Raoul Bova e il mestiere dell'attore - Tivubiz

14 Ago 2024
Raoul Bova

Il ritorno del “suo” Don Matteo e la scommessa de I fantastici 5. La stagione televisiva 2023/2024 ha potuto contare contare anche sul volto rassicurante di Raoul Bova, protagonista di ben due serie di stagione: una Rai, l’altra Mediaset, in un’ideale staffetta (targata Lux Vide) che ha visto i due principali network generalisti rimpallarsi, ancora una volta, l’attore. Anche l’anno scorso, infatti, Bova si era “sdoppiato” tra i due broadcaster: su Rai1 era stato don Massimo, impegnato nell’ambizioso avvicendamento con Terence Hill in Don Matteo 13, mentre su Canale 5 era il padre di famiglia Guido, nel drama a tinte gialle Buongiorno mamma! 2. A 52 anni, dunque, Bova sta vivendo quasi una seconda giovinezza professionale a riprova che, se i “no” contano nella carriera di un attore, anche i “sì” possono fare la differenza. Come quello che lui ha detto alla Lux Vide. La svolta è infatti arrivata dopo che l’attore romano ha accettato di ereditare il (non facile) “regno” di Terence Hill in quel di Gubbio. Il curriculum di Bova spazia tra i generi, confermando l’innata voglia di sperimentare dell’attore, in tv come al cinema: fin da subito ha alternato action (un titolo su tutti, Ultimo) e commedia romantica (i film di Moccia in primis), coniugando due mondi apparentemente lontani. È stato poi protagonista tanto di agiografie (Karol – un uomo diventato Papa e Francesco) che di commedie più leggere (Immaturi ma anche Fratelli unici, Nessuno mi può giudicare) trovando visibilità anche nel mercato americano, con la serie What about Brian e in un film del franchise Alien (Alien vs Predator) e nella miniserie The company di Hbo.

Nel mondo della recitazione si è tuffato a 21 anni. A 31 anni di distanza a che punto della sua carriera sente di trovarsi?
La recitazione è arrivata in un momento inaspettato della mia vita. Fin da subito mi sono messo quindi a studiare, per padroneggiare al meglio quest’arte, le sue varie tecniche, e imparare a usare le diverse corde attoriali che potevo avere. Volevo infatti meritarmi il dono, grandissimo, che la vita mi stava facendo. Sono stato anche in America, ho spaziato tra cinema e tv, cercando di dare il meglio. All’inizio mi sembrava un lavoro quasi misterioso, dalle molte facce, ma poi – e qui vengo alla sua domanda – mi sono reso conto che la recitazione parla un’unica sola lingua: quella dell’empatia. Gli “idiomi” possono essere diversi ma quello che conta, quando sei davanti alla macchina da presa, è mettersi in ascolto con il tuo personaggio e interagire con la storia. Credo che nel mio percorso siano state importanti tanto le scelte, quanto le rinunce. Ora mi trovo in quel punto della carriera in linea con la mia maturità. Sono cambiati i personaggi e le proposte, ma forse anche le necessità e non è detto che sia un male, anzi. A quell’età sarebbe stato chiaramente prematuro interpretare un padre mentre adesso la rosa di possibilità è più sfaccettata: sono stato padre in Buongiorno mamma!, prete in Don Matteo, ma non escludo di tornare a fare un action, o una commedia romantica.

Nella stagione 13 di Don Matteo si è trovato a sostituire un campione di ascolti come Terence Hill: come si entra in un progetto già in corsa, con un gruppo di lavoro già rodato? Quali sono state o sono ancora le sfide più urgenti da superare?
Non esiste un modo, o delle istruzioni, per entrare in corsa in una serie. A volte, semplicemente, si crea una situazione per cui ti arriva un’offerta che combacia con quello che stai cercando in quel momento. Io avevo voglia di commedia, leggerezza ma anche di spiritualità: tre ingredienti che sono fortemente presenti in Don Matteo. Per certi versi l’ho vissuta quasi come una chiamata. Dopodiché con semplicità si affronta tutto. Non bisogna vedere le cose più grandi di quello che sono, i problemi veri sono ben altri nella vita. Inoltre, nel caso di Don Matteo, ho trovato una troupe accogliente e una produzione molto attenta. È stato quindi tutto molto naturale e spontaneo.

Oltre che in Don Matteo, in questa stagione sarà protagonista de I fantastici 5 su Canale 5. Come riassumerebbe questo progetto?
Per la prima volta una serie tv parlerà di sport paralimpico. L’aspetto originale è che i protagonisti sono, sì, dei campioni diversamente abili ma attraversano un momento di stanca: hanno perso l’allenatore, sono demotivati, e non vivono lo sport come qualcosa che li fa stare benessere. Lo scambiano per altro. Io interpreto un ex allenatore che prova a spronare questi ragazzi, proponendo loro la “staffetta assoluta”: una gara 4×100 che unisce quattro discipline differenti. La condivisione aiuterà loro a riscoprire la bellezza della vita e il vero senso dello sport. Sempre più spesso sceglie progetti con un portato emotivo importante.

C’entra in qualche modo l’essere arrivato alla maturità della sua vita?
È un po’ quello che ci dicevamo prima. Ci sono dei progetti che arrivano intercettando il tuo vissuto e accendendo in te l’entusiasmo. E questo mi succede se il personaggio è tridimensionale e portatore di una storia personale profonda.

