L'incidente che cambiò la vita di Michael Schumacher - Il Post
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Il 29 dicembre del 2013, dieci anni fa, l’ex pilota tedesco di Formula 1 Michael Schumacher fu ricoverato d’urgenza al centro ospedaliero universitario di Grenoble, in Francia, dopo una brutta caduta sugli sci. Schumacher si trovava a Méribel, dove stava trascorrendo le vacanze di Natale assieme alla famiglia: durante una discesa fuoripista perse l’equilibrio e sbatté la testa contro una roccia, riportando gravi danni cerebrali. Alcuni giorni dopo l’incidente la moglie Corinna Betsch disse ai giornalisti che affollavano l’ospedale nella speranza di ottenere qualche informazione di andare via, di fidarsi dei comunicati dei medici e di lasciare in pace la famiglia.
Schumacher entrò in un coma da cui uscì soltanto dopo circa sei mesi, ma senza riuscire a recuperare completamente le sue funzioni cerebrali. Sulle sue condizioni di salute e sugli eventuali miglioramenti la famiglia ha sempre mantenuto una grande riservatezza, resistendo ai molti tentativi dei tabloid di dare aggiornamenti e scoop sul suo stato di salute, e smentendo periodicamente false informazioni circolate sui media. Le uniche testimonianze affidabili sulle condizioni di salute di Schumacher sono quelle, molto rare e laconiche, arrivate nel tempo dai famigliari più stretti e dalle poche persone che continuano a frequentarlo tuttora.
Tra queste c’è Jean Todt, ex manager della Ferrari ed ex presidente della Federazione Internazionale dell’Automobile, che in un’intervista data a Radio Montecarlo nel luglio del 2019 raccontò di avere visto con Schumacher alcune gare di Formula 1, senza però aggiungere ulteriori dettagli. «Naturalmente la nostra amicizia non può essere uguale a come era prima dell’incidente, dato che non c’è più la stessa comunicazione che avevamo prima. Ma Michael continua a lottare, e con lui la sua famiglia», disse Todt.
In un’intervista data lunedì al quotidiano tedesco Bild il fratello di Schumacher ed ex pilota Ralf Schumacher ha detto che «grazie alle moderne opzioni mediche, abbiamo potuto fare molto», ma che «niente è più come prima». Nel documentario di Netflix Schumacher, uscito nel 2021, il figlio Mick disse che dopo essere diventato a sua volta un pilota affermato avrebbe dato «qualsiasi cosa» per poter parlare con suo padre, confermando indirettamente le persistenti difficoltà di comunicazione dovute agli effetti dei danni cerebrali.
Negli anni la famiglia Schumacher si è scontrata con diversi media che avevano pubblicato informazioni sulle condizioni di Michael. Nel 2016, per esempio, Corinna Betsch citò in giudizio il settimanale tedesco Bunte, che in un articolo pubblicato nel dicembre dell’anno prima aveva citato la testimonianza anonima di un presunto amico del pilota secondo la quale Schumacher era in grado di camminare senza l’aiuto di sostegni. Si trattava di una notizia falsa: fu smentita da Felix Damm, l’avvocato della famiglia Schumacher, che in quell’occasione spiegò che l’ex pilota non riusciva a stare in piedi neppure con l’aiuto dei terapeuti.
Michael Schumacher con Flavio Briatore al Gran Premio di Formula 1 di Germania del 1997. (AP Photo/Thomas Kienzle)
Nel 2019 il quotidiano francese Le Parisien scrisse che Schumacher era stato ricoverato sotto falso nome nell’ospedale George Pompidou di Parigi per ricevere delle «cure segrete» a base di cellule staminali (le cellule non specializzate in grado di differenziarsi e svolgere funzioni diverse all’interno di un organismo), elaborate dal chirurgo francese Philippe Menasche. Le Parisien non rivelò le fonti dell’informazione, che di conseguenza non è stata mai confermata ufficialmente; tuttavia la notizia fu ripresa da giornali e agenzie di stampa di tutto il mondo.
Delle condizioni di salute di Schumacher si tornò a parlare anche ad aprile del 2023, quando il settimanale di gossip tedesco Die Aktuelle pubblicò una finta intervista all’ex pilota scritta usando Character.ai, un software di intelligenza artificiale che consente di interagire con personaggi virtuali ispirati a celebrità e figure storiche. Il titolo di copertina della rivista era “Michael Schumacher – La prima intervista!” scritto a caratteri molto grandi, come a segnalare uno scoop, e il fatto che l’intervista fosse finta veniva specificata solo all’interno, in una piccola nota a piè pagina. Subito dopo la pubblicazione dell’intervista la famiglia Schumacher fece causa a Die Aktuelle e Funke (il gruppo editoriale che pubblica la rivista) rimosse dall’incarico la direttrice Anne Hoffmann.
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Negli ultimi dieci anni diverse indiscrezioni hanno riguardato anche la dinamica dell’incidente: ad esempio, nel 2014 fu scritto che il trauma subito da Schumacher sarebbe stato dovuto all’asticella di supporto della telecamera GoPro che aveva montato sul casco. L’ipotesi, mai confermata, era stata citata nell’ottobre del 2014 da Jean Louis Moncet, un giornalista sportivo francese che si occupa di Formula 1, che però era tornato sulle sue posizioni dopo pochi giorni affermando che non si trattava di una notizia, ma di una sua opinione.
