U2, Songs Of Surrender: quelle canzoni per riprendere fiato prima ...

17 Mar 2023
Songs Of Surrender

Diciamoci subito la verità. Songs Of Surrender, il nuovo album degli U2, in uscita il 17 marzo, non è l’album che i fan degli U2 stavano aspettando. Dopo una pausa che, a parte qualche sprazzo, dura dal 2019, c’era la voglia di un album nuovo, con canzoni cariche, da suonare e ascoltare dal vivo, sui palchi di tutto il mondo. Invece, dopo che tutto il mondo si è fermato per più di due anni, e dopo che è ripartito più affannato di prima, per gli U2 non è ancora arrivato il momento della vera ripartenza. 

Songs Of Surrender non è il nuovo album, ma una collezione di 40 canzoni reimmaginate e reinterpretate. Gli U2 si sono chiesti questo: che cosa accadrebbe se spogliassimo le nostre canzoni, togliessimo loro tutti i marchi di fabbrica e gli elementi distintivi degli U2, quel fuoco indimenticabile che, in ogni concerto, accende milioni di persone? Songs Of Surrender è questo: ditemi che siete gli U2 senza dirmi che siete gli U2. Se ci pensiamo, è un’operazione temeraria, come ne hanno fatte altre in carriera. Forse stavolta di più. I fan, agli ascolti delle prime canzoni, non sono rimasti molto contenti.

Per gli U2 la dimensione acustica è una safety car

È un esercizio difficile, ancora di più se parliamo degli U2. Gli U2 sono per definizione una band elettrica. Sono sorti dalle ceneri del punk, genere per eccellenza carico di rumore, e il loro suono, sin dagli inizi, è stato caratterizzato dal suono della chitarra elettrica, dai delay e poi dalla infinite guitar di The Edge, dal basso di Adam Clayton, dalla batteria marziale di Larry Mullen Jr. La dimensione acustica non è mai stata il cuore delle loro esibizioni. Nei concerti è stata spesso un apostrofo rosa tra due atti del concerto, un paio di canzoni, arrangiate molto semplicemente, Per gli U2, più che per altre band, suonare in acustico è un rischio, un depotenziamento, una safety car che ferma una macchina che va a 300 all’ora e la costringe a rallentare

Rimangono le canzoni. E le loro sono grandi canzoni 

Che cosa rimane allora, degli U2? Nei nuovi arrangiamenti, spesso scarni, le melodie escono pulite, arrivano comunque dritte a noi. Questo è solo un altro modo di ascoltare queste canzoni. In fondo gli U2 hanno sempre cambiato i loro pezzi durante i concerti. Hanno sempre cambiato, anche con ironia, i testi. Hanno sempre aggiunto snippet, code, introduzioni. E, una volta a casa, dopo quei concerti, abbiamo sempre cercato le registrazioni per riascoltarci quelle canzoni che, in qualche modo, erano nuove. Siamo stati colpiti al cuore da quell’esecuzione di Sunday Bloody Sunday, solo voce e chitarra, a Sarajevo, e da All I Want Is You, allo stesso modo, a Sanremo, E da quella versione di One, più lenta, solenne, orchestrale, cantata al Pavarotti & Friends insieme a Brian Eno. E ancora, quanto abbiamo amato quella Every Breaking Wave intima, acustica, solo voce e piano degli Mtv Awards e negli ultimi tour? Ci è rimasta dentro così tanto da credere che l’originale fosse quella. 

