Richard Gere: «Vivo in Spagna, da 35 anni ho lasciato Los Angeles ...

4 ore ago
Richard Gere

Il sex symbol di American Gigolo, 45 anni dopo, torna a girare con il regista che lo rese una star. E di nuovo al centro del film c'è il suo corpo: non più quello di un trentenne dai muscoli scolpiti, ma quello di un anziano alla fine dei suoi giorni, confuso, senza capelli e provato dalla malattia. «Io sto benissimo nei miei 75 anni: per interpretare un 85enne in quelle condizioni ho dovuto studiare molto», puntualizzava ieri in video collegamento Richard Gere, protagonista del nuovo film di Paul Schrader, Oh Canada, in uscita al cinema il 16 gennaio. Adattamento del romanzo I tradimenti dell'americano Russell Banks, Oh Canada è la storia di Leonard Fife (Gere), un famoso documentarista che, sentendo la morte avvicinarsi, decide di raccontare la sua vita, senza filtri, in una lunga intervista concessa ai suoi adoranti allievi. Unica spettatrice, sua moglie (Uma Thurman): Leonard vuole che lei assista perché sta per rivelare davanti alla camera qualcosa di indicibile. L'immagine di sè su cui ha costruito la sua carriera, quella dell'eroico disertore che pur di non combattere in Vietnam è fuggito in Canada (in quelle sequenze è interpretato dall'astro in ascesa Jacob Elordi), non corrisponde a verità. Tutt'altro.

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LE BUGIE

«Ci sono bugie e bugie: quelle che dici per proteggere gli altri, forse le puoi perdonare», rifletteva ieri Gere, «orgoglioso» di aver vissuto «la generazione del Vietnam, quella che alla fine degli anni Sessanta si risvegliò in reazione agli orrori della Seconda Guerra Mondiale. Allora come oggi, i poeti, i musicisti, gli attori e i registi avevano molto più a cuore la gente dei politici». Attivista per la causa tibetana, praticante buddista, da sempre avverso a Trump e da quest'anno ufficialmente residente in Spagna con la terza moglie Alejandra Silva, 41 («Ma da 35 anni ho lasciato Los Angeles: le gabbie sono di chi se le costruisce»), Gere si è detto «preoccupato» dell'attuale situazione politica americana: «Ciò che mi inquieta è l'associazione di un Presidente di uno Stato come gli Stati Uniti, con due dei multimiliardari più ricchi del mondo. La nostra Costituzione dice: "noi siamo il popolo". Appunto, "il popolo", non "noi siamo i miliardari". Non dimentichiamolo». Sempre elegante e compassato, anche quando si infiamma nel parlare di politica, Gere ha sorriso ricordando la prima collaborazione con Schrader per American Gigolò. «A quel tempo avevo qualche anno di esperienza in teatro alle spalle. Paul aveva scritto la sceneggiatura di Taxi Driver e forse anche quella di Toro Scatenato e con noi c'era uno dei costumisti di Visconti. Ricordo che ci guardammo mille volte Il Conformista: volevamo fare un film "alla Bertolucci". Di quegli anni conservo nella memoria il grande entusiasmo giovanile, che non ho mai perso». Nessun rimpianto: Gere ribadisce di sentirsi «in ottima forma», e la sua serenità sembra offuscarsi solo quando ricorda il padre, scomparso poco prima delle riprese di Oh, Canada: «La sua mente, per quanto avesse mantenuto una grande lucidità, aveva cominciato a perdersi. Una volta, mentre stavamo tornando in macchina dalla sua cittadina natale in Pensilvania, a un certo punto mi disse: "Ti ho mai raccontato di mio figlio Richard?". Non so chi lui pensasse che io fossi in quel momento, ma si è messo a raccontarmi una storia accurata ma completamente di fantasia. L'ho lasciato parlare, l'ho ascoltato: e ora posso dire che c'è molto di lui in questo personaggio».

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