Triunfi, edicole votive e cucina povera: la devozione dei rioni ...

14 Lug 2024

Quando il Festino durava cinque giorni il carro di Santa Rosalia saliva e scendeva dal Cassaro, in tutti i quartieri si rendeva omaggio alla Santuzza e alla fine di ogni rito religioso si distribuivano i piatti tipici della cucina povera palermitana, come le fave "'a cunigghiu" o i più noti babbaluci. Durante i festeggiamenti in onore della santa patrona, la città esprimeva tutto il suo colore: un mix di sacro e profano, che ancora oggi è la cifra distintiva della Palermo devota a Santa Rosalia.

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Foto PalermoToday
Vicolo Brugnò si prepara al Festino: "Così da quasi un secolo celebriamo la Santuzza" | Video

Pian piano stanno tornando in auge pure antiche tradizioni, come quella dei triunfi. La storia di Santa Rosalia cantata in strofe, davanti alle case della gente, alle edicole votive e agli altarini addobbati per l’occasione, era tramandata dai cantastorie ciechi, i cosiddetti orbi, riuniti in congregazioni dai Gesuiti sin dal '600. "Un modo per dargli un mestiere e allo stesso tempo per evangelizzare", spiega Christian Pancaro, studioso di tradizioni popolari, impegnato tra le altre cose nella riscoperta dei triunfi a Santa Rosalia.

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"Grazie a un progetto del museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino, condotto assieme agli etnomusicologi Giuseppe Giordano e Girolamo Garofalo - prosegue Pancaro - abbiamo recuperato antichi testi conservati nell’archivio del Folk Studio, istituzione fondata nel 1970 dalla professoressa Elsa Guggino". Si tratta di cunti riproposti in due eventi che si sono svolti nei giorni scorsi in piazzetta dei Bianchi e piazzetta Pasqualino, proprio di fronte al museo.

Fino agli anni '60 del secolo scorso i triunfi venivano cantati quando Santa Rosalia faceva la grazia di un miracolo e la gente si radunava attorno alle cappidduzze, le edicole votive che nei rioni popolari venivano addobbate con parature, fiori e luminarie. "La giornata - dice Pancaro - spesso si concludeva a tavola, con quello che ancora adesso è il cibo del Festino: babbaluci, turruni, gelato di campagna, muluni, simienza, fave 'a cunigghiu e l’immancabile caponata". Un festino nel festino - a dimensione della piccola comunità di riferimento - che oggi resiste al Capo, nella zona che un tempo veniva chiamata Panneria. A piazza Monte di Pietà c’è infatti la più antica edicola votiva della città dedicata a Santa Rosalia. E questa, non a caso, è la prima tappa della processione dell’urna argentea che contiene le reliquie della Santuzza.

Santa Rosalia - Figure 2
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Lo stretto legame tra Santa Rosalia e il Capo è dovuto anche alla storia del saponaro Vincenzo Bonelli, che abitava proprio alla Panneria. A Bonelli, salito a Monte Pellegrino per suicidarsi (dopo la morte della moglie e della figlia a causa della peste), apparve Rosalia che lo salvò e gli indicò la grotta in cui c'erano le sue ossa. Il saponaro portò all’arcivescovo Giannettino Doria i resti mortali di Rosalia che, trasportati in processione, scacciarono la peste dalla città. Per questo motivo gli abitanti del Capo ritengono di aver avuto un ruolo significativo nella storia di Rosalia e nella salvezza di Palermo dalla peste.

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Un altro quartiere in cui la devozione alla santa patrona è particolarmente sentita è la Kalsa. Accanto alla chiesa della Pietà, la confraternita di Santa Rosalia dei Sacchi (che affonda le radici nella metà del '600 ed è considerata la più antica della città) ha riprodotto proprio la sacra grotta di Monte Pellegrino, dove Rosalia visse da eremita prima di morire e di essere venerata da tutta la città.

Una venerazione che va avanti da 400 anni (1624-2024), anche se dopo l’Unità d’Italia (1861) il Festino subì una lunga battuta d’arresto. "Per oltre trent'anni - ricorda Pancaro - il Festino fu interrotto per volontà dello Stato italiano, che lo considerava una solennità del vecchio regime Borbonico. Sulla scorta di questa decisione politica, il municipio palermitano non investì più nel Festino e il carro non sfilò più lungo il Cassaro. Si mantenne solo la processione delle reliquie". Fino a quando l'etnologo Giuseppe Pitrè, da consigliere comunale, a fine '800 contribuì in modo determinante a rilanciare il Festino di Santa Rosalia: non solo come appuntamento religioso ma anche come momento di folklore capace di animare (anche da un punto di vista economico) un'intera città.

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