Il momento acustico: quel quarto d’ora sullo Stage B

Perché ora queste canzoni riarrangiate non ci vanno bene? Forse è solo il fatto di averle confezionate in un album. Di avercele proposte tutte insieme, e non come un momento estemporaneo, emotivo, un momento a sorpresa. Perché quello erano, quello sono sempre state per gli U2 le canzoni riarrangiate. Erano improvvisazione, energia, slancio. Erano un “buona la prima”. Erano fuori dalle regole. Se le innovazioni le incanali in delle regole diventano sistema. È questo che forse non ci va. È che questo lavoro sia stato presentato come il nuovo album, come un’opera compiuta, quanto le canzoni reinventate sono sempre stati schizzi, anche geniali, ma schizzi. Erano un voler gettare il cuore oltre l’ostacolo, come quando, nel Joshua Tree Tour del 1987, nel concerto Save The Yuppies, in strada, a San Francisco si lanciarono in una versione improvvisata di All Along The Watchtower di Bob Dylan versione Hendrix: imperfetta, senza pretese, ma con una carica incredibile. Il momento acustico, per noi, è sempre stato quel quarto d’ora sullo Stage B, il piccolo palco in mezzo al pubblico. Un momento intimo, per avvicinarsi il più possibile a noi. Un momento per riprendere fiato e ripartire. E così deve essere ascoltato questo disco. Un momento di pausa, prima che riparta la tempesta elettrica, la vera forza degli U2. Ascoltatelo (se possibile di notte, in cuffia) un po’ alla volta, come se foste in quella pausa, sotto lo Stage B. Aspettando che il riff di Bullet The Blue Sky cali su di voi come una scure, come una tempesta, a travolgervi. Perché l’elettricità tornerà presto. 

Togliere tutti i tratti distintivi

Ma fino a dove sono disposti ad arrivare gli U2 per spogliare le loro canzoni? Togliere il giro di chitarra, il basso e la batteria che davano quella carica “trance” a Where The Streets Have No Name? Togliere l’infinite guitar e il basso elettrico pulsante a With Or Without You? Fatto. In Streets manca la chitarra, la trave portante della canzone. Manca la batteria tiratissima. Ma la melodia esce, limpida, e resta la natura estatica, liberatoria, mistica della canzone. With Or Without You è una sfida titanica: portare avanti una canzone senza il basso pulsante e l’infinite guitar che l’hanno letteralmente costruita. The Edge alla chitarra acustica trova un riff minimale. La canzone ha crescendo, pathos, Bono la “sente” come poche, sembra sussurrarla all’orecchio alla persona amata come se fosse l’ultima cosa che debba dirle. Il fatto è che gli U2 non sono songwriter che scrivono voce e chitarra o voce e piano e poi arrangiano. Sono alchimisti, creano direttamente in studio, tagliano e cuciono. Per questo togliere dei suoni chiave non vuol dire togliere a quelle canzoni solo un arrangiamento, un orpello. Vuol dire togliere loro le fondamenta, i muri portanti. Eppure, miracolosamente, molte delle canzoni stanno in piedi lo stesso. Merito delle melodie, o della voce di Bono. A proposito di fondamenta. In I Still Haven’t Found What I’m Looking For tornano gli architetti che avevano costruito quel monumento che è The Joshua Tree, Brian Eno e Daniel Lanois. È come se quella canzone diventasse un falso, ma un falso d’autore. Diventa così una ballata quasi country, in cui le tastiere dettano il tema, una cavalcata sincopata, e la canzone cambia completamente. Ma non ci sembra molto riuscita. Lo è invece Red Hill Mining Town, con quell’arrangiamento di fiati che però era già stato testato per il Joshua Tree Tour 2017. Ma questo è tutto tranne che un arrangiamento minimale. 

