Fedeltà, coerenza e coraggio, le doti che ci insegna San Giovanni ...

24 Giu 2023
San Giovanni Battista

Fedeltà, coerenza, coraggio, capacità di non mettersi al centro della scena, ma di lasciar posto a chi è più grande. Ecco alcune delle virtù che possiamo imparare da Giovanni Battista, il precursore, la “voce nel deserto”, ultimo dei profeti e primo degli annunciatori di Gesù, un uomo che, pur di non tradire la verità, sacrificò la vita. Oggi, 24 giugno, la liturgia ne celebra la natività (un dettaglio significativo. Giovanni, infatti, è una tra le pochissime figure di cui viene ricordata non solo la morte, ma anche la nascita, proprio a sottolinearne l’importanza per la vita cristiana). La festa del Battista, la cui data si riallaccia ad antichissime ritualità legate al solstizio d’estate e alla fertilità della terra, è una di quelle ricorrenze capaci di unire. Tanti sono i Comuni italiani, piccoli e grandi, che hanno il precursore come patrono. Tra i capoluoghi di Regione spiccano Torino, Genova e Firenze.

Da molto tempo, in queste città, la celebrazione di San Giovanni oltrepassa i confini ecclesiali, diventando un momento di riflessione per le rispettive comunità, in un confronto che coinvolge mondo cattolico e mondo laico, autorità e società civile. Questo momento di dialogo, che si svolge nelle rispettive cattedrali, accomuna tutti e tre i capoluoghi, pur svolgendosi in tempi diversi della giornata. A Genova, infatti, da alcuni anni, il discorso alla città dell’arcivescovo Marco Tasca viene pronunciato nel tardo pomeriggio, a conclusione dei Vespri e della processione solenne. A Torino e Firenze, invece, questo medesimo confronto avviene durante le omelie delle Messe mattutine.

«Viviamo in una città che sa ancora essere generosa, accogliente e gentile» ha ricordato, nel capoluogo sabaudo, l’arcivescovo Roberto Repole, sia durante l’omelia, sia, a margine della celebrazione, in un momento di saluto con i giornalisti. «Ma questa è anche una terra che sta vivendo una forte crisi d’identità». Alle spalle c’è una storia di città industriale ormai definitivamente archiviata. «I dati economici ci ricordano che, nel 2020, il 75% della ricchezza prodotta proveniva dal terziario e appena il 25% dall’industria» ha sottolineato il Presule. Ma di certo non è solo questione di numeri. «Non possiamo fermarci ai meri dati economici, così come non possiamo pensare che l’obiettivo umano sia semplicemente il perseguimento di un benessere fisico e materiale. Questo vale per il singolo come per l’intera comunità». «Abbiamo bisogno di una città con strade funzionanti, con ospedali efficienti e lavoro per tutti. Ma se anche riusciremo a ottenere questi risultati, non possiamo illuderci che tutto si esaurisca qui» ha sottolineato monsignor Repole. «Dobbiamo porci domande profonde, domande di verità e di senso». Domande che gridano nei tanti ragazzi smarriti, «feriti dall’autolesionismo», negli anziani soli «che magari rinunciano a esami medici di cui avrebbero bisogno, semplicemente perché non riescono a districarsi nei tanti adempimenti burocratici», nelle carceri «dove arrivano detenuti sempre più giovani, un dato, questo, che impone una profonda riflessione». Il progresso scientifico e tecnico, pur indispensabile, non può essere abbandonato a se stesso, perché «senza una visione più ampia rischia di produrre una società disgregata e individualista». Ecco perché, come cristiani, «abbiamo la possibilità e la responsabilità di far posto a domande profonde. Domande, appunto, di verità e di senso. Come il Battista, possiamo testimoniare, con coraggio, che Cristo è il centro e il senso delle nostre vite».

Nel capoluogo toscano, il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo della città, ha incentrato la sua omelia sul tema dell’identità, che «la festa di San Giovanni Battista pone al centro della nostra riflessione». Secondo il cardinale nella società attuale rischiamo di perdere «l’identità personale a vantaggio del potere attribuito all’incrocio degli algoritmi nel grande gioco della comunicazione e soprattutto del mercato. Nel contesto sociale rischiamo ormai di essere più numeri che persone. La crisi del valore dell’identità diventa palese anche nell’ambito delle relazioni sociali, dove vince il mascheramento di ciò che ci è di più proprio in funzione dell’accettazione, vittime delle regole del politically correct. Nella ricerca di sé il prevalere delle oscillazioni e delle fluidità diventa strumento decisivo per esonerare dal prendere decisioni impegnative, vincolanti, a cominciare dall’accettazione di sé. E quando queste dinamiche dal piano personale si trasferiscono a quello sociale, ecco che nell’incrocio tra le culture resta irrisolta la composizione tra identità e accoglienza».

La risposta, tutt’altro che semplice, sta, per il cardinale Betori, nella «riconquista del concetto di persona umana nella sua integralità che unisce il sé alla relazione, così che nessuno possa determinarsi se non a partire da una limpida coscienza e al tempo stesso da un’apertura generosa all’altro». Nel corso dell’omelia, l’arcivescovo di Firenze ha anche voluto ricordare la figura di don Milani (di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita) e rivolgere un accorato pensiero per Kataleya, la bimba scomparsa pochi giorni fa a Firenze, «con la speranza di poterla presto riabbracciare e riportare all’affetto dei suoi genitori».

(nella foto, l'arcivescovo di Torino Roberto Repole)

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