Cosa le piace e cosa non le piace delle tendenze o dei linguaggi che gli streamer hanno imposto alla produzione seriale internazionale?
C’è quest’idea per cui la tv generalista faccia solo fiction dall’impianto, diciamo così, più classico, ma non è esatto. Anche Rai e Mediaset osano e programmano titoli sperimentali. Lo scarto è semplicemente numerico: in streaming, questo tipo di contenuti è quantitativamente superiore. Ultimamente ho poi l’impressione che si cerchi di osare sempre con soluzioni registiche o interpretative moderne. Credo invece che bisognerebbe rispettare l’anima di un progetto, considerandolo per quello che è: se siamo davanti a una storia classica, una regia o un’interpretazione visionaria rischiano di stridere. Se invece il tono è pop, ben venga osare. È quindi il contenuto che deve dettare la linea editoriale. Magari le piattaforme propongono progetti un po’ più giovanili, affrontando anche alcune tematiche senza filtri e quindi in un certo senso sono più libere nell’esposizione e nella creazione dei personaggi e delle storie senza troppe censure, ma comunque le tv generaliste hanno sempre dato un grandissimo contributo alla nostra televisione italiana, io ho lavorato maggiormente con queste e devo dire che mi sono trovato sempre molto bene.

Ha lavorato in diverse produzioni internazionali, molti altri suoi colleghi non possono dire altrettanto. Perché, secondo lei, mediamente gli attori italiani faticano a superare i confini nazionali, anche ora che le piattaforme streaming hanno rotto ogni recinto nazionale?
Grazie alle piattaforme Ott, si è abbattuto lo scoglio linguistico e le nostre serie tv stanno spopolando all’estero. L’idioma locale piace, diventando addirittura un valore aggiunto della visione. Tuttavia, per quel che riguarda noi attori, la lingua continua a rappresentare un problema. Non mi riferisco tanto alla padronanza dell’inglese, una lingua che ormai i giovani conoscono bene, quanto all’accento. A meno che tu non sia bilingue, avrai sempre un’inclinazione italiana e questo ti sintonizza, immediatamente, su ruoli italiani, che sono scarsi nelle produzioni straniere. Difficilmente possiamo quindi calarci nei panni di personaggi tipicamente americani ed essere credibili. C’è poi un discorso produttivo di richiamo internazionale. Un volto italiano ti porta solo il mercato italiano, che è strutturalmente piccolo. Non abbiamo una forte presa nemmeno sulla platea europea che, tra francesi e spagnoli, è ancora molto divisa. Quindi le grandi major prediligono nomi di maggiore fama internazionale. E quelli americani riescono a essere di richiamo in tutto il mondo…

Quanto la preoccupa, se la preoccupa, l’avvento dell’intelligenza artificiale nei mestieri  creativi?
Onestamente non mi impensierisce. Tanto per incominciare fare ostruzionismo è inutile anche perché l’IA è già entrata nelle nostre realtà e spesso si rivelata una risorsa, come nel campo medico. La vera sfida sta nell’usare la tecnologia e non nel farci usare. La chiave è la conoscenza. Se comprendiamo il mezzo, possiamo gestirlo, un po’ come è successo con Internet: un mondo virtuale che prima ci spaventava ma che ora abbiamo compreso. È quindi fondamentale informarsi.

Lei, quindi, non avrebbe problemi a interpretare un dialogo scritto da una macchina?
Se è per quello i rischi sono anche altri, come per esempio la riproduzione della propria immagine. Ma questo è solo una faccia della medaglia: l’intelligenza artificiale sta anche aiutando molto il cinema, in termini di postproduzione e set. Si tratta, lo ripeto, di conoscere la materia per individuare cosa arginare e cosa no. Il problema dell’IA è che andrebbe regolamentata, bisognerebbe avere dei copyright che impediscano certi tipi di trattamento, e non parlo solo del mondo cinematografico o dello spettacolo, anche in altri ambiti lavorativi, tra i giovani, si possono creare false identità e quindi anche a livello di sicurezza potrebbe essere dannoso.

Pensando al futuro c’è un filone che le piacerebbe sperimentare maggiormente?
Devo dire che sono molto soddisfatto di quanto fatto finora, come attore. Però mi piacerebbe molto una storia che abbia per protagonisti i volontari della Croce Rossa: sarebbe una serie (o un film) dal grandissimo valore umano e sicuramente molto avventurosa, piena di casi, emergenze, sfide contro il tempo. Ho frequentato quell’ambiente e ne sono rimasto affascinato.

Lo potrebbe fare magari da regista o da produttore?
Calma, calma… Molti colleghi riescono a produrre, auto-dirigersi e recitare allo stesso tempo e per questo li ammiro, ma non fa per me. Non ci riuscirei mai. Devo fare una cosa alla volta e mi spaventa anche un po’ l’idea di mettere troppa carne al fuoco. Preferisco, per ora, concentrarmi solo sul mio lavoro di attore.

La sua partecipazione a Celebrity Hunted (Prime Video) è stata un’eccezione o con il progetto giusto si lancerebbe anche in uno show di intrattenimento?
È stata una parentesi giocosa, che mi ha divertito. Ma da qui a pensare un futuro nell’intrattenimento, ce ne passa…

L’articolo completo è stato pubblicato su Tivù di novembre 2023, scarica il numero o abbonati qui

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