A novembre l’emittente pubblica tedesca Ard ha pubblicato un podcast dedicato all’incidente di Schumacher: è stato curato dal giornalista Jens Gideon, e nelle scorse settimane ha attirato una certa attenzione mediatica. Gideon ha infatti raccolto la testimonianza di un maestro di sci di Méribel, descrivendolo come una delle prime persone che soccorsero Schumacher subito dopo la caduta. Dalla testimonianza dell’uomo (la cui identità è anonima: nel podcast Gideon lo chiama “Andre”) sono emersi due aspetti inediti dell’accaduto.
Una foto scattata nell’area del complesso sciistico di Méribel dove Schumacher ebbe l’incidente. (AP Photo/Claude Paris)
Andre ha raccontato che un primo errore fu commesso dallo stesso Schumacher, che quel giorno decise di sciare fuoripista nonostante le condizioni del tempo non fossero favorevoli. Tuttavia, a suo dire, le condizioni di Schumacher peggiorarono per via della negligenza dei soccorritori, che le sottovalutarono. Andre ha detto che, subito dopo l’incidente, Schumacher era cosciente: inizialmente fu quindi deciso di trasportarlo con l’elisoccorso alla clinica di Moutiers, ma durante il volo le sue condizioni si aggravarono, e a quel punto l’elicottero si diresse verso Grenoble, l’ospedale attrezzato più vicino. Questo cambio di destinazione, secondo il maestro di sci sentito da Gideon, impedì a Schumacher di ricevere in tempi più rapidi soccorsi che avrebbero potuto teoricamente limitare i danni cerebrali.
Schumacher ha 54 anni, ed è uno dei più grandi pilota di Formula 1 di tutti i tempi, nonché uno degli sportivi più vincenti della storia. Durante la sua carriera ha disputato più di 300 gare in Formula 1 e assieme a Lewis Hamilton è il pilota che ha vinto più titoli mondiali: sette, in diciannove campionati disputati. Due titoli mondiali, i primi, li vinse con la scuderia Benetton, e gli altri cinque con la Ferrari, in uno dei più lunghi cicli di vittorie nella storia della Formula 1 e nel periodo di maggior dominio sportivo della Ferrari. Schumacher è anche il pilota con il maggior numero di vittorie consecutive di un titolo mondiale (5, dal 2000 al 2004), il maggior numero di giri più veloci in gara (77) e il maggior numero di hat trick (cioè la combinazione di pole position, vittoria e giro più veloce in una stessa gara).
Oltre che uno dei più presenti nelle liste di tutti i record della Formula 1, Schumacher fu senza dubbio il pilota più forte e influente della sua generazione, tra la seconda metà degli anni Novanta e gli anni Duemila: un periodo in cui, dopo la morte di Ayrton Senna, non ebbe sostanzialmente alcun rivale in pista che fosse alla sua altezza in termini di costanza delle prestazioni sportive. A un talento purissimo a lui riconosciuto da tutti i colleghi abbinava un agonismo fuori dal comune, una preparazione atletica maniacale e una straordinaria capacità di indirizzare gli sviluppi della macchina dialogando proficuamente con ingegneri, meccanici e sviluppatori. Per moltissimi piloti venuti dopo di lui, Schumacher fu o un avversario in pista o un modello di riferimento, e a volte – come per il pilota spagnolo Fernando Alonso – entrambe le cose.
Iniziò la carriera nel 1973, quando a quattro anni guidò per la prima volta un kart sul circuito di Kerpen, dove suo padre lavorava come custode. Dai kart passò alle classi superiori e poi al campionato tedesco di Formula Tre, debuttando in Formula 1 nel 1991 come pilota della Jordan, sostituendo nel Gran Premio del Belgio Bertrand Gachot. Si ritirò a gara appena cominciata per un problema alla frizione, ma si fece notare per le ottime qualifiche disputate: Flavio Briatore, all’epoca direttore della Benetton, gli offrì subito un contratto.
Nel 1992 ottenne il primo podio, in Messico, e la prima vittoria, in Belgio, su una delle piste che più apprezzava. Da lì cominciò la sua carriera, una delle più incredibili nella storia degli sport motoristici: nel 1994 vinse il primo titolo mondiale, che rivinse l’anno successivo. Nel 1996 accettò una delle sfide sportive più complicate della sua carriera passando alla Ferrari, che all’epoca veniva da uno dei periodi più difficili della sua storia: pur avendo a disposizione un motore molto potente, non aveva una macchina competitiva a causa di inefficienze sia meccaniche che aerodinamiche. Schumacher riuscì a vincere il primo titolo mondiale soltanto nel 2000, 21 anni dopo l’ultimo vinto dalla Ferrari, e da lì ne vinse altri quattro, tutti di fila. Poi, nel 2006 decise di ritirarsi dalle corse, anche se rimase alla Ferrari come consulente.
La monoposto di Schumacher al Gran Premio di Imola del 2001. (AP Photo/Ferrari)
Qualche anno dopo accettò un’offerta per tornare a correre, a lui proposta da Ross Brawn, che aveva lavorato con Schumacher da direttore tecnico sia in Benetton che in Ferrari, e all’epoca lavorava con la Mercedes, tornata in Formula 1 dopo più di cinquant’anni. Fu di nuovo un pilota di Formula 1 dal 2010 al 2012, compagno di squadra del tedesco Nico Rosberg, ma i suoi risultati furono altalenanti e in alcuni casi deludenti, anche a causa di una concorrenza più giovane e agguerrita. Tuttavia, dopo il suo ritiro definitivo, la sua influenza sullo sviluppo delle macchine della Mercedes – che avrebbe poi vinto otto titoli mondiali consecutivi tra il 2014 e il 2021 – fu considerata preziosissima dallo stesso Brawn e da altri addetti ai lavori.