Le perle: Bad, If God Will Send His Angels, The Little Things That Give You Away

Su 40 canzoni è chiaro che ci siano alti e bassi, arrangiamenti più scolastici, alcuni molto arditi. E poi ci sono quelli in cui, senza osare, senza grandi sforzi, alcune canzoni escono in tutta la loro bellezza. In Songs Of Surrender ci sono delle perle. La prima è Bad. La chitarra di Edge, anche acustica, riesce a brillare, a dare quegli scintillii, quei bagliori che aveva nella canzone elettrica. È cantata in prima persona (if I), poi al plurale (if they). E ha un nuovo bridge, una parte nuova che nella canzone sta benissimo: “You can have it all if you give it all away”. È davvero la nostra Bad. E poi c’è If God Will Send His Angels. Quella fatta dagli U2 è un’operazione archeologica, uno scavo che porta alla luce una canzone sepolta, dimenticata come il resto del disco Pop. E dopo che nello stesso Pop era coperta da effetti e sovraincisioni. Torna nella sua limpidezza, voce e piano, ballata soul o country (“It’s the stuff of country songs”). Se oggi decidessero di lanciarla così, magari con Adam e Larry, potrebbe essere una delle nuove hit degli U2. Una canzone per cui qualsiasi interprete ucciderebbe. Ma d’altra parte, come amano dire i fan e il gruppo di U2 Stories: Pop is amazing. E poi c’è The Little Things That Give You Away, una delle canzoni più belle dell’ultimo disco, un altro potenziale classico, che arriva in una scintillante versione voce e chitarra acustica. City Of Blinding Lights è quella ascoltata nel tour del libro di Bono, con il piano che sostituisce gli accordi della chitarra e regala al brano una grande atmosfera. Funziona anche il classico One, che apre l'album: sostenute da poche note di piano, con un coro gospel a rafforzare il pathos della canzone.

Le più coraggiose: The Fly, Desire, Dirty Day, Stories For Boys

Ci sono poi quelle canzoni in cui gli U2 hanno osato di più. The Fly è qui per dirci che gli U2 sanno ancora innovare. Per non rifare in acustico la linea di chitarra, e rendere la canzone troppo simile all’originale, sono state suonate due linee di basso: una tradizionale, una più alta. L’assolo viene suonato da una chitarra acustica che sembra un sitar, i cori sono fatti con voci effettate. È una canzone che spiazza, una delle più coraggiose, come era coraggiosa l’originale, di cui mantiene quel senso di oscurità. Un’oscurità che pervade anche la nuova versione di Desire, in cui cambia completamente il cantato, che ora è in falsetto (è The Edge), con chitarre acustiche che si rincorrono insieme a un suono basso e chitarre distorte. Un blues del 2020, un blues post Black Keys. La voce di The Edge la sentiamo anche in Stories For Boys, accompagnata dal piano: eterea e inquietante, potrebbe essere la colonna sonora di un film fantasy. E in Peace On Earth, che funziona meglio che nella versione originale, nel suo diventare una canzone folk popolare irlandese. Ma una delle canzoni più sorprendenti e coraggiose è Dirty Day: il violoncello sostituisce gli accordi di chitarra, dando alla canzone un tono cupo, una ballata “brechtiana” dark e teatrale. Con l’ingresso dei violini, la melodia si apre nella sezione “father to son”, che diventa molto intensa. 

Le più giocose: 11 O’Clock Tick Tock e Two Hearts Beat As One

Nell’idea degli U2 quello che ha più senso, oggi, è andare a rileggere le canzoni più lontane nel tempo. E così a sorprendere sono alcuni pezzi che, tolta la rabbia giovane di quegli anni, oggi suonano più giocose, ma hanno un loro senso. 11 O’Clock Tick Tock e Two Hearts Beat As One, sono le più interessanti. La prima diventa un pezzo allegro, con quello che sembra un glockenspiel a fare da controcanto alla chitarra, e sembra fatta da una band di oggi: il falsetto della voce ha vette straordinarie. La seconda è funky e jazzata, con una chitarra vivacissima e il piano a fare le veci del basso. È un’altra canzone che brilla di luce propria.

Le note stonate: Beautiful Day, Pride, Stay

Mettendo mano alle canzoni è chiaro che non tutte possono riuscire. In particolare accade quando, spogliando le canzoni, gli U2 tolgono completamente loro qualsiasi potenza, pathos, drammaticità. Pride è forse la nota più stonata, troppo distante dall’epica di cui ha bisogno la struttura della canzone, dalla rabbia, da quel fuoco indimenticabile che aveva. È uno di quei casi in cui le canzoni, pur spogliate, poi sono troppo lavorate. Ma in quel “One boy washed up on an empty beach, one boy who will never be kissed” c’è un riferimento alle migrazioni. Anche Stay, il capolavoro degli U2, è una di quelle canzoni troppo prodotte: parte con poche note di piano, la voce bassa, da crooner, raddoppiata da una voce più alta, probabilmente di Edge, con chitarre effettate che si sovrappongono. È una canzone meravigliosa, ma troppo lavorata, oltre il necessario. Quando il cantato di Bono si apre, però, non ce n’è per nessuno. Beautiful Day perde quella carica che aveva l’originale, che raccontava un riscatto dopo quella che sembrava rassegnazione (ma la nuova versione, dal vivo, che ascoltiamo nel documentario Bono & The Edge A sort of homecoming con David Letterman, da oggi su Disney+, è più grintosa).

