Robbie Williams, il film Better Man rivoluziona il mondo dei biopic ...

21 giorno ago
Robbie Williams

“Chi è Robbie Williams? Un narcisista. Una faccia da schiaffi. Un coglione spocchioso”. Inizia così Better Man, il film sulla vita di Robbie Williams, un biopic senza esserlo, che viene presentato oggi a Roma all’Auditorium Parco della Musica e arriverà in tutti i cinema il 1 gennaio 2025. Che cosa vogliono dire queste parole? È così che si sentiva Robbie Williams, è così che gli altri lo facevano sentire da piccolo. Ed è così che ha sempre continuato a sentirsi, anche una volta arrivato sul tetto del mondo. Better Man, diretto da Michael Gracey (The Greatest Showman), rivoluziona il mondo dei biopic sulle rockstar: mentre tutti questi film si adoperano per farci vedere le star il più possibile come li abbiamo sempre visti noi, Better Man ci fa vedere Robbie Williams come si è sempre visto lui. E così, grazie al lavoro di un attore, della performance capture e della computer grafica, è in scena con il volto di una scimmia. I biopic cominciavano a sembrare tutti uguali. Ancora una volta Robbie ha fregato tutti. Pensateci: tutto questo è molto Robbie Williams.

C’è un buco nella mia anima

Quando, dopo pochi minuti di film parte Feel, una delle sue canzoni più belle, in sala ti viene voglia di iniziare a cantare. E già lì capisci tante cose. Capisci che Robbie Williams ha un posto ben saldo nella cultura pop, con tante grandi canzoni. “There’s a hole in my soul, you can feel it in my face, it’s a real big place”. (“C’è un buco nella mia anima, puoi sentirlo nel mio viso, è un posto davvero grande”) recita quella canzone. Ogni rockstar o popstar che ce l’ha fatta, che è diventato grande, è partito da qualche grande vuoto interiore. Qui è l’abbandono del padre, partito per Londra per fare l’entertainer, un padre che gli diceva “o hai quella cosa o non sei nessuno”. Un padre che c’è stato sempre per Robbie Williams, ma non c’era mai per il piccolo Robert.

Chi di noi non si è mai sentito quello inadeguato?

Quando, a un certo punto, parte Rock DJ, capisci un’altra cosa. È il momento in cui i Take That hanno ottenuto il primo contratto discografico e si fiondano in strada a ballare, a Regent Street, a Londra, secondo una classica scena da musical. È un momento chiave della storia della band, in scena di sono i Take That (cioè gli attori che li interpretano), ma ballano su una canzone di Robbie Williams. È lui la star. È lui quello che ha scritto le canzoni pop che oggi sono rimaste. È lui che, molti anni dopo essere uscito dalla band, si è concesso a loro per un tour per poi lasciare di nuovo. Proprio lui che era l’ultimo arrivato, che non sapeva cantare né ballare, che era stato preso – secondo lui o il manager, chi lo sa – solo per aver fatto un occhiolino. Better Man è un film catartico, liberatorio, motivazionale. Chi di noi non si è mai sentito quello inadeguato del gruppo, quello che restava indietro? Robbie Williams era questo, la pecora nera del gruppo, il peggiore. È diventato il più grande. Vuol dire che tutti abbiamo una possibilità

Dietro una maschera di pixel da scimmia, Robbie è nudo

Better Man è un film complementare e totalmente agli antipodi della bellissima docu-serie Robbie Williams, uscita un anno fa in questo periodo su Netflix. Fatto di materiali di repertorio e di una lunga, disarmante intervista il documentario, costruito con coreografie, scenografie, attori e computer grafica il film. Ma i due progetti hanno una cosa in comune. Che sia seduto sul suo letto in boxer e canotta, o che indossi una maschera di pixel da scimmia, in entrambi Robbie Williams si mette a nudo: si confessa e svela le sue debolezze senza al

cuna difesa. Più serio il documentario, più ironico il film. “Non lo sapevo ma soffrivo di depressione” è una frase che ascoltiamo in entrambi. “Odio quelle parole. Fa tanto Rossella O’Hara” aggiunge la voce narrante del film.

Le canzoni funzionano se ti metti in gioco

Il segreto del successo, di canzoni che sono rimaste, è proprio il mettersi a nudo. Quando Robbie incontra Guy Chambers, l’uomo che gli ha svoltato la carriera, gli fa ascoltare un sacco di canzoncine tutte uguali, scritte apposta per dare alla gente quello che voleva sentire. “Non funziona così. Le canzoni funzionano se ti metti in gioco” (“If they cost you something”, letteralmente “se ti costano qualcosa”). E Robbie Williams è esploso proprio quando ha cominciato a scrivere così. È in questo momento del film che ascoltiamo Something Beautiful. Ed è una di queste canzoni “nude” anche Forbidden Road, l’inedito che scorre sui titoli di coda: una ballad che è la miglior canzone di Williams degli ultimi 15 anni, ed è destinata a stare accanto ai suoi classici.

Diverso da qualsiasi altro film

Better Man è un film immaginifico, onirico. È più simile a Rocketman, il film su Elton John, che a Bohemian Rhapsody, il film sui Queen. Ma, rispetto a Rocketman, va ancora oltre, con quell’idea, fortissima della scimmia che lo rende diverso da qualsiasi altro film. Quella scimmia che, alla fine del film, ti sembra davvero Robbie, con quei suoi occhi dolci e dolenti. È allo stesso tempo biopic, musical live action, animazione, opera rock. Le canzoni di Robbie Williams non appaiono in ordine cronologico, ma secondo affinità elettive con il mood di una scena, secondo le suggestioni, in modo che siano funzionali al racconto. Così la famosa Angels è legata alla scomparsa dell’amata nonna; Better Man, che dà il titolo al film, al momento più oscuro, quello legato alle idee di suicidio e al rehab. E Let Me Entertain You, canzone simbolo della sua carriera, apre il concerto di Knebworth, in cui entra in scena appeso a una fune per i piedi, a testa in giù, come sulla copertina dell’album Escapology e nel relativo tour.

Sarà cabaret. Ma è cabaret di prima classe

Chi di noi può dire davvero di aver conosciuto Robbie Williams? Chi può dire di aver capito davvero chi era? Dopo la serie tv e dopo questo film possiamo dire di conoscerlo meglio. E dobbiamo ringraziarlo di essersi aperto in questo modo. Non è da tutti. Forse, per lui, è ancora la continuazione di una sorta di auto-terapia che durerà tutta vita. Forse ha superato i suoi fantasmi. O forse si sente ancora quella scimmia, quel bambino che, quando facevano le squadre di calcio, non sceglieva nessuno. Quel bambino che, in fondo, cerca ancora l’approvazione del padre, e per farlo canta My Way di Frank Sinatra. Quel bambino che si fa forza, violenza per andare sul palco, anche se è la cosa che vuole di più. “Basta dare spettacolo ed essere sfrontati” diceva da piccolo. “Salgo sul palco e mi comporto da gladiatore” avrebbe detto poi. “I’m a fucking entertainer” dice alla fine, forse anche per farsi forza. “Sarà cabaret. Ma è cabaret di prima classe”.

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