Riccardo Cocciante: «Sanremo? Giurai che non ci sarei più andato ...
Riccardo Cocciante ha sempre mantenuto la sua promessa. Dopo la vittoria nel 1991 con Se stiamo insieme, non è più salito sul palco di Sanremo. Mai più in gara. Una scelta precisa, che rivendica ancora oggi. «È stata una vittoria difficile, contestata da giornalisti e critici. C’erano grandi artisti - ricorda a La Repubblica - da Renato Zero a Umberto Tozzi. Ho avuto la sensazione che si preferisse la vittoria di altri, questo mi ha lasciato un po’ di amarezza. Ma la gioia fu grande, il dispiacere della contestazione dei critici fu cancellato dal riconoscimento del pubblico: la mia canzone si ascolta ancora, altri pezzi in gara quell’anno no».
Ospite a SanremoMai più in gara ma come ospite sì.
E dopo le due apparizioni nel 2009 e 2019, sarà ospite anche quest’anno: canterà con Irama nella serata dei duetti, Quando finisce un amore, che compie 50 anni. A cercarlo è stato Irama, racconta Riccardo Cocciante a La Repubblica: «Voleva fare qualcosa con me. È un artista che stimo molto, mi è piaciuto quando l’ho ascoltato a Sanremo. Parlando con lui ho scoperto che è un ragazzo aperto, sincero, che vuole condividere ciò che di più intenso abbiamo dentro. Cerchiamo di creare una linea di continuità tra generazioni diverse...».
Bella senz'animaQuest’anno compie 50 anni anche “Bella senz’anima”, uno dei suoi brani più amati ma anche odiati. «All’epoca era stato difficile farla passare, i discografici erano scontenti, la Rai non la programmava. Pensavo che non avrebbe avuto successo, ma alla fine dell’estate ero primo in classifica. Per una canzone fuori dagli schemi le difficoltà esistono sempre ma si può fare tutto, decide il pubblico. C’è sempre qualcuno che arriva e ribalta le regole». Una canzone con un dedica particolare: «Era solo un’allegoria. Ero timido e chiuso in me stesso, era un modo un po’ disperato per dire “ascoltatemi, esisto”».
MorriconeRiccardo Cocciante lavorò anche con Ennio Morricone: «Ho sempre ammirato il suo modo di comporre, lo stile inconfondibile. Quando iniziammo a lavorare era spiazzato da me: ero fuori dagli schemi, cantavo urlando, lui era più misurato. Ma ha capito subito cosa bisognava mettere intorno alla mia voce. Mi chiamava “il mio gatto” perché, pur non avendo studiato musica, facevo cose che alla fine restavano in piedi...»