Le canzoni riscritte: Walk On, Sunday Bloody Sunday

Come avrete notato, in molti casi ad essere riscritti sono anche i testi. Impossibile cogliere tutte queste sottigliezze. Ma ci sono degli esempi più eclatanti. Walk On era stata dedicata ad Aung San Suu Kyi, leader birmana che si è macchiata di varie colpe una volta arrivata al potere, tanto che gli U2 oggi intendono slegare la canzone da lei, e dedicarla alla lotta per la libertà dell’Ucraina. Le parole “And if a comic takes a stage and no one laughs” (“e se un comico sale sul palco e nessuno ride”) sono dedicate a Zelensky. Sunday Bloody Sunday è presente in una versione acustica, voce e chitarra, che abbiamo ascoltato tante volte, a Sarajevo nel 1997, o da Fazio anni fa. A volte nei vari concerti. È vero, Sunday Bloody Sunday è la batteria marziale di Larry Mullen Jr. Ma una canzone sui caduti di guerra può diventare anche un lamento funebre. Colpiscono le nuove parole, il tornare a Derry tanti anni dopo e finire quella canzone, scriverla al presente, come spiega Bono nel documentario. “Here at the murder scene, the beginning of a fiction, the facts will not come clean. Why so many mothers cry? Is religion now the enemy of Holy Spirit guide? The real battle yet begun, where is the victory Jesus won?”. “Qui sulla scena del delitto, è l'inizio di una finzione, i fatti non saranno mai chiari. Perché così tante madri piangono? La religione è ora la nemica della guida dello Spirito Santo? La vera battaglia è appena iniziata, dov'è la vittoria ottenuta da Gesù?".

Le canzoni della riflessione e del respiro

Se Surrender: 40 canzoni, una storia, il libro, era il progetto di Bono, questo è il progetto di The Edge. È una corrispondenza di amorosi sensi tra i due leader creativi della band. Il primo ha scelto fiumi di memorie e flussi di coscienza, il secondo ha risposto con riflessioni sonore, introspezioni diventate arrangiamenti. Ma cosa dobbiamo pensare, allora, di questo album? Se queste canzoni fossero state cantate, magari una dozzina di loro, in uno studio di Mtv Unplugged, per un altro speciale alla Bbc, e poi ne fosse stato fatto un disco, staremmo tutti a parlare d’altro. Se ne è voluto fare un quadruplo album in grande stile, con uno spiegamento di forze forse eccessivo. Ed è probabilmente questo che scontenta i fan, oltre alla scarsa presenza di Adam Clayton e Larry Mullen. Dopo le Songs Of Innocence e le Songs Of Experience sono arrivate queste Songs Of Surrender. Le canzoni dell’innocenza, dell’esperienza, le canzoni della resa. Ma sono più le canzoni della sosta, della riflessione, del respiro. Nel senso che sono nate durane una pausa forzata, durante la pandemia. Sono “le canzoni dell’appartamento”, come titolava un famoso album di Morgan, registrate a casa, spesso nella casa di Eze in Francia. È un album fatto prima per se stessi che per noi. Ma che, una volta arrivato a noi, è bene ascoltare con cura. 40 chiude il disco, come per una decina d’anni ha chiuso i concerti. “Per quanto canteremo questa canzone?” Le canzoni degli U2 le canteremo a lungo. Magari non in queste versioni, che ascolteremo un po’ per tornare poi alle versioni originali. Ma le canteremo a lungo

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