume un rilievo centrale. Nonostante questi profondi cambiamenti, a livello del vissuto emotivo il calcio italiano si colloca a grande distanza, affascinato da mitologie nostrane, quasi sempre nostalgiche, o sedotto da quelle argentine, certamente non da quelle americane. Il modo migliore per essere derisi in una conversazione calcistica è affermare che il calcio contemporaneo sia figlio del baseball, e che questo sport sia la grande matrice di tanti processi che stiamo vivendo e vivremo.
Un’esplorazione interna di questi processi ci viene ora da un importante libro uscito lo scorso agosto in Inghilterra, How to win the Premier League (Century), che speriamo possa essere tradotto in italiano. È un libro seminale, che fa quello che un grande libro deve fare: fornire una comprensione delle tendenze dominanti dell’epoca, in questo caso quelle calcistiche. Lo ha scritto Ian Graham, fisico con laurea a Cambridge e interessi nel campo della biologia molecolare, che dal 2013 al 2023 è stato capo dell’area ricerche del Liverpool. Capire come un personaggio dal profilo simile sia finito a occupare un ruolo in un grande club calcistico è centrale nell’economia dei nostri ragionamenti. Il Liverpool nel 2010 viene acquisito dal Fenway Sports Group proprietario anche dei Boston Red Sox, una delle realtà motrici della rivoluzione dei dati nel mondo sportivo, grazie alle idee di John W. Henry. Da qui la volontà di adottare gli stessi meccanismi anche nel calcio, compiendo un’operazione arrischiata, perché il pensiero dominante era – e in parte continua a essere ancora oggi – che il calcio potesse essere soggetto di razionalizzazioni calcolatorie in stile Moneyball solo violando la sua natura sacrale.
Graham venne reclutato proprio per questo, utilizzare dati (che nel frattempo, come il libro spiega, cominciavano a circolare anche nel calcio sulla spinta degli investimenti dei bookmakers, desiderosi di dotarsi di un vantaggio strategico sui propri clienti) e modelli matematici sofisticati per valutare e suggerire gli acquisti da compiere sul mercato, con l’idea di acquistare meglio dei propri rivali, spendendo quindi meno in rapporto ai punti ottenuti, la vera metrica al cuore delle strategie moneyballiane.
Le pagine più belle e avvincenti del libro sono proprio quelle dedicate al racconto dietro le quinte degli acquisti alla base dei grandi successi del Liverpool di queste ultime stagioni, e del metodo utilizzato. Su tutti Salah, considerato inadatto alla Premier dopo il suo fugace passaggio al Chelsea, ma nessuno al contrario di Graham si era premurato di analizzarne in profondità il rendimento nelle poche partite disputate, sostenuto da dati positivi. Poi Matip, bollato da tutti come paperone sciagurato per la sua tendenza a commettere errori grossolani e spesso decisivi, ma senza analizzare in dettaglio il suo buon rendimento complessivo. E ancora Wijnaldum, snobbato dai grandi club perché retrocesso col Newcastle, fino ad arrivare a Mané reduce sì da due buone stagioni al Southampton, ma non certo il nome che fa sognare i tuoi tifosi se uno dei tuoi rivali nella stessa estate acquista Pogba.
Nel libro si apre un percorso parallelo, perché a questa visione calcolatoria si oppone invece una realtà del calciomercato fatta di suggestioni, condizionamenti e distorsioni care agli scienziati cognitivi, come ad esempio valutare molto di più le prestazioni recenti di un giocatore rispetto al trend temporale più ampio, enfatizzare più del dovuto le partite in un grande torneo fra nazionali, farsi condizionare dalle pressioni emotive dei tifosi, che in estate vogliono la scarica di adrenalina del grande acquisto. Graham ripete spesso come se è vera la correlazione tra stipendi più alti e maggiori possibilità di vittoria nelle grandi competizioni, non lo è quella tra vittorie e spesa sul mercato, proprio perché i trasferimenti nascondono insidie su insidie. Sembra di assistere nel calcio contemporaneo all’avvento rivoluzionario della scienza secentesca: le apparenze fenomeniche ingannano, non sono la realtà vera, che è nascosta all’occhio umano, ma leggibile con strumenti matematici. Coutinho è uno dei più forti giocatori al mondo per la sua efficacia nel tiro da fuori, verità visibile e facilmente accertabile da ogni spettatore? Non secondo il rasoio di Graham e una lettura analitica dei dati: sbaglia tantissimo anche lui, solo un po’ meno degli altri, perché all’aumentare della distanza le possibilità statistiche di segnare diminuiscono fortemente, campioni o non campioni, e i modi più efficaci per segnare e quindi vincere sono altri, ma il Barcellona non lo sa e sborsa 160 milioni per portarlo in Catalogna, che il Liverpool utilizza in parte per prelevare Van Dijk dal Southampton.
Graham non veste i panni del guru (nessuno girerà un film su di lui) e sono continui i suoi riferimenti all’importanza del lavoro in team, all’accordo sempre trovato con i capi dell’area tecnica e dell’area scouting, e a quello decisivo con Klopp, che degli acquisti basati sui dati si fida da subito, al contrario del predecessore Rodgers, e ne diventa poi il trasformatore e valorizzatore sul campo, in forme leggendarie. Non si vince con i dati, come se gli algoritmi agissero da fluido magico. Si vince con la condivisione di obiettivi e percorsi basata in maniera importante sui dati e sul loro utilizzo. Questa la lezione che Graham affida al suo libro.