Lezioni americane: sperando nella conferma di Retegui, la forza ...
Si torna dagli Stati Uniti con due vittorie in due partite, dettaglio che non va preso per oro colato ma neppure per bassa bigiotteria. Venerdì, in Florida, 2-1 al Venezuela. Domenica, nel New Jersey, 2-0 all’Ecuador. Si chiamano, in gergo, «prove d’orchestra», anche se, con il Var in vacanza, sono riemersi gli arbitri «vaporiera» di una volta: quelli che, nel dubbio, scambiano i sospiri per lamenti e fischiano tutto, fischiano sempre.
Fra la prima e la seconda amichevole, Luciano Spalletti ha ghigliottinato la formazione: undici fuori, undici dentro. Ricordo, in chiave esclusivamente panoramica, che nella classifica FIFA siamo noni, l’Ecuador 31°, il Venezuela 52°. Immutato è rimasto lo schema base, 3-4-2-1, ad assetto variabile, a conferma che gli esperimenti sono il sale delle «vacanze».
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Aver trovato «un» centravanti, Mateo Retegui, doppietta ai venezuelani, ha spinto il ct a impiegare Giacomo Raspadori, che «nove» antico non è, ma che dal cuore del fronte sa offrire sponde e suggerire varchi: a Nicolò Zaniolo, per esempio, pronto a sfruttarne la scia (non altrettanto a battere a rete). Era appena il 3’, e il drop mancino di Lorenzo Pellegrini - letteralmente risorto dopo l’esonero di José Mourinho - ci ha permesso d’impostare una trama capace, attraverso transizioni e fraseggi, di disinnescare la fisicità di Moisés Caicedo (130 milioni di euro dal Brighton al Chelsea, robe da matti).
Il centrocampo non può non girare attorno a Jorginho, con Nicolò Barella nei paraggi. Non mi è dispiaciuto, all’esordio assoluto, Raoul Bellanova, le cui volate sono stelle filanti. In attesa di recuperare Federico Chiesa, e deciderne il ruolo - esterno, punta larga, libero d’attacco? - si procede step by step. Il talento che ci manca, dobbiamo rimediarlo dallo spirito di squadra (c’è, c’è) e da alluci che garantiscano pressing aggressivo, geometrie raffinate (più difficile).
Tendiamo spesso a trascurare gli avversari. L’Ecuador ci ha spremuti in mezzo, là dove ci si pestava come su un ring, salvo creare meno pericoli rispetto al Salomon Rondon di Fort Lauderdale. Merito del pacchetto «di mischia» azzurro (da Alessandro Bastoni a Gianluca Mancini). Se i gradi di Gigio Donnarumma non si discutono, la caccia al vice ha coinvolto Guglielmo Vicario; poco impegnato, ma reattivo.
Il debutto europeo avrà luogo il 15 giugno, a Dortmund, con l’Albania. Non vedo, alla periferia della rosa, elementi che possano sabotare le gerarchie attuali, a meno che dalla primavera del campionato non escano improbabili sorprese. Credo che il modulo sul quale lavorare resti il 4-3-3. Fra i deb, meglio Bellanova che Andrea Cambiaso. Nessuno, sulla carta, vale il massimo di Chiesa, ma lo Zaniolo «inglese» potrebbe incarnarne un’alternativa (e pazienza se più gladiatoria che tecnica).
Le staffette hanno ingolfato la cronaca e rigato i giudizi. Occhio, inoltre, al contropiede, uscito dal cilindro quando ormai lo scarto pareva scolpito: da area ad area, da Riccardo Orsolini a capitan Barella, scavetto e raddoppio. È un’arma che ci ha consegnato la nostra storia; e se ai puristi fa venire l’orticaria, peggio per loro.
Il discorso sullo stato dell’unione, tanto per ricorrere a un lessico molto USA, ha ribadito che, in assenza di fantasia e di «dieci» all’altezza delle generazioni passate, tocca alla forza del gruppo (dell’unione, appunto) prendersi il destino sulle spalle. In fin dei conti, persino nel 2021 non eravamo favoriti. Eppure. D’accordo, questa Nazionale sembra addirittura meno guarnita di quella, e l’allenatore non va in campo, ma di Kylian Mbappé ce n’è uno, e non sempre basta.
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